ISSN 1722-5507
Spedizione in Abb. postale 70% Cremona
Curatori: Franco Bernini, Laura Bonini,Vincenzo Ferri, Augusto Gentilli, Edoardo Razzetti, Stefano Scali
Atlante degli Anfibi e dei Rettili della Lombardia
MONOGRAFIE N. 5 - 2004
PIANURA
2004
Università degli Studi di Pavia
Provincia di Cremona
Atlante degli Anfibi e dei Rettili della Lombardia
Curatori:
Franco Bernini Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Biologia Animale
Laura Bonini Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Biologia Animale
Vincenzo Ferri Centro Studi Arcadia
Augusto Gentilli Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Biologia Animale
Edoardo Razzetti Università degli Studi di Pavia, Centro Interdipartimentale di Servizi “Musei Universitari”
Stefano Scali Museo civico di Storia naturale di Milano
Con il patrocinio della Societas Herpetologica Italica e dell’Università degli Studi di Pavia
I curatori desiderano ringraziare per l’iconografia: Emanuele Biggi, Giovanni Conca, Piero Di Leo, Gianluca Fea, Johannes Hill, Giulio Incao, Elisa Moretti, Guglielmo Stagni ed Enzio Vigo. Le illustrazioni delle copertine e di pagina 115 sono tratte da: Carlo Luciano Bonaparte, 1832-1841 - Iconografia della Fauna italica per le quattro classi degli animali vertebrati,Tipografia Salviucci, Roma. L’illustrazione di pagina 59 è tratta da: Mauro Rusconi,1854 - Histoire Naturelle, développement et métamorphose de la Salamandre terrestre : ouvrage posthume inédite publiée par le docteur Joseph Morganti, chez Bizzoni Libraire, Pavie. Citazione bibliografica consigliata: Atlante degli Anfibi e dei Rettili della Lombardia, curatori F. Bernini, L. Bonini,V. Ferri,A. Gentilli, E. Razzetti & S. Scali, 2004, “Monografie di Pianura” n. 5, Provincia di Cremona, Cremona.
dedicato a Francesco Barbieri
Presentazione
Sono diversi i motivi che inducono a salutare con soddisfazione l’uscita di questo “Atlante degli Anfibi e dei Rettili della Lombardia” che i curatori hanno voluto dedicare alla memoria di Francesco Barbieri, al quale va senz’altro ascritta a merito una parte rilevante nella promozione e nella composizione dell’opera. Innanzitutto il risultato in sé, che viene a coronare quasi un ventennio di esplorazioni condotte sul campo, di approfondite analisi e di riscontri, oltreché di azioni e di progetti rivolti alla tutela dell’erpetofauna e intrapresi in vari settori della regione lombarda con effetti di tutto riguardo. Ma mirabile mi pare, in concomitanza, l’unitarietà e la compiutezza dell’opera che un solido lavoro di regia ha saputo rendere equilibrata e omogenea nelle sue diverse parti, pur nel rispetto dell’individualità dei numerosi contributi e dei singoli apporti personali. Ebbene, un’opera chiara, esauriente, controllata in ogni suo dato; un’opera di riferimento, insomma, relativa all’erpetofauna della Lombardia - che ancora ci mancava - viene finalmente immessa nel circuito del sapere collettivo e di ciò non possiamo che essere grati ai coordinatori e ai collaboratori tutti della Sezione Lombardia della Societas Herpetologica Italica, che se ne son fatti promotori, redattori e infaticabili attori. Ciò alimenta la speranza che una conoscenza più diffusa inerente il mondo degli anfibi e dei rettili consenta ad un pubblico meglio informato e consapevole di capirne le esigenze e di prenderne le parti in ogni processo decisionale che comporti negative trasformazioni dell’ambiente, di cui questa piccola fauna sa indicare con precisione lo stato di salute. Perché, in fondo, anfibi e rettili non fanno solo parte dell’ambiente naturale che ci circonda, ma anche, e forse non ne sospettiamo quanto, del nostro mondo culturale quotidiano e di sostrato. Accanto all’erpetologia naturalistica che individua questa fauna come oggetto di studi tassonomici, biogeografici, ecologici, sopravvive un’erpetologia popolare, per così dire, in cui rospi, salamandre, ramarri e serpenti entrano di prepotenza come soggetti protagonisti, interagenti con la nostra esperienza giornaliera. È un’erpetologia fatta, per esempio, di nomi e di nomignoli deferenti e ingrazianti, come di solito si attribuiscono a entità temute che si tenta così di rabbonire (i tritoni in dialetto cremasco son detti barbagiuanì “zio giovannino”). Talvolta si incontrano, invece, nomi vistosamente deformati con probabilissima intenzione apotropaica, come è nel caso della salamandra detta in dialetto malisandra, malalisandra, marisandula e simili. Altre volte son nomi che richiamano credenze profondamente radicate nella tradizione popolare, sin dai suoi stadi più arcaici (nel Mantovano, per esempio, il rospo è la fada “la fata”; il cremonese salvacristian “ramarro” allude alla credenza secondo cui questo sauro usa lottare vittoriosamente contro vipere e altri serpenti, salvando, così, gli uomini. Ancora il nome del ramarro è, in bergamasco, ligorù o liguròt e in mantovano lùgar evocativo della leggenda che vorrebbe l’animale capace di produrre l’ambra, ossia il favoloso laugurium) e che alimentano una mitologia e una mitografia che sarebbe oltremodo interessante raccogliere e studiare in modo analitico nelle varie parti della regione, al fine di redigere un’erpetologia parallela ricca di stimoli culturali e di spunti antropologici. Per non dire dell’iconografia, delle usanze o della
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vasta simbologia fiorita sin dalla notte dei tempi attorno ai nostri protagonisti, considerati epifanie di entità ctonie, non necessariamente malevole, ma comunque misteriose e sfuggenti, che abitano i recessi del suolo e ne governano l’ordinamento. Sono solo accenni del tutto inadeguati che, tuttavia, vogliono segnalare quanto anfibi e rettili ci appartengano nell’intimo, nonostante la nostra convulsa società, le nostre quotidiane preoccupazioni abbiano finito per travolgere senza distinzione un mondo di saperi, di emozioni, di forme e di pratiche tradizionali di cui anche questa piccola zoologia fa parte. Allora il bell’Atlante che qui si pubblica può rappresentare, oltre che un insostituibile compendio di puntuali e aggiornate cognizioni zoologiche, anche uno strumento attraverso cui riappropriarsi di una realtà, parziale quanto si vuole, ma ancora tanto vivace da testimoniare una sorprendente simbiosi tra l’uomo e l’elemento naturale. È un onore, dunque, per Pianura il poter pubblicare nella sua collana delle “Monografie” un così importante lavoro, e, nell’esprimere gratitudine alla Sezione Lombardia della SHI e, in particolare, ai curatori dell’opera - ma anche alla redazione della rivista per il grande e assiduo impegno dedicato - sento l’obbligo di associare ai ringraziamenti il Comitato scientifico del periodico, esprimendo altresì l’auspicio che la pubblicazione sia foriera di soddisfazioni tanto per gli autori quanto per i fruitori e valga da ulteriore stimolo per tutti coloro che della ricerca naturalistica, della difesa dell’ambiente, della divulgazione scientifica si fanno quotidiani promotori. Cremona, 20 aprile 2004
Valerio Ferrari
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Atlante erpetologico
I PRODROMI DEL PROGETTO ATLANTE - Sono trascorsi quasi vent’anni dalle prime riunioni di amici erpetologi ed erpetofili milanesi intenzionati a costituire un sodalizio strutturato scientificamente per lo studio moderno degli anfibi e dei rettili italiani: incontri che portarono, alla fine del 1985, alla costituzione dell’Associazione erpetologica “Emys”, con soci fondatori Marco Zuffi,Vincenzo Ferri,Alberto Pozzi, Alessandra Davini, Nicoletta Ancona, Silvia Giacometti, Silvana Caruso, Andrea Agapito Ludovici, Dino Scaravelli, Ettore Bielli, Guido Tavecchio, Paolo Colombari, Alberto Dell’Acqua e Giancarlo Baggio. Questo primo gruppo erpetologico lombardo, simbolicamente rappresentato dalla testuggine palustre Emys orbicularis, il rettile più raro in Lombardia, fu patrocinato dal Museo civico di Storia naturale di Milano che ne divenne la sede ufficiale. Il Gruppo “Emys” si propose come finalità lo studio degli anfibi e dei rettili, con particolare riferimento a quelli presenti in Lombardia, in ogni aspetto della loro biologia e sistematica. Con questo intento, nel 1986, fu promosso il primo censimento dell’erpetofauna lombarda e, per ampliare la cerchia dei collaboratori, fu predisposto del materiale divulgativo con istruzioni per la raccolta dei dati e per il riconoscimento delle specie. Alla fine del 1986, il direttivo e i soci del Gruppo “Emys” decisero di costituire, su invito di Luigi Cagnolaro, il Centro Studi erpetologici “Emys” nell’ambito della Società italiana di Scienze naturali. Dopo questo importante passo, al nucleo dei primi promotori del Gruppo “Emys”, quasi esclusivamente lombardi, si affiancarono erpetologi e appassionati di regioni vicine (Stefano Mazzotti e Sergio Mezzadri per l’Emilia-Romagna, Franco Andreone e Roberto Sindaco per il Piemonte, Sebastiano Salvidio per la Liguria, Roberta Salmaso per il Veneto). Nel 1988 aderirono al Centro Studi erpetologici “Emys” 31 soci, di 8 regioni diverse (FERRI & ZUFFI 1991). Le finalità del Centro Studi furono le stesse dell’associazione originaria, ma con strategie innovative e un campo d’azione più generale. Sulla scia dell’entusiasmo iniziale, grazie alla spinta organizzativa di Vincenzo Ferri e di Marco Zuffi e al discreto numero di nuovi collaboratori, si concretizzarono in poco tempo importanti iniziative riguardanti l’erpetofauna; tra queste il Progetto Emys Lombardia, il Progetto Pelobate del WWF Italia, il Progetto Rospi Lombardia (FERRI 1998a) e l’organizzazione, a Milano nel novembre 1992 e a Morbegno nel maggio 1997, di due convegni nazionali sullo studio e la conservazione degli anfibi. In particolare il Centro Studi erpetologici “Emys” promosse il “Progetto Atlante anfibi e rettili di Lombardia”, attivato in collaborazione con la Società italiana di Scienze naturali e il Dipartimento di Biologia animale dell’Università degli studi di Pavia. Dopo la fondazione della Societas Herpetologica Italica e la conseguente costituzione, nel 1995, di una Sezione Lombardia della SHI, coordinata da Francesco Barbieri e Vincenzo Ferri, si presentò la necessità di unificare a livello regionale i sodalizi erpetologici esistenti. Il Centro Studi erpetologici “Emys”, cui afferivano peraltro la maggioranza dei soci fondatori della nuova struttura erpetologica lombarda, si ritrovava nel 1995 in una situazione di stallo per quanto riguardava il censimento regionale dell’erpetofauna, mentre aveva migliorato e potenziato i suoi interessi e le sue esperienze in campo conservazionistico. Per permettere una transitoria e diplomatica convivenza dei due sodalizi, peraltro aven-
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ti la stessa sede di riferimento presso il Museo civico di Storia naturale di Milano, si decise di trasferire alla Sezione Lombardia della SHI ogni competenza sul censimento regionale dell’erpetofauna, consegnando ufficialmente i dati acquisiti fino a tutto il 1994 in modo da farli confluire nel “Progetto Atlante degli anfibi e dei rettili della Lombardia”. Il Centro Studi mantenne comunque, fino alla fine del 1997, la sua individualità e competenza nel campo della conservazione degli anfibi e dei rettili in Lombardia; in quell’anno, infatti, se ne celebrò il decennale con l’organizzazione a Morbegno del Secondo convegno nazionale Salvaguardia Anfibi che segnò anche la fine ufficiale delle sue attività. La Sezione Lombardia della SHI, che nello stesso anno elesse la propria sede presso il Dipartimento di Biologia animale dell’Università degli studi di Pavia, divenne rapidamente il nuovo riferimento per tutti gli erpetologi e appassionati della regione, ponendosi in pochi anni al vertice degli analoghi sodalizi regionali per numero di soci e attività intraprese. AREA DI INDAGINE - L’area di studio è costituita dal territorio della Lombardia che ha una superficie complessiva di oltre 23.800 km2, suddivisi in 11 province amministrative: Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Pavia, Sondrio e Varese. Questo territorio comprende la sezione centrale della parte italiana delle Alpi (Lepontine, Retiche), la fascia prealpina (Alpi Orobie e Prealpi varesine, comasche, bergamasche e bresciane), la parte centrale della pianura padanoveneta e un lembo geografico sud-occidentale dalle caratteristiche appenniniche, l’Oltrepò pavese. La porzione planiziale è l’area preponderante e costituisce quasi metà della superficie della regione (47%); ben rappresentate sono anche le zone montane (40,6%), mentre le aree collinari sono relativamente ridotte e ricoprono solo il 12,4% del territorio.
Fig 1: province della Lombardia.
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Fig. 2: carta fisica della Lombardia.
Fig 3: reticolo cartografico UTM di 10x10 km.
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RACCOLTA DEI DATI ORIGINALI - La raccolta sistematica dei dati corologici per la redazione dell’Atlante ha avuto luogo dal 1986 al 2002; solo in alcuni casi sono state incluse informazioni posteriori. I dati originali, rappresentati complessivamente da oltre 12.300 segnalazioni, sono stati raccolti grazie all’attività di più di 200 collaboratori. Ogni osservazione, trasmessa compilando una dettagliata scheda di campo, è stata vagliata dai referenti provinciali e archiviata in una banca dati utilizzando un database relazionale. La struttura di archiviazione, costituita in dettaglio da 10 campi, ha riguardato specie, data, località, comune, provincia, quota, quadrante UTM, habitat, note e segnalatore. I dati sono stati cartografati proiettando le segnalazioni su una cartina georeferenziata mediante un programma GIS. La Lombardia ricade in 9 maglie fondamentali UTM (Universale Trasversa Mercatore) di 100 km di lato, da cui derivano i quadranti di 10 km di lato della griglia utilizzata. Sono stati studiati e rappresentati 280 discreti cartografici; alcuni di essi ricadono per meno del 10% nel territorio lombardo e in queste aree marginali il numero di segnalazioni disponibili, a volte ridotto o nullo, provoca un’apparente sottostima della copertura complessiva. Le osservazioni raccolte sul campo sono state integrate con segnalazioni presenti in letteratura e con le località di raccolta di esemplari presenti in collezioni museali. Tutti i dati antecedenti al 1985 sono stati considerati storici e sono stati pertanto rappresentati con un simbolo diverso sulle carte di distribuzione relative alle singole specie. La raccolta dei dati si è prolungata per oltre 15 anni, permettendo di ottenere una buona copertura del territorio: in media sono state raccolte 43,9 segnalazioni per quadrante. Per ottenere informazioni più complete si sono anche effettuate uscite mirate nei discreti UTM meno indagati; tuttavia, è indubbio che in alcune aree delle province di Mantova e di Sondrio i dati raccolti non siano esaurienti. Nel 1995 con il passaggio della banca dati del Centro Studi
Fig. 4: curva di arricchimento in taxa all’aumentare del numero di osservazioni per discreto UTM e relativa equazione. Ogni punto rappresenta un quadrante UTM con almeno una segnalazione ed è stato posizionato in base al numero di segnalazioni relative a ciascuna unità di rilevamento; il grafico è analogo a quello riportato in Erpetologia... (1999).
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Fig. 5: numero di segnalazioni presenti in banca dati suddivise per anno; sono riportati solo i dati raccolti a partire dal 1986, anno di inizio del progetto Atlante erpetologico.
erpetologici “Emys” (circa 4.000 dati) alla Sezione Lombardia della Societas Herpetologica Italica, il “Progetto Atlante degli anfibi e dei rettili della Lombardia”, coordinato da Francesco Barbieri e Vincenzo Ferri, ha ricevuto un nuovo e decisivo impulso. La raccolta dei dati è avvenuta in modo più sistematico, grazie anche alla designazione di referenti provinciali, incaricati di promuovere il progetto in ambito locale e di raccogliere e verificare criticamente le segnalazioni. Il grande sforzo di ricerca compiuto nel periodo compreso tra il 1994 e il 1999 ha permesso di indagare buona parte dei discreti UTM con copertura insufficiente, migliorando in modo sostanziale il grado di completezza delle carte di distribuzione e incrementando il numero di segnalazioni nella banca dati.A partire dal 1995, le carte di distribuzione aggiornate per l’erpetofauna lombarda sono state regolarmente fornite ai collaboratori e nel 2000 sono state rese disponibili anche sul sito internet della Societas Herpetologica Italica - Sezione Lombardia (www.unipv.it/webshi/lomb). Durante gli ultimi anni del progetto, dal 2000 al 2002, il numero di dati raccolti si è ridotto; ci si è limitati, infatti, a inserire dati storici tratti da pubblicazioni dell’Ottocento e ad aggiungere nuove segnalazioni riguardanti le specie rare o più localizzate in Lombardia. La raccolta dei dati si è conclusa ufficialmente il 23 febbraio 2002, in occasione dell’assemblea annuale dei soci. In coincidenza con questo evento la Sezione Lombardia della SHI è stata intitolata a Francesco Barbieri, indimenticabile amico e maestro. I CURATORI
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ELENCO DEI RILEVATORI DEL PROGETTO ATLANTE Agapito Ludovici A. Agatti L. Agostani G. Allovisio G. Amann T. Ambruschi G. Ancona N. Andreoletti G. Antonelli M. Baggio G. Baratelli D. Barbagli F. Barbieri F. Barcella M. Bardelli D. Bardelli G. Bazzoli M. Bennati R. Bernasconi R. Bernini F. Berselli C. Bertagnon E. Bertoni L. Bielli M. Bogliani G. Bolzoni G. Bonalberti C. Bonardi A. Bonetti M. Bonini L. Bonvicini P. Bonvicini S. Bonvicini V. Boria A. Bottà I. Bozzetti A. Braga G. Brolpito M. Bruschi G. Bubola V. Cairo E. Canova L. Cao F. Capietti A. Carettoni A. Caruso S. Casale F. Castiglioni F. Castioni C. Cattaneo G. Cavagnini F. Cecere F. Centelleghe F. Cesana L. Cesaris C. Ciapessoni O.
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Ciapponi L. Colombari P. Colombo L. Comi G. Comolli A. Comotti G. Corgatelli A. Cosentino M. Crameri G. Crestani C. Crugnola G. Crugnola M. Dallagiovanna E. Danese C. Danini G. Davini A. De Filippo G. De Michelis S. Dell’Acqua A. Dell’Acqua S. Dell’Oro A. Di Cerbo A.R. Dimitolo G. Dioli P. Donà C. Faccio G. Facoetti R. Fantoni F. Farina F. Farinella E. Fasola M. Felappi M. Ferrari V. Ferri D. Ferri V. Festari I. Ficetola F. Fumagalli M. Fusi E. Gabba G. Gabba T. Galbusera M. Galeotti P. Galli P. Gallizia F. Gariboldi A. Garizio L. Gatti P. Gelmetti D. Generani M. Gentilli A. Ghezzi D. Ghielmi S. Giacometti S. Gianatti C. Gianera I.
Giannattasio C. Giovine G. Gola L. Gusmeroli A. Iannucci M. Incao G. Latronico G. Lavazza A. Lavezzi F. Leoni L. Longhi E. Lottici M. Lucato M. Macchi G. Macchi P. Malcevschi S. Manenti R. Mangiacotti M. Mansi M. Marangon L. Marocco R. Martignoni C. Martinoli A. Mastrorilli M. Mazzi F. Mermet E. Milesi S. Molinari R. Montonati S. Monzani M. Morelli C. Morimando R. Moroni G.B. Morosini G. Mureddu F. Nardi P.A. Nava G. Orlandi T. Ornaghi F. Osella G. Pandiani P. Panzi S. Parisi M. Parolini L. Pasetti L. Pedoja A. Pedrotti V. Pegoraro S. Penati F. Pennati D. Perego G. Peroni A. Peroni G. Perugini F. Petyx F. Piazzi J.
Pilon N. Polloni G. Postogna A. Pozzi A. Prigioni C. Quadrelli A. Quadrelli G. Razzetti E. Reverdini N. Riva S. Rivellini G. Rognoni G. Rubolini D. Sacchi R. Salmaso R. Sassi A. Scacciotti I. Scali S. Scano A. Scaravelli D. Scheffer O. Schiantarelli V. Schiavo R.M. Scieghi G. Sesenna M. Sforza F. Siliprandi M. Soccini C. Spelzini R. Sperzaga M. Spinello F. Spoldi R. Sportelli L. Springolo M. Stevanin T. Tavecchio G. Tiso E. Torchio M. Vailati M. Valle M. Valoti F. Vercesi A. Vigato C. Vigo E. Violani C. Volpi G. Zacchetti D. Zaffoni I. Zamperlin G. Zanin G. Ziliani U. Zilio R. Zilocchi C. Zuffi M.A.L.
Breve storia dell’erpetologia lombarda1
DALLE ORIGINI A LAZZARO SPALLANZANI - Già nella letteratura del Cinquecento non mancano accenni alle conoscenze erpetologiche in Lombardia. Il celebre medico e naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605) nel suo trattato “Serpentum et draconum historiae libri duo”, pubblicato postumo (ALDROVANDI 1640), ricordò alcune osservazioni date da Gerolamo Cardano (1501-1576), scienziato pavese, sulla variabilità del colore delle vipere dovuta alla diversità dei luoghi della «Gallia Cisalpina» da esse frequentati. Lo stesso Cardano riferiva anche una minuziosa ricetta per cucinare la carne di vipera allo scopo di curare la tisi, la lebbra e l’elefantiasi, ma confuse questa specie con il biacco, poiché inserì il nome di «Milort» tra i sinonimi della vipera, riferendolo agli individui di colore rosso. Questo errore non era sfuggito al medico senese Pietro Andrea Mattioli (15001577), il quale nei “Discorsi” puntualizzò molto chiaramente che «Serpentem quem Mediolanenses, & caeteri Insubres vocant Milort a vipera discrepare».Accanto al rigore di questa affermazione, non mancano nell’opera di Mattioli notizie fantasiose alle quali si può solo attribuire un valore aneddotico in forma a volte addirittura grottesca. Discorrendo dell’efficacia curativa del fumo prodotto bruciando scarpe vecchie egli, infatti, annotava: «Mirabile è similmente questo fumo à discacciare le serpi, che pratticano per le case, & fuori de i corpi de gli huomini: ne li quali dormendo eglino alla campagna con la bocca aperta,tacitamente se n’entrano.Il che scrive Marco Gattinaria medico de’ nostri tempi esser accaduto ad un certo huomo al suo tempo à Pavia: a cui quantunque fussero fatti molti rimedi, niente altro gli giovò, che‘l fumo delle scarpe vecchie. Imperoche come lo sentì l’animale, il quale era una velenosissima vipera,subito senza molestia alcuna se n’uscì fuora per il culo con non poca maraviglia di tutti i circonstanti» (MATTIOLI 1563). Un’altra curiosa citazione proviene dal libro di cucina di Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di papa Pio V Ghislieri, a proposito del valore gastronomico delle rane verdi di Lombardia: «La rana è animaletto con 4 piedi, senza coda, di colore verde et giallo, et bianca sotto la pancia, nascono nell’aque dolci et nelli pantani, et fanno diverse voci et per tutta Italia vi è gran copia, ma molto maggiore in Lombardia, che altrove […] dove ne son portati in sacchi su le carra. Questo animaletto ha gran fegato, del qual fegato si fa crostata» (SCAPPI 1570). Per avere segnalazioni zoologicamente più rigorose occorrerà tuttavia giungere al XVIII secolo. Nel 1763 lo scienziato padovano Domenico Vandelli (1735-1816) intraprese, dietro incarico del governo austriaco, l’esplorazione naturalistica delle valli attorno al lago di Como e in Valsassina allo scopo di reperirvi giacimenti minerari e di descriverne la flora e la fauna incontrate.Alla relazione finale Vandelli unì la “Fauna Mediolanensis”, ossia l’enumerazione, secondo il sistema di Linneo, di animali vertebrati e invertebrati. Nell’elenco, rimasto inedito per oltre due secoli, si ritrovano sei specie di anfibi (Lacerta salamandra = Salamandra salamandra; Lacerta vulgaris = Triturus vulgaris;Rana bufo = Bufo bufo;Rana temporaria;Rana esculenta;Rana arborea = Hyla intermedia) e,tra i rettili,un lacertide,«Lacerta agilis»,di difficile identificazione. 1 Per la peculiarità delle fonti citate questo capitolo è completato da una propria bibliografia.
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Il breve elenco fu integrato nel 1780 da Giovanni Antonio Scopoli (1723-1788), professore di Botanica e Chimica all’Università di Pavia, con altre tre specie di rettili: Coluber natrix = Natrix natrix; Coluber vipera = Vipera aspis; Anguis fragilis (VIOLANI 1991).Allo stesso Scopoli, d’altronde, si deve la descrizione di alcuni ofidi esotici, conservati nel Museo di Storia naturale dell’Università di Pavia, provenienti dalla ricca collezione del medico olandese van Hoey, notevole soprattutto per i pesci, gli anfibi e i rettili, in parte già conservati nel famoso museo di Albert Seba (16651736). Giunta nel 1784, la raccolta vantava 267 serpenti che costituirono il nucleo principale di erpetologia del Museo di Pavia.Dai cataloghi originali sappiamo che nel 1787 annoverava 374 serpenti che costituivano una delle principali attrazioni, come testimonia James Edward Smith nella narrazione del suo grand tour in Italia: «The Abbé Serafino Volta, keeper of the public museum, very obligingly shewed us that collection, which is magnificently disposed.The serpents are uncommonly numerous and fine, as well as the fish; the minerals good; other departments in general not capital.» (SMITH 1793). Nelle “Deliciae Florae et Faunae Insubricae” (1786-1788) Scopoli figurò quattro specie, tre delle quali ritenute nuove: Coluber tamachia, Coluber anceps e Coluber lentiginosus (SCOPOLI 1786-1788).
Coluber punctatus (Fig. I) e Coluber lentiginosus (Fig. II), in SCOPOLI (1786-1788).
Tuttavia, chi maggiormente si occupò di rettili e anfibi, indagandone la biologia e la fisiologia, in questo torno di secolo fu il celeberrimo Lazzaro Spallanzani (17291799), professore all’Università di Pavia e direttore del Museo di Storia naturale. Egli
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si occupò dello studio della fecondazione e dello sviluppo di alcuni anfibi raccolti nella campagne ticinesi, come la rana verde, la raganella, il rospo comune, il tritone crestato e il tritone punteggiato. Spallanzani condusse inoltre i primi esperimenti di fecondazione artificiale sui tritoni, sul rospo comune e su un’altra specie di anuro procuratagli da alcuni pescatori locali. Quest’ultima gli risultò essere sconosciuta e, per il forte odore agliaceo, si meritò il nome volgare spallanzaniano di rospo terrestre putente. Questa segnalazione è particolarmente significativa, in quanto documenta la prima osservazione del pelobate nel Pavese e in Lombardia.A quasi cent’anni di distanza Giuseppe Balsamo Crivelli (1800-1874), che gli succederà sulla cattedra di Storia naturale, presenterà al Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere una breve memoria sulla specie, riconoscendo all’illustre predecessore il primo ritrovamento di questo anfibio in Italia (BALSAMO CRIVELLI 1873). La respirazione, la resistenza a basse temperature e il letargo furono alcuni dei numerosi temi di fisiologia indagati accuratamente da Spallanzani; anche in queste ricerche egli utilizzò spesso rettili e anfibi studiando diverse specie quali: natrice dal collare, biacco, «vipera d’Oltrepò»,testuggine terrestre,«lucertola grigia e lucertola verde»,nonché la comune rana verde (SPALLANZANI 1803). L’OTTOCENTO - Dalle parole con cui un altro famoso naturalista, Carlo Luciano Bonaparte (1803-1857), tratteggiò lo stato delle conoscenze dei vertebrati in Europa traspare quanto importanti fossero gli studi di anatomia dei rettili e degli anfibi nell’unica Università della Lombardia di primo Ottocento: «Pavia conserva il suo antico lustro, al che basterìa un Rusconi sempre intento a suoi profondi studî, massimamente su i Batrachî che a lui solo non soddisfan fin’ora […]. Ed ora la patria di quest’illustre, in fatto di zootomia gloriasi anche di un Panizza, che sempre più con emula gara va levandosi in fama come già per le Scienze salutifere, così ora per le naturali, al cui avvanzamento molto potrà contribuire col suo dotto scalpello, che generoso dedica all’istruzione nostra […]. La ricca Raccolta de’ Serpenti di quella Università è stata resa più preziosa dalla dotta illustrazione che fecene il valoroso giovane Schlegeriano il Dottor De Filippi, la cui profonda cognizione dell’Anatomia e della Fisiologia comparata bastò a smentire la troppo sentenza de’ Barbassori che voglionsi quaranta anni di studî, e il crin bianco per far parola di Anatomia.» (BONAPARTE 1842). A buon diritto, infatti, Mauro Rusconi (1776-1849) fu uno dei più celebri zoologi italiani del tempo: con le sue ricerche sugli anfibi gettò le basi dell’embriologia studiando le fasi di segmentazione dell’uovo e le modalità di formazione dei principali organi (RUSCONI 1826). Le sue indagini sulla circolazione del sangue negli anfibi, sull’embriologia della rana, sulla riproduzione delle salamandre e le monografie sul proteo e sulla sirena lacertina sono dei veri e propri capolavori che precorrono i tempi di quasi mezzo secolo (BARBAGLI 2001). Mauro Rusconi, autoritratto.
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Particolare della tavola che illustra lo sviluppo della rana esculenta, in RUSCONI (1826).
Rana esculenta con cuore e vasi iniettati: preparato di Mauro Rusconi (Museo per la Storia dell’Università di Pavia).
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Non meno famoso fu Bartolomeo Panizza (1785-1867) che in campo erpetologico pubblicò, nel 1833, la fondamentale memoria “Sopra il sistema linfatico dei rettili” in cui stabilì i rapporti tra il sistema vascolare sanguigno e quello linfatico. Vasta eco ottennero i suoi studi angiologici e, in particolare, quelli sulla bilocularità atriale e ventricolare del cuore del caimano e l’intercomunicazione tra i due tronchi aortici (il cosiddetto “forame di Panizza”). Meritano infine di essere ricordate le memorie sull’assorbimento, sul movimento dell’acqua che circonda le branchie del proteo e delle larve di salamandra e di tritone e sulla respirazione di rane, salamandre e testuggini.
Bartolomeo Panizza
Tavola anatomica da PANIZZA (1833).
A Filippo De Filippi (1814-1867), assistente alla cattedra di Storia naturale dell’Università di Pavia dal 1837 al 1841, si deve la riorganizzazione, secondo la sistematica di Hermann Schlegel, dell’importante collezione di serpenti del Museo pavese (DE FILIPPI 1840). Si trattava al tempo della più cospicua raccolta erpetologica in Italia con esemplari provenienti dai vari continenti. Il catalogo ragionato e descrittivo, oltre a fornire alcuni dettagli sulla storia della raccolta, riporta le accurate diagnosi critiche di tutte le 94 specie presenti,di cui due risultarono nuove per la scienza: Calamaria favae e Dryophis schlegelii (BARBAGLI et al. 2001). Durante la Sesta Riunione degli Scienziati Italiani, svoltasi a Milano nel settembre del 1844, pochi furono tuttavia i contributi riguardanti l’erpetologia, ma possiamo ricordare una storica seduta durante la quale il principe Carlo Luciano Bonaparte e Filippo De Filippi si pronunciarono a favore della separazione in due classi degli anfibi e dei rettili, oggetto all’epoca di un ampio dibattito scientifico. Nella stessa giornata, il principe Bonaparte presentò lo “Specchio generale dei sistemi erpetologico e anfibiologico”, illustrando l’intera organizzazione sistematica di rettili e anfibi, a livello di classi, sezioni, ordini, tribù, famiglie e sottofamiglie ed evidenziando, tra queste ultime, quelle che hanno rappresentanti europei (BONAPARTE 1845).In una successiva seduta Bar-
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tolomeo Panizza sviluppò alcune osservazioni anatomico-fisiologiche sulle connessioni tra circolazione sanguigna e sistema linfatico, presentando ai colleghi alcune sue preparazioni anatomiche a secco e in liquido di tartarughe, salamandre, lucertole e serpenti a supporto delle proprie osservazioni (PANIZZA 1845).Chiese inoltre che venisse nominata una commissione di scienziati che si pronunciasse in proposito.Le conclusioni di Panizza andavano, infatti, contro quanto sostenuto da Mauro Rusconi sullo stesso argomento; il parere favorevole della commissione permise al primo di uscire vincitore da questa disputa scientifica, che attraverso svariate polemiche proseguiva da anni.
Anatomia del capo della Vipera aspis: modello in cera di Angelo Maestri (Museo di Storia naturale dell’Università di Pavia).
Negli stessi anni un altro medico e naturalista pavese, Angelo Maestri (18061889),preparatore e conservatore dei gabinetti di Storia naturale e di Anatomia comparata dell’Università, si occupò di aspetti anatomici di rettili e anfibi. Già prima del 1840 aveva iniziato la produzione di modelli in cera, fortemente ingranditi, volti a illustrare le modalità di inoculazione del veleno della vipera. Negli anni successivi si occupò anche della circolazione del sangue nei vertebrati; in particolare, in campo erpetologico, indagò la circolazione del sangue nella Rana esculenta e realizzò su questo argomento preparati naturali e un modello ceroplastico ingrandito, nonché una memoria a stampa (MAESTRI 1884).La serie completa di modelli in cera di Maestri,compresi quelli erpetologici, è conservata nel Museo di Storia naturale dell’Università di Pavia; ulteriori esemplari dei preparati in cera di teste di serpenti sono presenti nelle collezioni di altri musei, quali Parma e Napoli.
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Nel 1853, Giorgio Jan (1791-1866), direttore del Museo civico di Storia naturale di Milano sorto nel 1838, iniziò a occuparsi di serpenti accumulando rapidamente una delle più importanti collezioni ofidiologiche del mondo che giunse a contenere oltre 1.000 delle 1.400 specie allora note.La passione di Jan per questi animali e per le opere a essi relative fu quasi incontenibile, come testimonia un passo di una lettera scritta da Giovanni Omboni, al tempo presso il Museo di Milano, al geologo Igino Cocchi a proposito della realizzazione di calchi paleontologici: «Per fare i modelli dei denti di rinoceronte, di elefante, ecc, bisognano quattrini. Cornalia ne spende già tanti per altre cose che regala di tanto in tanto al Museo, che non si sente, per ora almeno, in animo di darne fuori ancora per questi modelli. Io ne ho tropGiorgio Jan po pochi, e debbo economizzarli per i miei studi e scopi particolari. Restano quelli del Direttore del Museo Civico [Jan]; ma questi vanno tutti e poi tutti nelle compere di rettili, di vasi, di spirito, e più ancora in quelle di opere costosissime, che il Direttore vuol avere a tutti i costi, per studiare i serpenti di cui va pazzo» (Lettera datata 25 aprile 1858, in raccolta privata). Nel 1857 Jan pubblicò il primo catalogo della collezione erpetologica del Museo di Milano, la più ampia tra le raccolte di vertebrati (JAN 1857).Di lì a poco maturò il suo ambizioso progetto editoriale di pubblicare e raffigurare tutte le specie di ofidi note, avvalendosi della collaborazione dell’assistente Ferdinando Sordelli (1837-1916), abilissimo disegnatore che, sotto la supervisione di Jan, ritrasse gli esemplari del Museo e quelli inviati in studio dai principali musei del mondo. L’“Iconographie générale des Ophidiens”, questo il titolo della monumentale opera, fu preceduta da alcuni contributi preliminari (JAN 1858, 1859) e vide l’uscita del primo fascicolo nel 1860. Gli elevati costi di stampa e la difficoltà di reperire sottoscrittori rallentarono di molto la realizzazione dell’opera che fu portata a termine da Sordelli, dopo la morte di Jan, nel 1881. Risultato dell’impresa fu la pubblicazione di 50 fascicoli, per un totale di 300 accurate tavole litografate che raccolgono 8.430 figure (JAN & SORDELLI 1860-1881); non altrettanto felice fu l’esito del testo del quale furono stampati solo i primi due fascicoli. Purtroppo l’ingente mole di materiale radunata da Giorgio Jan andò completamente distrutta a causa degli eventi bellici del 1943, con l’incendio del Museo di Milano. Marasso, da JAN & SORDELLI (1860-1881).
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Anche Emilio Cornalia (1824-1882), succeduto a Jan nella direzione del Museo milanese nel 1866, spaziando in svariati campi di indagine, ebbe modo di occuparsi di erpetologia; a lui dobbiamo la scoperta «nei dintorni di Milano, al limite delle risaje fuori di Porta Vigentina qualche chilometro» (CORNALIA 1873a) di una nuova specie di anfibio anuro, il Pelobates insubricus, oggi considerata sottospecie di P. fuscus.A dire il vero fu lo stesso Cornalia che, di lì a poco, approfondendo le ricerche in natura a Noverasco e Mirasole nei dintorni di Milano, ebbe modo di ottenere parecchi esemplari locali di adulti e di girini, oltre a soggetti austriaci che lo portarono a ricredersi sulla validità della nuova specie (CORNALIA 1873b).
Pelobates fuscus, da CORNALIA (1873b).
Un’altra nuova specie, questa tuttora valida, fu descritta per la Lombardia nel 1879 dal celebre erpetologo belga Georges Albert Boulenger (1858-1937). Questi, affrontando il problema della complicata tassonomia delle rane rosse, designò la nuova specie Rana latastei, in base a esemplari provenienti dai dintorni di Milano, a lui inviati da Emilio Cornalia e Napoleone Pini (BOULENGER 1879).
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Rana latastei, da BOULENGER (1897-1898).
LE ERPETOLOGIE LOCALI DELL’OTTOCENTO - Nel XIX secolo,oltre agli studi di carattere generale,fiorirono diverse indagini mirate all’illustrazione dell’erpetofauna di determinate aree della Lombardia. Nell’aprile del 1814 il milanese Pietro Configliachi (1777-1844), professore di Fisica sperimentale all’Università di Pavia, presentò a un’adunanza dell’Imperial Regio Istituto del Regno Lombardo-Veneto una memoria sulle presunte specie di vipere rinvenute nelle zone montuose e boschive dell’alta Lombardia; egli vi riconosceva «oltre la vipera comune od europea, la vipera del Redi e il colubro aspide di Linneo» (CONFIGLIACHI 1821). Quasi contemporaneamente, nel 1826, sullo stesso periodico, il Giornale di Fisica, Chimica e Storia naturale di Pavia, videro la luce due contributi riguardanti l’erpetologia del Mantovano: il “Saggio di storia naturale dei contorni di Mantova” di Paolo Lanfossi e la “Monografia dei serpenti di Mantova” di Giuseppe Bendiscioli. Se il primo consiste in una enumerazione di tutti gli animali del Mantovano, compresi i rettili e gli anfibi, con brevi notizie sulla loro distribuzione (LANFOSSI 1826), il saggio di Bendiscioli tratta accuratamente i soli serpenti, includendovi però impropriamente anche l’orbettino e l’«Anguis Eryx», in realtà riconducibile a una varietà dello stesso taxon. Ben sei sono le specie in cui Bendiscioli ripartisce il genere Vipera, descrivendo pure il «Marasso Mantovano», ossia la nuova specie Vipera limnaea che «trovasi con frequenza nei prati paludosi, nelle valli, e nelle risaje di Castellaro, di Governolo, di Sustinente, Ostiglia ed altri paesi circonvicini» (BENDISCIOLI 1826). In stile dotto e ornato, ma gradevole, cercò di riabilitare l’immagine tradizionale dei serpenti, evidenziandone l’utilità nel controllo di animali «immondi e nocivi». Interessanti sono i riferimenti al Bosco della Fontana e ai suoi «viperatori»,ossia cacciatori di vipere e marassi che ne catturavano a migliaia per rivenderli ai farmacisti veneziani che ne ricavavano la famosa «triaca», medicamento universale.
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Vipera limnaea, da BENDISCIOLI (1826).
Nel luglio 1840, un giovane studente di Medicina a Pavia,Teodoro Prada (18151892), presentò la sua dissertazione inaugurale (l’attuale tesi di laurea), dal titolo “Gli ofidiani della provincia di Pavia”, sotto gli auspici di Gianmaria Zendrini, professore di Storia naturale dell’Università ticinese. Di ogni specie, Prada espose il nome scientifico, quello vernacolare, l’habitat frequentato e le relative abitudini, fornendo infine una semplice tavola dicotomica per il riconoscimento dei generi e delle otto specie trattate. Sebbene l’appartenenza dell’orbettino ai sauri fosse già consolidata nei lavori sistematici di vari autori tra cui Bonaparte, Prada lo incluse tra i serpenti. Sia pur col dubbio «È questo un rettile ofidiano o sauriano?» lo considerò un anello di congiunzione tra sauri e ofidi. Particolare attenzione rivolse alle proprietà venefiche delle singole specie, aspetto fondamentale sotto il profilo naturalistico, ma soprattutto dal punto di vista medico. A tal proposito richiamò i preparati ceroplastici di Angelo Maestri e riportò la terapia contravveleno e gli antidoti in uso all’epoca per curare il morso di vipera. Tra le sue “Theses defendendae”, inoltre, ne fu inclusa una sui diversi effetti del morso della vipera:“Identicos haud semper viperae morsus effectus” (PRADA 1840). Nel suo interesse per la tossicologia ofidica,Prada aveva avuto a Pavia,circa un trentennio prima, un illustre predecessore nella figura di Giuseppe Mangili (1767-1829), successore di Spallanzani sulla cattedra di Storia naturale. Questi aveva studiato gli effetti del veleno delle vipere dimostrando sperimentalmente come l’ingestione del veleno,anche in forte dose,non avesTeodoro Prada
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se conseguenze dannose se le vie digerenti non fossero lese da ulcere o escoriazioni (MANGILI 1817). Mangili aveva anche provato con «reiterate sperienze» come l’ammoniaca fosse da considerare il rimedio sovrano contro il morso della vipera (MANGILI 1819). Di parere diverso era invece il medico Giovanni Battista Palletta; questi, dopo aver studiato alcuni casi di gravi morsicature di vipera (da lui attribuite alla specie «Coluber berus» in base alla sintomatologia) avvenute a Barzio in Valsassina (LC), prescriveva d’obbligo un’energica cura essudatoria, oltre alla somministrazione di ammoniaca (PALLETTA 1821). Ai partecipanti alla Sesta riunione degli scienziati italiani, riuniti a Milano nel 1844, fu distribuita la celebre opera “Notizie naturali e civili su la Lombardia”, curata da Carlo Cattaneo per offrire un quadro generale su molteplici aspetti della regione ospite. Nel capitolo relativo alla fauna, redatto da più autori, la parte erpetologica fu compilata da Giuseppe Balsamo Crivelli che vi annoverò 11 specie di rettili e 9 di anfibi. Contrariamente all’impostazione dei lavori di Bendiscioli e di Prada, dove l’enumerazione delle specie è sempre accompagnata dalla descrizione minuziosa dei caratteri morfologici, la struttura del catalogo di Balsamo Crivelli è quella di un elenco faunistico.Ai nomi scientifici, volgari e dialettali lombardi segue una concisa trattazione che riguarda la frequenza, la distribuzione e l’habitat, oltre a eventuali notizie sull’alimentazione e l’utilità per l’uomo. In mezzo alle notizie generalmente valide riportate per ogni singola specie, stupisce l’epigrammatica trattazione con cui l’autore liquida il rospo comune «Oggetto abborrito per la sua forma inerte, il triste colorito, e l’umore viscoso che brutta il suo corpo» (BALSAMO CRIVELLI 1844). Questo elenco completava le poche note di erpetologia lombarda con cui egli aveva corredato la sua traduzione italiana del “Compendio d’erpetologia o d’istoria naturale dei rettili” di BORY DE SAINT VINCENT (1835). Successivamente lo stesso Balsamo Crivelli pubblicò una nota con osservazioni sulla fortuita nascita, nel mese di gennaio, di salamandra pezzata in cattività, da adulti provenienti dalla Tremezzina, in provincia di Como (BALSAMO CRIVELLI 1854). In occasione del Secondo Congresso Agrario Lombardo nel settembre del 1864, fu pubblicato un volumetto dal titolo “Notizie naturali e chimicoagronomiche sulla provincia di Pavia” al quale contribuì anche Teodoro Prada con l’elenco di rettili e anfibi del Pavese (PRADA Giuseppe Balsamo Crivelli
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1864), nel quale incluse per la prima volta il «Triton blasii», la cui identità sarà chiarita solo un decennio più tardi da Edoardo De Betta. Nel 1873 Emilio Cornalia, in coda alla seconda memoria sul pelobate annunciò il ritrovamento di «Rana agilis» nei boschi di Somma Lombardo presso il Ticino avvalorando una precedente segnalazione di Eugenio Bettoni sul Lambro. Alla luce delle nuove scoperte riepilogò la situazione degli anuri in Lombardia che assommavano a 8 specie, compreso l’ululone, trovato a Tremezzo da Balsamo Crivelli (CORNALIA 1873b). A partire dal 1879 iniziò il periodo più fecondo per la comparsa di elenchi faunistici locali che si protrasse per oltre un decennio. I contributi pubblicati in questi anni diedero un sostanziale impulso alle conoscenze erpetologiche su vari distretti della Lombardia. Per il Mantovano si ebbe una monografia sulla storia naturale di tutto il territorio per opera di Enrico Paglia (1834-1889) che vi incluse un elenco erpetologico (PAGLIA 1879). A dire il vero per la parte ofidiologica ricalcava quanto scritto da Bendiscioli, annoverando anch’egli sei specie di vipera. Questo contributo non brillava per esattezza e attendibilità e fu apertamente criticato anche da Lorenzo Camerano: «è cosa veramente deplorevole che certi cataloghi faunistici locali siano fatti in questo modo» (CAMERANO 1889). Nel 1881 Felice Mazza, uno studente in Medicina residente a Varzi, incoraggiato da Pietro Pavesi, professore di Zoologia all’Università di Pavia, pubblicò un catalogo dei vertebrati della Valle Staffora in cui annoverò 7 specie di rettili e 9 di anfibi, includendovi anche l’ululone «Bombinator igneus» in virtù di un’unica osservazione a Varzi, prima segnalazione di questa specie nella Lombardia a sud del Po (MAZZA 1881). Una gita studentesca nella stessa Valle Staffora aveva offerto l’occasione nell’aprile 1875 a un altro studente dell’Università di Pavia, Carlo Fabrizio Parona, di compiere alcune osservazioni sulla morfologia e sull’accoppiamento di Bufo viridis (PARONA 1875). Nel 1883 comparve, a firma di Camillo Campeggi, un opuscolo stampato in proprio dal titolo “Catalogo dei Rettili ed Anfibi presi nei dintorni di Milano”, in cui l’autore con rara semplicità dichiarò di non narrare fatti nuovi o descrivere specie inedite, ma di riportare solo i risultati raccolti nelle sue «zoologiche passeggiate». Nonostante ciò lo studio riguardò 7 specie di rettili e 8 di anfibi trovate nei dintorni della città, nella sua immediata periferia o, come nel caso del rospo smeraldino, nelle strade urbane durante le serate piovose (CAMPEGGI 1883). Un anno più tardi, spettò al bresciano Eugenio Bettoni (1845-1898) l’inclusione nei suoi “Prodromi della faunistica bresciana” di 8 specie di rettili e 6 di anfibi (BETTONI 1884). Verso la fine del decennio a breve distanza comparvero, per opera di Angelo De Carlini prima e Bruno Galli Valerio poi, due interessanti lavori sulla fauna vertebrata della Valtellina (SO), territorio fino ad allora quasi completamente trascurato dai principali vertebratologi, fatta eccezione per l’avifauna. Il primo contributo, che fu pubblicato sugli Atti della Società italiana di Scienze naturali nel 1888, non comprendeva la Val Chiavenna nell’area presa in considerazione, perché ritenuta un territorio distinto. De Carlini elencò 11 specie di rettili e 8 di anfibi, indicandone la distribuzione locale e riportando quanto pubblicato da altri autori per le zone limitrofe come il Trentino, il Bresciano, il Canton Ticino e l’Alta Engadina (DE CARLINI 1888). Trascorso un biennio, Galli Valerio, che aveva contribuito con personali osservazioni all’opera di De Carlini, fece stampare a Sondrio un volumetto dal titolo
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“Materiali per la fauna dei vertebrati valtellinesi”.Scopo dell’autore era quello di produrre un manuale adatto ai suoi convalligiani e disponibile in commercio, a differenza del saggio di De Carlini più tecnico e non in vendita al pubblico. Il contributo di Galli Valerio, oltre a distinguersi dall’altro per i confini dell’area in esame (comprendeva anche la Val Chiavenna), differiva anche per il numero di taxa erpetologici considerati: 10 rettili e 10 anfibi. La discrepanza nel numero di rettili consisteva nel fatto che Galli Valerio non prese in considerazione l’Emys orbicularis, ricordata invece da De Carlini, poiché la riteneva non autoctona. Il maggior numero di anfibi è invece spiegabile con l’aggiunta della Salamandra atra, segnalatagli da pastori e contadini sui monti del Chiavennasco, e con la trattazione della Rana agilis la cui presenza nell’elenco aveva la sola funzione di cancellare la specie dalla fauna valtellinese in cui egli stesso l’aveva incautamente inclusa in base a un’errata determinazione (GALLI VALERIO 1890). Da entrambi i lavori, comunque, emerge una particolare conoscenza faunistica del territorio, testimoniata dai numerosi riferimenti a precise località dell’area di studio e agli habitat frequentati dalle varie specie. La fauna di altitudine della province di Sondrio e di Brescia figurò anche negli studi di Silvio Calloni (1851-1931), assistente di Zoologia all’Università di Pavia, che nel 1889 pubblicò un’importante memoria dal titolo “La Fauna nivale con particolare riguardo ai viventi delle alte Alpi”. In essa l’autore trattò i vertebrati e gli invertebrati delle vette dell’intero arco alpino includendoli in grandi tabelle indicative della loro presenza nei diversi gruppi alpini, nonché del limite distributivo inferiore e della quota massima frequentata. Particolare cura dedicò a compendiare la distribuzione verticale della fauna individuando due zone: la «sottonivale» (da 2.500 a 2.800 metri) e la «regione nivale» (da 2.801 a 4.810 metri), a sua volta divisa in «nevati» (da 2.801 a 4.000 metri) e «nevi eccelse» (da 4.001 a 4.810 metri).Tra le specie rilevate nei gruppi del Bernina, Disgrazia, Cevedale e Adamello figurano la lucertola vivipara, il marasso, la vipera, la rana temporaria, la salamandra nera e, ad eccezione del Disgrazia e del Bernina, il tritone alpestre (CALLONI 1889). Chiude il quadro delle faune erpetologiche locali il contributo di Pietro Giacomelli “Erpetologia orobica”, dove venivano descritte le 14 specie di rettili e le 14 di anfibi in maniera esauriente e puntuale,con numerosi riferimenti topografici alle stazioni di rinvenimento e alle relative altitudini (GIACOMELLI 1897). Riferimenti erpetologici di interesse lombardo si rinvengono anche in opere relative al Veneto; così Bernardino Angelini, in una nota sulla distribuzione del marasso nel Veronese, incluse segnalazioni per alcune località del Mantovano prossime al confine (ANGELINI 1817).Tra gli altri autori veneti che riportarono notizie erpetologiche di pertinenza lombarda nei loro scritti ricordiamo: Ciro POLLINI (1816), Abramo MASSALONGO (1853, 1854), Edoardo DE BETTA (1878, 1879),Alessandro Pericle NINNI (1880). Non sarebbe completa questa rapida rassegna delle opere ottocentesche se non si ricordasse il fondamentale apporto delle grandi monografie a carattere nazionale di Bonaparte, Genè, De Betta e Camerano che, oltre ad aver contribuito all’arricchimento delle cognizioni erpetologiche in Italia e in Lombardia, diedero segnalazioni di rettili e anfibi nell’area di nostro interesse. Primo tra tutti Carlo Luciano Bonaparte che dedicò il secondo volume della sua monumentale “Iconografia della Fauna italica” ad anfibi e rettili realizzando quella che fu definita la prima «Erpetologia compiuta d’Italia» (ANONIMO 1842). Nel prospetto editoriale edito insieme al primo fascicolo che doveva servire di saggio per il piano dell’opera, Bonaparte dichiarò: «Inten-
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de l’autore comprendervi di mano in mano tutte le specie di rettili nostrali, perché gli sembra che l’erpetologia italiana sia ravvolta di tale oscurità da abbisognare di una illustrazione universale» (BONAPARTE 1832-1841). Occorre ricordare che le splendide tavole litografiche colorate a mano hanno aiutato generazioni di studiosi a identificare le specie italiane. Via via che uscivano i singoli fascicoli dell’“Iconografia” di Bonaparte, lo zoologo Giuseppe Genè (1800-1847) li recensiva sulle pagine della Biblioteca italiana aggiungendovi proprie osservazioni, talvolta riguardanti l’erpetologia lombarda, come nel caso del biacco di cui descrisse i corteggiamenti osservati nella valle del Ticino, nelle pianure milanesi e in LoTritoni, da BONAPARTE (1832-1841). mellina (GENÉ 1839). Il punto delle conoscenze sui vertebrati dell’Italia ormai unificata fu fatto nei primi anni Settanta, allorché l’editore Francesco Vallardi di Milano concepì l’idea di affidare la compilazione di una “Fauna d’Italia” a illustri naturalisti del settore. Per realizzare la parte relativa a rettili e anfibi fu scelto Edoardo De Betta (1822-1896) che, anche in questa sede, contribuì alle conoscenze lombarde con citazioni specifiche e corresse l’errore sulla presenza di «Triton blasii» in Italia. Questo urodelo era stato annoverato da PRADa (1864), in base alle assicurazioni di Balsamo Crivelli che aveva ricondotto a questo taxon due esemplari da lui raccolti nel Pavese.Approfondendo l’indagine, De Betta giunse alla conclusione che si trattava di due tritoni crestati con colorazione anomala e che la specie andava rimossa dall’elenco degli anfibi italiani (DE BETTA 1874). In meno di un decennio, inoltre, Lorenzo Camerano (1856-1917), professore di Anatomia e Fisiologia comparate all’Università di Torino, illustrò l’intera fauna erpetologica italiana mediante una serie di accurate monografie riferite ciascuna a un ordine (CAMERANO 1883, 1885, 1886, 1889, 1891). In questi contributi le segnalazioni per la Lombardia si rinvengono sia nella trattazione delle specie, sia negli elenchi di reperti delle collezioni del Museo zoologico di Torino che l’autore riporta corredati dai dati morfometrici. Dati faunistici lombardi, relativi soprattutto alla provincia di Pavia, si ritrovano infine,in un contributo di Enrico Hillyer Giglioli (1845-1909) sui vertebrati italiani di interesse alieutico, ossia anfibi, pesci e altri vertebrati ittiofagi (GIGLIOLI 1880). L’elenco, redatto come catalogo del materiale inviato dall’Istituto di Studi Superiori di
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Firenze all’Esposizione internazionale di Pesca a Berlino nel 1880, si basa sui reperti della Collezione centrale degli animali vertebrati italiani, fondata dallo stesso Giglioli e ancora oggi presenti nelle collezioni fiorentine.Allo stesso evento partecipò anche Pietro Pavesi (1844-1907) esponendovi materiale del Museo di Zoologia di Pavia, tra cui due natrici (PAVESI 1880). Il tipico interesse ottocentesco per gli esemplari aberranti nella livrea o affetti da teratologie si riverbera anche nell’erpetologia lombarda.Porta la firma di Pietro Pavesi una memoria sull’albinismo negli anfibi in cui, dopo una rassegna bibliografica sull’argomento,l’autore descrisse alcuni esemplari albini di Rana esculenta per lo più raccolti in provincia di Pavia (PAVESI 1879). La stessa provenienza avevano i tre serpenti albini studiati da Pietro Romualdo Pirotta (1853-1936) e rappresentanti un fenomeno ancor meno frequente ai tempi (PIROTTA 1879). Più numerosi invece i casi di polimelia e melomelia studiati da autori lombardi in Rana esculenta (BALSAMO CRIVELLI 1865; PARONA 1879, 1881; SORDELLI 1877, 1878; MAZZA 1888). DAL 1900 ALL’ATLANTE ERPETOLOGICO LOMBARDO - Gli inizi del XX secolo videro la pubblicazione di due apprezzatissimi manuali dell’editore Ulrico Hoepli, opera del medico e zoologo milanese Carlo Vandoni (1884-1968).“I rettili d’Italia” e “Gli anfibii d’Italia”furono scritti per ovviare alla mancanza di opere di sintesi facilmente reperibili sulla fauna erpetologica nazionale e per fornire un accessibile strumento di studio a un vasto pubblico in un momento in cui mancavano ancora notizie faunistiche su rettili e anfibi delle varie regioni italiane (VANDONI 1914a, 1914b). Ispirandosi agli autori tedeschi e inglesi suoi contemporanei, l’autore fece ricorso alla fotografia per illustrare i due volumetti, ritraendo gli individui viventi ospiti dei suoi terrari.Vandoni infatti fu uno dei primi terraristi italiani, come testimoniano le appendici ai manuali che offrono indicazioni pratiche per il mantenimento di questi animali in cattività. Le collezioni erpetologiche radunate da Vandoni durante la sua attività furono da lui stesso a più riprese donate al Museo civico di Storia naturale di Milano, per contribuire alla ricostituzione delle raccolte distrutte durante la seconda guerra mondiale (MOLTONI 1969). Nei primi anni del Novecento, Sordelli documentò uno dei primi casi di «importazione involontaria di erpetofauna», una Tarentola mauritanica presa alla Stazione Centrale di Milano (SORDELLI 1908). Presso la Civica Stazione Idrobiologica e l’Università di Milano operò, fiNatrice tassellata albina, studiata da PIROTTA 1879 no al suo allontanamento nel 1938 in (Museo di Storia naturale dell’Università di Pavia).
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Ramarro, in una tavola fotografica di VANDONI (1914b).
seguito alle leggi razziali, l’ittiologo Felice Supino (1871-1946) che si occupò tra l’altro della metamorfosi dell’axolotl in condizioni sperimentali pubblicando in merito tre interessanti contributi (MANFREDI 1971). Nel 1923 uscì a Bergamo un volume riccamente illustrato sui vertebrati delle Alpi. L’autore, il perito chimico e naturalista Renato Perlini (1872-1924), dedicò alcuni capitoli a rettili e anfibi, aggiungendo a notizie desunte dalla letteratura più recente anche proprie osservazioni sulla lucertola vivipara, il marasso, la vipera, la rana temporaria, la salamandra nera e il tritone alpestre, con nuove località di ritrovamento di queste specie per le Prealpi bergamasche (PERLINI 1923). Dal 1926 al 1943 operò presso il Museo civico di Storia naturale di Milano Giuseppe Scortecci (1898-1973), nota figura di esploratore e raccoglitore che intraprese numerose missioni negli ambienti desertici di Somalia, Libia, Stati Uniti, Messico e Arabia meridionale (SARÀ 1974). Specialista in erpetologia sistematica, Scortecci condusse ricerche di fisiologia e anatomia degli agamidi e studiò diverse collezioni radunate da lui stesso o da altri, pubblicando vari lavori e descrivendo specie nuove. Tra le opere sull’erpetologia africana è notevole la monografia “Gli ofidi velenosi dell’Africa italiana” (SCORTECCI 1939). Riscosse ampio consenso anche come divulgatore,tanto che il suo enciclopedico trattato sugli animali è stato per molti anni una delle più popolari opere zoologiche nel nostro paese (SCORTECCI 1955). Nel campo delle indagini di laboratorio che coinvolgevano anche lo studio anatomico e fisiologico di rettili e anfibi, nel XX secolo si distinsero in Lombardia Maffo Vialli (1897-1983) a Pavia e Silvio Ranzi (1902-1996) a Milano. Il primo si occupò, tra l’altro, di ricerche sull’intestino dei rettili, sulla metamorfosi degli anfibi e sui veleni della cute di anuri e urodeli (GERZELI 1984). Il secondo si dedicò invece agli studi embriologici e istologici sulla rana verde e su Xenopus (BACCETTI 1997). Entrambi durante la loro lunga e operosa carriera ebbero numerosi allievi che ancora oggi ne seguono le orme. Nella seconda metà del Novecento le ricerche faunistico-erpetologiche di campo sembrarono segnare il passo e si registrarono sporadiche segnalazioni e alcuni contri-
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buti territoriali, talvolta promossi da enti locali di protezione, da parte di pochi studiosi. A partire dagli anni Ottanta, tuttavia, si assistette a una nuova primavera dell’interesse per lo studio di rettili e anfibi in Lombardia grazie all’opera di vari ricercatori gravitanti prevalentemente intorno al Dipartimento di Biologia animale dell’Università di Pavia e al Museo civico di Storia naturale di Milano. Un ruolo trainante ebbe l’indimenticabile amico Francesco Barbieri (1944-2001), docente a Pavia, che con la sua passione e personalità seppe raccogliere intorno a sé molte delle nuove leve dell’erpetologia lombarda. A lui si devono, oltre a numerosi contributi specialistici a carattere ecologico, indagini erpetologiche in vari parchi e aree della regione quali la provincia di Pavia, il Parco del Ticino e dell’Alto Garda Bresciano. Fondamentale anche il ruolo di Checco Barbieri nella genesi dell’atlante degli anfibi e dei rettili italiani, avviato nel 1994 e oggi prossimo alla stampa, oltre che nella fondazione nel 1995 della Sezione Lombardia della Societas Herpetologica Italica e nel coordinamento del presente atlante. Nel settembre del 2000 il 3° Congresso nazionale della Societas Herpetologica Italica si è svolto a Pavia con la partecipazione di oltre 150 addetti ai lavori provenienti da tutta Italia e la presentazione di una novantina di contributi (Atti… 2001). Questo lusinghiero successo e il compimento dell’Atlante regionale rappresentano una tappa importante di arrivo e uno stimolante punto di partenza per l’erpetologia lombarda del terzo millennio. RINGRAZIAMENTI - Un sentito ringraziamento per il contributo bibliografico e per il permesso di riprodurre alcune illustrazioni alla Biblioteca Universitaria di Pavia, alla Biblioteca del Museo civico di Storia naturale di Milano,alla Biblioteca Estense Universitaria di Modena, al Museo per la Storia dell’Università di Pavia e al Museo di Storia naturale dell’Università di Pavia. Gli Autori sono inoltre grati al prof. Paolo Mazzarello (Università di Pavia) per le preziose indicazioni.
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Aspetti climatici
La Lombardia presenta un clima moderatamente continentale, caratterizzato da estati piuttosto lunghe e calde, inverni relativamente freddi, precipitazioni più abbondanti nelle stagioni intermedie, ma ben distribuite nel corso dell’anno; altri elementi caratteristici sono la scarsa ventilazione, le nebbie nel periodo autunnale e invernale in pianura, i frequenti temporali estivi. Notevoli sono comunque le differenze all’interno della regione, non solo a causa dell’altitudine, in un territorio che si estende fin oltre i 4.000 m di quota, ma anche della posizione rispetto all’imponente sbarramento rappresentato dalla catena alpina. In particolare le precipitazioni sono molto influenzate dal rilievo, con un forte gradiente dall’asse della pianura fino alla catena prealpina, mentre più uniforme si presenta il quadro termico. Per quanto riguarda la temperatura, su gran parte della regione al di sotto dei 300 m di quota i valori medi annui sono compresi fra 12 e 14°C. Analizzando i valori estremi, il mese più freddo, ovunque gennaio, è generalmente compreso fra 0 e +3°C, mentre il più caldo, di solito luglio, fra 22 e 24°C. Più favorite nelle temperature invernali sono le località prossime alle pendici prealpine e la zona dei laghi, la Regione Insubrica ben nota ai botanici. Motivo di ciò è sia la protezione offerta dalla barriera alpina, con frequenti effetti favonici sui venti settentrionali, sia il maggiore soleggiamento per l’assenza di nebbie. Proprio queste ultime, spesso associate a situazioni di inversione termica, sono invece la causa delle temperature invernali inferiori e, nel complesso, della maggior continentalità della bassa pianura, con escursioni annue che raggiungono i 22-23°C. La diminuzione delle temperature con l’aumentare dell’altitudine si presenta piuttosto irregolare, specialmente nella stagione invernale;la topografia e l’esposizione dei versanti giocano infatti un ruolo molto importante e possono compensare differenze di altitudine anche notevoli. Si hanno così località poste a quote piuttosto elevate (fino a 1.000 m), ma su versanti ben soleggiati e protetti, che presentano temperature non molto diverse dalla pianura e sensibilmente superiori a quelle di località a quote inferiori, ma situate al piede di versanti rivolti a nord o in conche e fondivalle ombrosi (Fig. 1). Le precipitazioni presentano un regime di tipo sublitoraneo con due massimi, in primavera e autunno, e due minimi, in inverno ed estate; nella regione alpina il massimo primaverile tende ad essere ritardato, estendendosi all’estate, e andando quindi ad allinearsi con il regime più propriamente continentale. I quantitativi annui vanno crescendo dai 600-700 mm dei settori più meridionali (bassa pianura e Oltrepò pavese) ai 1.100-1.500 mm della fascia pedemontana; sulle Prealpi si raggiungono i massimi della regione, con volumi che spesso superano i 2.000 mm (alto Varesotto, Lario, valli bergamasche). Addentrandosi nella regione alpina, i quantitativi raccolti vanno calando, talvolta in modo vistoso, tanto da trovarsi di fronte a vere isole di depressione pluviometrica, quali, in particolare, l’alta Valtellina (SO), ove in alcune zone del fondovalle non si superano i 700 mm. Meno marcate le differenze nel numero di giorni piovosi, compreso fra 80 e 120 su gran parte della regione.Va ricordato che nell’Appennino pavese il rilievo non esercita effetti apprezzabili sulle precipitazioni, che si mantengono su valori simili a quelli della pianura prospiciente, eccetto che nella parte più alta del bacino dello Staffora (Fig. 2).
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Fig. 1: temperatura media annua in Lombardia.
Fig. 2: precipitazioni medie annue in Lombardia.
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località
Voghera (PV) Pavia Bergamo S. Pellegrino (BG) Bormio (SO)
T min/max gennaio
T min/max luglio
precipitazioni in mm
giorni piovosi
-2,7/+3,4 -1,7/+3,3 -2,3/+5,3 -1,4/+6,4 -6,0/+2,8
16,5/29,4 17,0/29,5 16,5/28,2 12,9/25,6 10,8/22,5
634 812 1.154 1.566 695
75,5 81,1 97,5 111,4 91,4
Tab. 1: valori climatici di alcune località lombarde (periodo di riferimento: 1951-1971, eccetto Bergamo: 1956-1974); fonte Ufficio centrale Ecologia agraria.
NICOLA PILON
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Aspetti vegetazionali
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Dal punto di vista fitogeografico la Lombardia appartiene essenzialmente alla regione medioeuropea, mentre al margine prealpino il distretto insubrico si distingue per gli spiccati caratteri submediterranei, che si manifestano in particolare lungo le sponde lacustri. Le Alpi costituiscono una vasta catena montuosa con cime elevate, dove si manifestano vegetazioni legate agli ambienti di quota. L’articolazione morfologica e la variabilità climatica sono alla base della diversità vegetazionale osservabile in Lombardia. AMBIENTI PLANIZIALI - Gli ambienti planiziali si sono originati a seguito dei fenomeni di morfogenesi che hanno interessato la pianura nel corso del Quaternario, costituiti prevalentemente da alluvioni di tipo fluvio-glaciale. La superficie primitiva del livello fondamentale della pianura presentava ampie ondulazioni, come diretta conseguenza di questi fenomeni deposizionali. A partire dalla fine dell’ultimo periodo glaciale, la superficie principale è stata incisa dai corsi d’acqua, dando origine a valli fluviali terrazzate. La ricchezza morfologica di queste valli fluviali consente un’elevata diversificazione ambientale, dovuta anche ai processi dinamici, quali fenomeni di sedimentazione o erosione, sempre in atto. La vegetazione spontanea planiziale attualmente è frammentaria, limitata ai pochi ambienti non utilizzabili ai fini agricoli. Le maggiori estensioni si collocano lungo le valli fluviali, mentre il livello fondamentale della pianura presenta ridottissime estensioni di vegetazione spontanea. Di conseguenza, la definizione degli ambienti vegetali originari rappresenta un compito problematico. Possibili ricostruzioni sono basate sui documenti storici disponibili e sui dati paleoambientali. Da queste indagini risulta un’elevata variabilità vegetazionale, con ampi spazi occupati dalla vegetazione acquatica e palustre, a cui si alternavano estese formazioni forestali igrofile o mesofile. Infine, non mancavano esempi di vegetazione xerotermofila, localizzata sugli alti morfologici, caratterizzati da elevato drenaggio. Le formazioni forestali planiziali probabilmente erano costituite da foreste a querce prevalenti, apparentabili con i quercocarpineti di tipo centroeuropeo. Le differenti condizioni edafiche dei terrazzi dell’alta pianura dovevano favorire la presenza di specie acidofile. Oggi su queste superfici una vegetazione caratteristica è quella delle brughiere, arbusteti derivati dalla deforestazione, che rappresentano uno stadio di ricostruzione della vegetazione forestale. A valle della linea dei fontanili, le condizioni di notevole disponibilità idrica e falda subsuperficiale dovevano favorire boschi igrofili, quali le alnete. Inoltre erano notevolmente estese le formazioni palustri, oggi estremamente ridotte. In questi contesti ambientali era presente un contingente di specie microterme montane, fluitate lungo i fiumi o presenti come veri relitti glaciali. L’attuale vegetazione forestale della pianura è rappresentata da diversi boschi collocati soprattutto lungo le valli fluviali. Per la valle del Ticino sono stati descritti boschi mesofili a geofite, quali Convallaria majalis, Polygonatum multiflorum e Asparagus tenuifolius, denominati Polygonato multiflori - Quercetum roboris.Tra le formazioni forestali più diffuse si ricordano le alnete, boschi dominati da Alnus glutinosa. Si tratta di 1
Il testo è basato sui seguenti contributi: ANDREIS 1993; GIACOMINI 1946; GIACOMINI & FENAROLI 1958; PIROLA 1984; I tipi... 2002.
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boschi igrofili che occupano le zone depresse con ristagno d’acqua, spesso di difficile interpretazione vegetazionale a causa dell’impoverimento floristico causato dalla gestione a ceduo e dal drenaggio artificiale.Altre formazioni forestali diffuse in pianura sono i saliceti, boschi e boscaglie ripariali tipici delle zone frequentemente inondate e sviluppati nella fascia compresa tra il livello delle piene normali e il livello medio delle acque nei periodi di magra. Sono caratterizzati dalla dominanza di varie specie di salice (Salix alba, S. eleagnos, S. triandra, S. purpurea, S. fragilis). Quasi del tutto scomparsa è la vegetazione dei sabbioni, dossi sabbiosi presenti soprattutto in Lomellina. Sui pochi sabbioni residui la vegetazione è oggi costituita prevalentemente da boschetti degradati a robinia. Fino a pochi decenni fa esistevano dossi sufficientemente conservati, dove si potevano riconoscere facies di vegetazione erbacea tipiche, con la presenza di specie caratteristiche delle dune sabbiose continentali, come Corynephorus canescens. AMBIENTI FLUVIALI E ACQUATICI - Negli ambienti fluviali attuali la variabilità ambientale è data dai fenomeni di sedimentazione ed erosione, oggi condizionati dalle opere idrauliche di arginamento, che sono alla base dei processi che innescano serie vegetazionali generalmente a lenta evoluzione, distribuite in funzione della distanza dall’asta fluviale attuale. Tra gli ambienti presenti si devono quindi distinguere quelli prossimali all’asta fluviale, ad elevata energia, in cui i sedimenti sono rimaneggiati nel corso delle piene ordinarie, dagli ambienti raggiunti solo dalle piene eccezionali o che sono del tutto all’esterno dell’area di esondazione attuale, in cui saranno prevalenti i processi di interramento con formazione di suoli organici. Un cenno a parte va fatto per i corsi d’acqua artificiali che solcano la pianura, a partire dai maggiori, rappresentati dai navigli e dalle varie derivazioni idroelettriche, fino a quelli di minori dimensioni, come i fossi scavati per l’irrigazione. La vegetazione presente è qui fortemente influenzata dal tipo di gestione cui questi corsi sono sottoposti e spesso manca una vegetazione ripariale significativa.A livello floristico le comunità vegetali delle acque dolci europee presentano una composizione simile in tutto il continente, pertanto sono considerate come appartenenti a vegetazioni di tipo azonale. L’inquadramento della vegetazione acquatica non è agevole, date le caratteristiche peculiari della sua flora, l’elevata variabilità nel numero di specie da un sito all’altro e le variazioni fenologiche ed ecologiche che avvengono nel corso della stagione vegetativa. In generale sono presenti le associazioni riconducibili nell’ambito del Potamogetonetalia e del Callitricho-Ranunculetalia. Ambienti peculiari sono costituiti dai fontanili, dove la costanza del deflusso idrico e della temperatura dell’acqua nel corso dell’anno consentono l’instaurarsi di comunità di macrofite palustri ed acquatiche piuttosto ricche.Tra le specie più diffuse si segnalano Callitriche stagnalis, Potamogeton spp., Apium nodiflorum, Ranunculus trichophyllus, Ceratophyllum demersum e la briofita Fontinalis antipyretica. Le torbiere di pianura, un tempo diffuse a formare fasce caratteristiche, ad esempio alla base dei terrazzi fluviali, oggi sono generalmente bonificate e la torba è sepolta. In alcuni casi è presente una vegetazione male conservata a canneto, ontaneto e saliceti arbustivi. AMBIENTI APPENNINICI - Dal punto di vista vegetazionale, l’Oltrepò pavese si caratterizza per la presenza di formazioni xerofile a roverella, di composizione floristica variabile in funzione della quota, e di orno-ostrieti, inseriti nel Laburno-
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Ostryon, quindi differenziati da quelli prealpini. Una vegetazione tipica è data dalle cerrete, frequenti su suoli limoso-argillosi, che garantiscono la riserva idrica necessaria alla specie. In questi boschi, lo strato arbustivo è ricco di specie quali Sorbus torminalis, Juniperus communis e Prunus spinosa. Tra le formazioni diffuse nel piano submontano, si segnalano i querco-carpineti, spesso convertiti in castagneti, con specie, quali Physospermum cornubiense, che caratterizzano questi boschi nell’Appennino settentrionale. I pascoli submontani sono rappresentati principalmente da formazioni xerofile a Bromus erectus e Brachypodium pinnatum, mentre nelle posizioni più calde sono presenti pascoli a barba d’oro (Chrysopogon gryllus). Nel piano montano i pascoli sono rappresentati da brachipodieti, mentre aspetti mesofili sono costituiti da pascoli a covetta (Cynosurus cristatus); nelle posizioni migliori si trovano prati ad Arrhenatherum elatius (arrenatereti). In questa fascia montana sono presenti faggete caratterizzate da una composizione floristica differente rispetto a quelle alpine, con specie quali Trochiscanthes nodiflora e Sesleria autumnalis, che di conseguenza vengono riferite al Trochiscantho-Fagenion. Formazioni rupicole interessanti si rinvengono sulle rocce ofiolitiche, in particolare il sedo-asplenieto con Asplenium cuneifolium e Cheilanthes marantae, mentre sui detriti derivanti dal loro disfacimento è presente l’alisso-euphorbieto, con Alyssum bertolonii ed Euphorbia spinosa. Le conifere sono poco presenti o del tutto assenti nella vegetazione naturale, ma sono state diffusamente impiantate a scopo di rimboschimento, in particolare con pino nero e pino silvestre. AMBIENTI COLLINARI PREALPINI - La vegetazione degli ambienti collinari è in funzione del substrato e dell’intervento antropico, che spesso ha originato formazioni peculiari come le selve castanili o, più recentemente, i robinieti, esempio di vegetazione forestale fortemente alterata. I boschi dei versanti meridionali delle colline su rocce carbonatiche rappresentano un aspetto di vegetazione termofila. Lo strato arboreo generalmente non è chiuso, il che permette lo sviluppo di un ricco strato arbustivo a Cytisus, Amelanchier, Ligustrum ed uno strato erbaceo che comprende specie xerotermofile come Bromus erectus, Brachypodium pinnatum, Asperula purpurea, Galium rubrum ed Anthericum ramosum. Lo strato arboreo vede la presenza di carpino nero, orniello e roverella. Negli aspetti caratterizzati da una certa mesofilia, la chiusura dello strato arboreo causa un deciso impoverimento di quello erbaceo, che di solito è dominato da Sesleria varia. In corrispondenza di suoli più profondi e decarbonati, almeno negli orizzonti superficiali, si sviluppa una vegetazione di tipo neutro-acidofilo, apparentabile ai querceti a rovere e roverella (Quercetum pubescenti-petraeae). Sui versanti ad esposizione settentrionale la vegetazione è di tipo mesofilo, evidenziata dalla presenza di elementi quali il carpino bianco ed altri quali Asarum europaeum, Acer pseudoplatanus e Mercurialis perennis, che fanno parte del gruppo del Carpinion betuli. Su substrati acidi o su suoli comunque decarbonatati si ritrovano dei querceti mesofili a rovere, spesso convertiti in castagneti. Tra le specie erbacee vanno segnalate: Lamium orvala, Carex umbrosa, Hierochloë australis e Teucrium scorodonia. Spesso la ceduazione ha favorito le specie a maggiore capacità pollonante e, grazie alla rarefazione dello strato arboreo, le specie erbacee eliofile, quale ad esempio la molinia. In vicinanza dei laghi prealpini, la vegetazione risente di influssi climatici di tipo submediterraneo. Questo è evidenziato dalla presenza di essenze che si trovano presso il mar-
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gine settentrionale del loro areale. In particolare, sono presenti arbusteti di Erica arborea che danno una fisionomia tipicamente insubrica alla vegetazione di bosco aperto e arbusteto, sviluppata su suoli non calcarei, almeno negli orizzonti superficiali.Anche in zona collinare la vegetazione è stata ampiamente rimodellata dall’azione dell’uomo. Un aspetto tipico di degrado della vegetazione è rappresentato dai boschi di robinia, floristicamente poveri, in cui sono presenti anche altri elementi esotici, quali Lonicera japonica e Phytolacca americana. Il sottobosco è generalmente caratterizzato da un fitto intreccio di rovi,caprifoglio e vitalba,mentre evonimo e sambuco compaiono solo negli aspetti più maturi. Aspetti legati all’uso tradizionale dei territori di collina sono rappresentati dalle selve castanili, oggi generalmente abbandonate o allevate a ceduo, a seguito dei problemi fitosanitari del castagno. AMBIENTI MONTANI E SUBALPINI - Negli ambienti montani una fondamentale distinzione è data dalla posizione rispetto alla catena alpina. Nelle zone periferiche sono presenti boschi mesofili di impronta oceanica dominati dal faggio. Questa specie cresce sia su substrati carbonatici sia cristallini, perciò la sua distribuzione è legata principalmente a fattori climatici. In particolare gli stress idrici nel periodo primaverile sono in grado di impedirne la crescita. In funzione del tipo di substrato e della quota si possono distinguere faggete acidofile, caratterizzate da specie quali Luzula nivea, Gymnocarpion dryopteris, Majanthemum bifolium e Vaccinium myrtillus. Su substrato carbonatico il numero di specie è elevato, nel sottobosco sono presenti arbusti quali Rosa sp., Daphne mezereum e Lonicera sp., mentre lo strato erbaceo vede la presenza di Sesleria varia, Cyclamen purpurascens ed Helleborus niger. Verso il limite superiore di distribuzione fanno il loro ingresso specie meno termofile, quali Abies alba, Larix decidua e Picea excelsa, con un sottobosco ricco di felci. Nella parte interna delle Alpi il clima di tipo continentale favorisce la presenza di aghifoglie, rispetto alle latifoglie. I boschi di latifoglie, privi del faggio, sono formati principalmente da rovere o, più frequentemente, sono trasformati a castagneto. Gli aspetti prevalenti sono dati dai boschi di conifere: pinete di pino silvestre alla base dei versanti, peccete nel piano montano e subalpino, mentre laricete e cembrete rappresentano i boschi di quota più elevata. Il cembro, in particolare, rappresenta sulle Alpi un relitto glaciale, che caratterizza le aree a maggiore continentalità. Il pino silvestre si rinviene sia su substrato carbonatico sia cristallino, generalmente su suoli oligotrofi, dando origine a comunità diversificate. Le comunità su calcare fanno parte dell’Erico-Pinion, mentre più complesso è l’inquadramento delle situazioni su silice o in cui questa conifera convive con le latifoglie. Le peccete montane si riconoscono per la densità dello strato arboreo, che lascia pervenire poca luce a livello del suolo. Di conseguenza, gli strati arbustivo ed erbaceo sono molto radi e in queste situazioni tendono ad abbondare le briofite. Nell’orizzonte subalpino queste formazioni si fanno più aperte, con la presenza abbondante di ericacee. Il limite della vegetazione arborea è dato dalle laricete, in cui l’eliofilia del larice non consente la formazione di uno strato arboreo denso ed il sottobosco è caratterizzato dalla copertura di mirtilli e rododendri. I lariceti possono essere trasformati a pascolo alberato, riconoscibile per la mancanza degli arbusti e per una composizione floristica dello strato erbaceo simile a quella dei pascoli circostanti. Nelle zone più interne delle Alpi si possono ritrovare formazioni a cembro, che tendono a sostituire le laricete nelle aree ad elevata continentalità. Il
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cembro è specie a ciclo biologico più lento rispetto al larice, sia rispetto alla crescita vegetativa sia rispetto alla biologia riproduttiva; si innesca quindi una serie dinamica in cui il larice, grazie ai semi dispersi dal vento ed alla capacità colonizzatrice, forma un bosco aperto, nel quale, successivamente, si può insediare il cembro, con maggiori esigenze edafiche e a diffusione più lenta, dato che il seme pesante richiede una disseminazione zoocora. Mediante il disboscamento sono stati ricavati prati falciati che, a partire dal piano montano, sono caratterizzati dalla presenza della graminacea Trisetum flavescens. Questi prati devono il proprio mantenimento all’azione continua dell’uomo che, attraverso lo sfalcio e la concimazione, seleziona una componente floristica peculiare, formata prevalentemente dalle specie in grado di riprodursi per via vegetativa, generalmente stolonifere, nonché dalle specie nitrofile. In ambiente alpino lo sfalcio è compiuto ancora oggi fino a quote vicine e a volte superiori ai 2.000 metri. La flora rupestre delle Prealpi è rappresentata da un ricco insieme di specie endemiche, che definiscono quest’area come uno dei principali centri di biodiversità delle Alpi, con stenoendemismi quali Saxifraga presolanensis, Moehringia dielsiana, Linaria tonzigii e Primula albenensis, solo per citare alcune specie rinvenute nell’ultimo secolo. AMBIENTI ALPINI - Sopra il limite degli alberi la vegetazione è caratterizzata da pascoli e praterie alpine e la sua distribuzione dipende principalmente dalla topografia e dagli agenti geomorfologici. Fattori climatici come il vento e la copertura nevosa sono influenzati fortemente dal rilievo e danno origine a una serie di microclimi e microambienti dove le condizioni variano significativamente anche in aree ristrette. I nardeti rappresentano le tipiche praterie secondarie presenti dal piano montano alla parte inferiore del piano alpino, determinate e mantenute dall’azione del pascolo del bestiame. A livello fisionomico sono dominate dalla presenza del nardo (Nardus stricta), graminacea capace di raggiungere coperture anche molto elevate, generalmente considerate indice di degradazione del pascolo. Floristicamente i nardeti sono caratterizzati da Leontodon helveticus, Potentilla aurea, Arnica montana e Carex sempervirens, oltre che da buone foraggere quali Trifolium alpinum e Anthoxanthum alpinum. Le praterie a Festuca varia sono diffuse sui quadranti meridionali, in condizioni di pendenza elevata, a partire dal limite superiore del bosco e fino al limite superiore delle formazioni erbacee chiuse. Sono caratterizzate dai cespi di questa graminacea dalle foglie pungenti, che è accompagnata da Armeria alpina, Euphrasia minima, Geum montanum, Juncus trifidus, Phyteuma hemisphaericum, Pulsatilla alpina subsp. sulphurea, Sempervivum montanum e Botrychium lunaria. La prateria acidofila che si eleva maggiormente in quota è rappresentata dalle formazioni a carice curvula (Carex curvula). I curvuleti tipici presentano una composizione floristica ben definita, in cui le specie più frequenti sono Agrostis rupestris, Senecio incanus, Oreochloa disticha, Phyteuma globulariifolium e Pedicularis kerneri. Al di sopra dei 2.600 metri i curvuleti tendono a frammentarsi, riuscendo a formare praterie dal cotico continuo soltanto sui dossi precocemente liberi dalla neve, spesso con la presenza di Elyna myosuroides. La vegetazione acquatica in ambiente alpino è presente soprattutto in corrispondenza delle sorgenti e degli specchi d’acqua, spesso di piccole dimensioni, originati direttamente dall’azione glaciale. I laghetti alpini sono colonizzati da poche specie di idrofite, come Ranunculus trichophyllus e
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Potamogeton alpinus, cui si può unire un denso tappeto formato da alghe del genere Chara. Queste superfici sono destinate prima o poi a subire un processo d’interramento naturale, in parte dovuto ai sedimenti trasportati dai ruscelli, in parte all’accumularsi di resti vegetali. Alla vegetazione acquatica allora se ne sostituisce una di tipo palustre, che rende ancora più rapido il processo di interramento e porta infine alla formazione delle torbiere. I depositi organici che formano la torba possono raggiungere spessori considerevoli e la vegetazione che li ricopre è formata da specie igrofile e palustri diversificate in funzione del chimismo della torba e delle acque. Si distinguono torbiere a carici di tipo acidofilo, appartenenti al Caricetalia fuscae, con specie quali Carex canescens, C. echinata e Juncus filiformis. In ambienti carbonatici la vegetazione va riferita al Caricetalia davallianae, caratterizzata da Carex davalliana, C. flava, Eriophorum latifolium, Tofieldia calyculata, Primula farinosa, Parnassia palustris e Pinguicula vulgaris. Le situazioni con maggiore presenza di sfagni sono note come “torbiere alte”, riferibili prevalentemente all’Oxycocco-Sphagnetea, associazioni dominate dalle briofite con la presenza di Vaccinium oxycoccos, Andromeda polifolia, Drosera rotundifolia, Eriophorum vaginatum, Trichophorum caespitosum e Carex pauciflora. AMBIENTI PERIGLACIALI - Al di sopra dei 2.700 metri si possono già incontrare fenomeni di tipo periglaciale, che coesistono con gli ultimi lembi di vegetazione. Le specie vegetali che crescono ad alte quote presentano tipici adattamenti, quali il nanismo, il portamento reptante, la forma a cuscinetto e foglie adattate a resistere al disseccamento. Le specie rappresentative di questi ambienti sono: Androsace alpina, Gentiana bavarica, Ranunculus glacialis, Linaria alpina e Saxifraga bryoides. Questi elementi fanno parte del gruppo di fanerogame che riescono a vivere anche al di sopra del limite delle nevi perenni, in pieno orizzonte nivale, fino alle quote estreme di 3.800-4.200 metri, al di sopra delle quali sulle Alpi riescono a crescere solo poche tallofite. MARCO BARCELLA
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Paleoerpetofaune lombarde
In accordo con de RICQLÈS (1992), la paleoerpetologia può essere considerata la branca della paleontologia che si occupa dei resti fossili di quei tetrapodi che non appartengono (secondo la definizione classica) né ai mammiferi né agli uccelli. Questa definizione, poiché più ampia e ricca di significato filogenetico ed euristico, è certamente preferibile a quella che prevede che la paleoerpetologia si occupi esclusivamente dei fossili degli anfibi e rettili attuali e dei loro progenitori più diretti. Applicando alla lettera tale definizione, le paleoerpetofaune lombarde risultano essere fra le più ricche d’Italia.Le più antiche “tracce”che gli anfibi e i rettili hanno lasciato nell’area che attualmente corrisponde alla Lombardia risalgono al Paleozoico terminale: forme molto primitive impressero le impronte dei loro arti nei fanghi che, trasformati in rocce,oggi affiorano in alcune valli delle province di Lecco (Val Varrone), Sondrio (Val Gerola), Bergamo (Val Brembana) e Brescia (Val Trompia; SANTI & KRIEGER 2001 con bibliografia citata). Gli autori di tali impronte, talora riunite in vere e proprie piste, vissero nel Permiano (290-250 milioni di anni fa) e non sono direttamente riconducibili ai rari biotaxa identificati nelle aree europee circumalpine sulla base di resti scheletrici.Tali impronte sono pertanto attribuite a icnotaxa (fondati esclusivamente sulla morfologia delle impronte stesse) facenti parte di una paratassonomia icnologica, sistema parallelo di classificazione. Per quanto la paleoicnologia abbia rivelato, soprattutto negli ultimi vent’anni, una paleodiversità insospettata, la ragione principale della ricchezza paleoerpetologica della Lombardia sta nella straordinaria abbondanza e diversità dei resti mesozoici provenienti dall’area alpina; questa ricchezza consente di considerare la regione come l’area che sul pianeta ha fornito il maggior numero di informazioni relative ai vertebrati marini del Triassico medio (circa 240-230 milioni di anni fa). Nel corso di quasi due secoli, i paleontologi hanno scoperto nei giacimenti mesozoici della Lombardia resti di rettili sia marini sia terrestri. Fra i primi è possibile citare placodonti (corazzati trituratori di molluschi appartenenti ai generi Cyamodus, Placochelys e Psephoderma), ittiosauri di dimensioni modeste (Mixosaurus) o lunghi anche fino a 6 metri (Besanosaurus e Cymbospondylus), notosauri (Lariosaurus, Neusticosaurus e Serpianosaurus), plesiosauri,“coccodrilli” marini e talattosauri (Askeptosaurus, Clarazia, Endennasaurus e Hescheleria). Fra i rettili terrestri sono stati invece identificati arcosauri carnivori (Mystriosuchus e Ticinosuchus) ed erbivori (Aëtosaurus), prolacertiformi quali Langobardisaurus, Macrocnemus e il controverso Tanystropheus dal lunghissimo collo (che forse conduceva una vita almeno parzialmente acquatica), enigmatici diapsidi arboricoli (Drepanosaurus e Megalancosaurus), sfenodontidi (Diphydontosaurus), i più antichi pterosauri del pianeta (Eudimorphodon, Peteinosaurus e Preondactylus) e, recentemente, anche i resti di un dinosauro carnivoro lungo fino a 8 metri, forse il più antico carnosauro del pianeta (cfr.bibliografia citata in:PINNA & TERUZZI 1980,1991;TINTORI & ZAMBELLI 1980; NOSOTTI 1986; PINNA 1987, 1993; RENESTO 1993; TINTORI 1995; DAL SASSO 2001; DELFINO & DAL SASSO 2003). I giacimenti più importanti sono quelli del Triassico medio di Perledo e Besano, VA (affini a quelli del “contiguo”giacimento di Monte San Giorgio in Canton Ticino),
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Fig. 1: Eudimorphodon ranzii, Cene (BG), Triassico superiore, esemplare conservato presso il Museo civico di Scienze naturali di Bergamo (Archivio fotografico del Museo; per cortesia di A. Paganoni).
Fig. 2: Endennasaurus acutirostris, Zogno (BG), Triassico superiore, esemplare conservato presso il Museo civico di Scienze naturali di Bergamo (Archivio fotografico del Museo; per cortesia di A. Paganoni).
del Triassico superiore di Endenna e Cene, BG e del Giurassico inferiore di Saltrio, VA;giacimenti che aprono finestre su “tempi e mondi”sorprendentemente diversi da quelli che oggi conosciamo e i cui resti fossili, talora molto scenografici, possono essere ammirati principalmente nei musei di Bergamo, Besano, Milano e Zurigo.
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Limitando invece l’ambito della paleoerpetologia ai fossili degli anfibi e rettili attuali e dei loro progenitori più diretti (quindi ai resti dell’erpetofauna oggetto di un atlante faunistico), risulta che la Lombardia è fra le regioni più povere, situazione in parte dovuta all’importanza conferita ai resti mesozoici:per tradizione,infatti,i paleontologi lombardi si sono proficuamente concentrati nella ricerca e nello studio di tali resti, occupandosi marginalmente dei materiali più recenti. La causa principale è però probabilmente la relativa scarsità di giacimenti risalenti al Cenozoico ed in particolare al Neogene ed al Quaternario (all’incirca gli ultimi 23 milioni di anni), periodo di tempo dal quale l’attuale erpetofauna europea dipende direttamente (RAGE 1997).In questo intervallo cronologico l’area attualmente occupata dalla pianura padana ha ospitato a lungo un mare variamente profondo ed è emersa solo in tempi relativamente recenti, nel Pleistocene medio-superiore (MUSCIO 2001), dando origine ad ambienti adatti alla vita di vertebrati terrestri. È ragionevole supporre che questo territorio, una volta emerso, abbia rappresentato un’area particolarmente favorevole sia per gli anfibi sia per i rettili e che abbia costituito, in particolar modo durante i lowstand marini, ma non solo, una via preferenziale di penetrazione verso ovest di taxa provenienti dai Balcani (si suppone che la linea di costa, ovvero il margine orientale della pianura padana, abbia raggiunto Ancona durante l’acme della glaciazione würmiana, approssimativamente 30-40 mila anni fa). Sfortunatamente per i paleontologi, una pianura relativamente umida e riccamente forestata è uno dei luoghi che meno si prestano alla conservazione ed alla fossilizzazione dei microvertebrati, poiché i suoli che si sviluppano sono eccessivamente acidi e quindi troppo aggressivi nei confronti dei tessuti organici. Una delle poche eccezioni è rappresentata dalle torbiere che conservano, in modo talora anche perfetto, resti di dimensioni relativamente grandi, ma che, per varie ragioni, non restituiscono generalmente quelli dei vertebrati più piccoli. Per quanto riguarda l’erpetofauna, sono i luoghi tipici da cui provengono i resti delle testuggini palustri, ma rari sono quelli degli altri taxa (anche per ragioni semplicemente meccaniche: se pure si conservassero, non sarebbe facile isolare dalla torba ossa millimetriche quali quelle di un tritone). A causa di quanto sopra riportato, le località fossilifere lombarde che hanno restituito rappresentanti dell’attuale erpetofauna sono solo 12,mentre l’intero record neogenico-quaternario è costituito da 15 dati taxon/località che rappresentano meno del 2% di quelli disponibili a livello italiano (DELFINO 2002). Poiché non si conoscono località neogeniche, le poche informazioni disponibili riguardano il Quaternario, distinto in Pleistocene (approssimativamente 1.800.000-10.000 anni fa) e Olocene (gli ultimi 10.000 anni). I siti lombardi hanno restituito quasi esclusivamente resti di tartarughe riferibili a Emys orbicularis (Lutremys o E. europaea nella letteratura più antica): è il caso dei siti tardo pleistocenici di Desenzano, BS (PORTIS 1887), Leffe, BG (SORDELLI 1872) e Zandobbio, BG (VIALLI 1957) e di quelli olocenici di Belforte di Gazzuolo, MN (CATALANI 1986), Lagazzi di Piadena, CR (CAVALLO 2000), Rivarolo Mantovano, MN (CATALANI 1984b), Barche di Solferino, MN (SORBINI & DURANTE PASA 1974) e Torbiere di Cattaragna, BS (PORTIS 1887; SORBINI & DURANTE PASA 1974). La testuggine palustre è stata anche genericamente citata per le torbiere del Varesino (PORTIS 1887), mentre tartarughe indeterminate sono state ricondotte al sito di Poggio Rusco, MN (CATALANI 1984a). Nel sito neolitico di Vho (CR) è stata invece segnalata la presenza del genere Testudo (15 frammenti di carapace appartenenti ad un unico individuo; BARKER 1977): tale dato può essere considerato fortemente dubbio poiché il materiale non è stato
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Fig. 3: Tanystropheus longobardicus, Besano (VA),Triassico medio; esemplare conservato presso il Museo civico di Storia naturale di Milano (Archivio fotografico del Museo; fotografia di G.Teruzzi; per cortesia di C. Dal Sasso).
Fig. 4: Besanosaurus leptorhynchus, Besano (VA),Triassico medio, esemplare conservato presso il Museo civico di Storia naturale di Milano (Archivio fotografico del Museo; fotografia di L. Spezia; per cortesia di C. Dal Sasso).
descritto né figurato. Qualora una sua revisione confermasse l’identificazione del genere Testudo, dovrebbe comunque essere valutata la possibilità del trasporto di animali vivi o di loro resti da parte dell’uomo, che da sempre ha utilizzato le tartarughe come cibo, utensile, monile e forse anche per ragioni simboliche (HERVET 2000). La località pleistocenica “Buco del Frate” (BS) rappresenta l’unico caso di paleoerpetofauna sino ad ora studiata in Lombardia: per quanto estremamente scarsi, i resti fossili hanno consentito di identificare Lacertidi indeterminati, Colubridi non natricini, Natrix sp. e Vipera del gruppo della V. aspis (SORBINI & DURANTE PASA 1974; DELFINO 2002). Unico altro ritrovamento che, almeno da un punto di vista storico, riguarda la paleoerpetologia quaternaria lombarda è quello dell’eridanosauro. Fra le alluvioni quaternarie del Po (Portalbera,PV) venne ritrovata una vertebra che BALSAMO CRIVELLI (1864) designò come olotipo di un nuovo genere e di una nuova specie di cocco-
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Fig. 5: Serpianosaurus mirigiolensis, Besano (VA), Triassico medio, esemplare conservato presso il Museo civico di Storia naturale di Milano (Archivio fotografico del Museo; fotografia di G. Teruzzi; per cortesia di C. Dal Sasso).
drillo: Eridanosaurus brambillae. Esso rappresentò, per circa ottant’anni, non solo il più recente coccodrillo italiano, ma anche l’unico coccodrillo europeo del Quaternario, fino a quando BONI (1943) dimostrò che la vertebra apparteneva in realtà alla regione cervicale di un rinoceronte. Se le notizie dirette sull’evoluzione neogenico-quaternaria dell’erpetofauna lombarda sono decisamente scarse (non esistono dati sugli anfibi!), è possibile però desumere alcune informazioni da quanto è conosciuto per le regioni vicine. Quando l’area attualmente occupata dalla pianura padana costituiva il fondo di un mare epicontinentale, le tartarughe marine che oggi ritroviamo in alcune località piemontesi, venete ed emiliane, nuotavano nel “mare padano” e verosimilmente si riproducevano sulle sue sponde. Per quanto riguarda le faune terrestri che nel Neogene hanno abitato le aree emerse dell’Italia settentrionale, sappiamo che in Piemonte sono vissuti discoglossi
Fig. 6: reperto fossile di Emys orbicularis proveniente da Zandobbio (BG) e conservato nelle collezioni del Museo civico di Storia naturale di Milano.
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giganti appartenenti al genere Latonia, tartarughe dal guscio molle (“Trionyx”), testuggini palustri appartenenti al genere Mauremys,anfisbene,lucertole apodi del genere Pseudopus e i boa delle sabbie, ma anche che nel Triveneto è stata documentata la presenza dei generi “Trionyx” e Pseudopus, mentre in Emilia-Romagna sono stati identificati, oltre alle tartarughe dal guscio molle, alle anfisbene e ai boa delle sabbie, anche coccodrilli, agame e varani. A partire dal Pleistocene, l’erpetofauna dell’Italia settentrionale ha assunto progressivamente una composizione sempre più simile a quella moderna. Scomparsi quasi tutti i taxa che oggi consideriamo “esotici”, o anche solo balcanici, le località quaternarie dell’Italia settentrionale hanno restituito i resti di numerosi generi moderni: Salamandra, Triturus, Hyla, Bufo, Rana, forse anche Bombina e Pelobates, il già citato Emys,ma anche Testudo (limitatamente al Carso triestino),Anguis,Lacerta,Coronella, Elaphe,“Coluber”, Natrix e Vipera (cfr. DELFINO 2002 con bibliografia citata). È ragionevole ipotizzare che i taxa citati abbiano avuto una distribuzione più ampia e che l’evoluzione delle erpetofaune lombarde abbia seguito, almeno in termini generali, un percorso comune a quello delle regioni vicine. In conclusione, è possibile rimarcare che le informazioni attualmente disponibili sull’origine dei moderni popolamenti erpetologici della Lombardia e delle altre regioni padane sono decisamente scarse. È quindi auspicabile che nel prossimo futuro siano incrementati gli sforzi di raccolta e studio dei microvertebrati provenienti dai depositi realizzatisi entro le grotte della fascia pedemontana, ma soprattutto da quelli prodottisi in antiche aree fluviali e lacustri delle zone pianeggianti, i cui abitanti ci sono quasi totalmente sconosciuti. MASSIMO DELFINO
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I rettili nella preistoria lombarda
È noto che il serpente abbia sempre ricoperto una grande importanza nelle credenze e nei miti delle popolazioni primitive - preistoriche ed attuali - e si riproponga ancora oggi nel folclore di diverse genti. Il serpente, per i primitivi, rappresenta un’importantissima forza vitale che si manifesta nella fertilità, nella crescita e nella rigenerazione (GIMBUTAS 1989, 1999): forza superiore, forse per il pericolo che costituiscono per l’uomo le specie velenose e simbolo della vita e della rinascita, probabilmente per la facoltà di rigenerare periodicamente la pelle. Esso incarna quindi una serie di valenze positive, che contrastano con alcuni aspetti della mitologia indoeuropea e di quella del vicino Oriente, nelle quali il serpente simboleggia il potere del male,concetto fatto proprio dalla cultura ebraico-cristiana. Il serpente nell’iconografia preistorica a volte è presentato in modo realistico e riconoscibile, ma spesso anche in modo poco naturalistico, come una linea zigzagante. La sua rappresentazione si confonde talvolta con quella delle corna dell’ariete, animale simbolo di potenza e regalità. E spesso, forse proprio per questo, il serpente è raffigurato con due piccole corna. In Lombardia abbiamo diversi esempi di serpenti incisi nelle rocce che richiamano questi concetti. Sugli affioramenti rocciosi della Valcamonica l’animale appare abbastanza spesso nella sua forma strisciante o zigzagante, talvolta dotato di due piccole corna. In questo caso si tratta della raffigurazione di un mito celtico che compare nella tarda Età del Ferro (ultimi secoli del primo millennio a.C.). In un’incisione del Parco di Naquane (Capo di Ponte, BS) il serpente stringe parzialmente il corpo di Cernunnos, il dio celtico dalle corna di cervo, che rappresenta il simbolismo rigenerativo1.
Fig. 1: il dio celtico Cernunnos (Calderone di Gunderstrup, Danimarca). 1 La figura di questo dio che tiene in mano un serpente è chiaramente rappresentata sul famoso calderone di Gunderstrup, bacile cerimoniale formato da diverse piastre d’argento decorate a sbalzo e cesello. Quest’opera di tardo artigianato è stata trovata in una torbiera danese, ma proviene dalla zona pontica; vi sono raffigurate scene mitiche che mostrano un chiaro sincretismo tra la religione indoeuropea e quella dell'Europa antica (Fig. 1).
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Sempre in Valcamonica compaiono altre raffigurazioni di serpenti che risalgono a periodi più antichi. All’Età del Bronzo è attribuita l’incisione di un serpente (a Luine di Darfo-Boario, BS) che al posto della testa ha una coppella; nel suo moto il rettile si dirige verso una coppella più profonda (Fig. 2). Ancora a Luine un secondo serpente, ben delineato, è visibile in un insieme di figure diverse, sempre attribuite all’Età del Bronzo (Fig. 3; ANATI 1982; Valcamonica… 2001). Sugli affioramenti di Pià d’Ort (Capo di Ponte) troviamo un serpente cornuto (Fig. 4) ed un serpente zigzagato do-
Fig. 2: rilievo preliminare dell’incisione di un serpente associato a una coppellina (Darfo-Boario Terme,Valcamonica; da SANSONI et al. 2001).
Fig. 3: incisione rupestre; al centro si distingue una figura serpentiforme (Darfo-Boario Terme, Valcamonica; da ANATI 1982).
tato di grandi corna (o almeno di segni ritenuti tali);quest’ultimo (Fig.5) sembra procedere in mezzo a diverse coppelle ed avvicinarsi ad una ben delineata “rosa camuna” in associazione con altre incisioni (un piediforme e figure antropomorfe).Tutte queste incisioni sono attribuite al tardo Bronzo/Ferro (SANSONI & GAVALDO 1995). Diversi serpenti sono presenti sulla Rupe Magna di Grosio in Valtellina (SO) e sono attribuiti al Bronzo medio-recente o all’Età del Ferro (ARCÀ et al. 1995). L’importanza del serpente nei riti della fecondità è attestata su una roccia in comune di Cremia (Alto Lario occidentale, CO): in una zona densa di incisioni rupestri non figurative (coppelle e canaletti) attribuibili all’Età del Bronzo, compare uno “scivolo della fertilità” (Fig. 6), ossia una roccia a lieve pendenza sulla quale i sacerdoti/stregoni precristiani facevano scivolare le donne che desideravano avere un figlio (questa prati50
Fig. 5: due serpenti di diversa fattura accanto a una rosa camuna; uno di essi si insinua tra tredici coppelline (Le Crus, Capo di Ponte; da SANSONI & GAVALDO 1995).
Fig. 4: serpente cornuto (Le Crus, Capo di Ponte; da SANSONI & GAVALDO 1995).
ca era largamente diffusa in tutta Europa,Alpi comprese). Nel punto più alto degli scivoli spesso compaiono delle coppelle, segno di sacralità della roccia. Nel caso di Cremia, vicino al punto di partenza dello scivolo, è presente una venetta quarzosa, inglobata nella roccia affiorante, che richiama nettamente la forma di un serpente. È possibile che questo sia il motivo per cui lo scivolo sia stato tracciato in tale posizione (POZZI 1998a).
Fig. 6: serpentiforme; vena quarzosa negli scisti (Scivolo della fertilità di Cremia, Alto Lario).
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Sulle rocce della Spina Verde (Fig. 7), rilievo collinare che chiude la città di Como verso sud-ovest, oggi parco regionale, appare una raffigurazione realistica di un serpente, vicino a numerose incisioni non figurative (POZZI 1995).
Fig. 7: serpentiforme; incisione rupestre (Spina Verde, CO).
Nella preistoria lombarda compare un altro rettile che ha destato l’interesse dell’uomo preistorico, ma per tutt’altri motivi: si tratta della testuggine palustre (Emys orbicularis) presente almeno due volte fra i resti di pasti (forse rituali) vicino a sepolture attribuite all’Eneolitico (o Età del Rame).Alcuni resti ossei sono stati riportati dagli scavi effettuati nel Buco della Sabbia sopra Civate, LC (CORNAGGIA CASTIGLIONI 1971)2 a seguito dei quali è stata descritta la “Cultura di Civate”; altri, attribuiti al medesimo periodo, provengono da un riparo sotto roccia sulle rive del Lago di Alserio, CO (POZZI 1987) che ha restituito una conchiglia marina subfossile, usata come pendaglio, e frammenti di una ciotola in ceramica rozza, oltre a resti ossei di uccelli di palude. ALBERTO POZZI
2 Questo studio sui resti ossei animali del Buco della Sabbia indica la presenza di Testudo hermanni. L’Autore ha avu-
to però la possibilità di visionare questi reperti e di concludere che si tratta invece di Emys orbicularis.
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Erpetofauna della Lombardia
La lista tassonomica comprende sia le specie autoctone presenti in Lombardia sia i taxa alloctoni acclimatati nella regione [indicati nel testo dal simbolo (*)]; l’elenco è basato fondamentalmente sul contributo di Lanza (in AMORI et al. 1993), aggiornato secondo le recenti revisioni sistematiche e nomenclaturali. Per non appesantire eccessivamente il testo si è scelto di limitare le note esplicative agli argomenti non trattati per esteso nelle schede delle singole specie.
LISTA
TASSONOMICA
ANFIBI Ordine Caudata Oppel, 1811 SALAMANDRIDAE Gray, 1825 Salamandra Laurenti, 1768 Salamandra atra Laurenti, 1768 Salamandra atra atra Laurenti, 1768 Salamandra salamandra (Linnaeus, 1758) Salamandra salamandra salamandra (Linnaeus, 1758) Salamandra salamandra gigliolii Eiselt & Lanza, 1956 Salamandrina Fitzinger, 1826 Salamandrina terdigitata (Lacépède, 1788) Triturus Rafinesque, 1815 Triturus alpestris (Laurenti, 1768) Triturus alpestris alpestris (Laurenti, 1768) Triturus alpestris apuanus (Bonaparte, 1839) Triturus carnifex (Laurenti, 1768) Triturus carnifex carnifex (Laurenti, 1768) Triturus vulgaris (Linnaeus, 1758) Triturus vulgaris meridionalis (Boulenger, 1882) PLETHODONTIDAE Gray, 1850 Speleomantes Dubois, 1984 Speleomantes strinatii (Aellen, 1958) Ordine Anura Rafinesque, 1815 DISCOGLOSSIDAE Günther, 1859 Bombina Oken, 1816 Bombina variegata (Linnaeus, 1758) Bombina variegata variegata (Linnaeus, 1758)
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PELOBATIDAE Bonaparte, 1850 Pelobates Wagler, 1830 Pelobates fuscus (Laurenti, 1768) Pelobates fuscus insubricus Cornalia, 1873 BUFONIDAE Gray, 1825 Bufo Laurenti, 1768 Bufo bufo (Linnaeus, 1758) 1 Bufo viridis Laurenti, 1768 Bufo viridis viridis Laurenti, 1768 HYLIDAE Gray, 1825 Hyla Laurenti, 1768 Hyla intermedia Boulenger, 1882 RANIDAE Gray, 1825 Rana Linnaeus, 1758 Rana catesbeiana Shaw, 1802 (*) Rana klepton esculenta Linnaeus, 1758 Rana lessonae Camerano, 1882 Rana dalmatina Bonaparte, 1838 Rana italica Dubois, 1987 Rana latastei Boulenger, 1879 Rana temporaria Linnaeus, 1758 2 Rana temporaria temporaria Linnaeus, 1758
RETTILI Ordine Chelonii Latreille, 1800 EMYDIDAE Rafinesque, 1815 Emys Duméril A., 1805 Emys orbicularis (Linnaeus, 1758) 3 Trachemys Agassiz, 1857 Trachemys scripta (Schoepff, 1792) (*) Trachemys scripta elegans (Wied, 1839) (*) 4 1 La validità e la distribuzione di Bufo bufo spinosus Daudin, 1802 e di varie altre sottospecie rimangono tuttora molto
incerte; le analisi elettroforetiche e morfologiche pubblicate da LÜSCHER et al. (2001) non confermano la validità di B. b. spinosus: tuttavia questa indagine ha preso in esame per il nostro paese quasi soltanto campioni provenienti dall’Italia continentale, ascrivibili quindi a B. b. bufo (Linnaeus, 1758). L’unico campione appenninico, proveniente da Santa Margherita Ligure (GE), sembrerebbe in effetti mostrare forti differenze rispetto a quelli delle Alpi. In questa sede si è comunque preferito non indicare le sottospecie di B. bufo ritenute presenti in Lombardia. 2 In Lombardia, oltre alla sottospecie nominale, è probabilmente presente anche Rana temporaria honnorati Héron-
Royer, 1881 sottospecie recentemente riconfermata da SPERLING et al. (1996); GROSSENBACHER (1997b) ne ipotizza infatti la presenza sugli Appennini. 3 Emys orbicularis non è considerato taxon monotipico, tuttavia lo status delle popolazioni lombarde non è ben defi-
nito; in proposito, si veda quanto riportato dagli Autori nella scheda dedicata alla specie. 4 Trachemys scripta elegans (Wied, 1839) è l’unica testuggine alloctona di cui sia stata verificata l’acclimatazione in
Lombardia.
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GEKKONIDAE Oppel, 1811 Hemidactylus Oken, 1817 Hemidactylus turcicus (Linnaeus, 1758) (*) 5 Tarentola Gray, 1825 Tarentola mauritanica (Linnaeus, 1758) (*) 5 Ordine Squamata Oppel, 1811 ANGUIDAE Oppel, 1811 Anguis Linnaeus, 1758 Anguis fragilis Linnaeus, 1758 Anguis fragilis fragilis Linnaeus, 1758 LACERTIDAE Oppel, 1811 Lacerta Linnaeus, 1758 Lacerta bilineata Daudin, 1802 6 Podarcis Wagler, 1830 7 Podarcis muralis (Laurenti, 1768) 8 Podarcis sicula (Rafinesque, 1810) 8 Zootoca Wagler, 1830 Zootoca vivipara (Jacquin, 1787) Zootoca vivipara carniolica Mayer, Böhme,Tiedemann & Bishoff, 2000 Zootoca vivipara vivipara (Jacquin, 1787)
5 La presenza delle due specie di Geconidi segnalati in Lombardia è probabilmente dovuta a trasporto passivo e la loro provenienza è tuttora sconosciuta; risulta pertanto difficile definirne lo status sottospecifico anche se, come indicato da BENNATI et al. (1975, 1996) per le popolazioni della provincia di Brescia, è verosimile che appartengano alle rispettive sottospecie nominali Hemidactylus turcicus turcicus (Linnaeus, 1758) e Tarentola mauritanica mauritanica (Linnaeus, 1758). 6 Le sottospecie di Lacerta bilineata sono di dubbia validità; infatti, a differenza di quanto si rileva per la congenerica
L. viridis, nessuna delle recenti pubblicazioni riguardanti la tassonomia ha fornito dati che riconfermino il valore dei taxa sottospecifici descritti in passato (RYKENA et al. 1998, 2001). I caratteri morfologici in base a cui sono state riconosciute le sottospecie italiane sono piuttosto vaghi: L. v. fejervaryi Vasváry, 1926 presente in Campania, Puglia e forse all’Elba dovrebbe essere riconoscibile solo per l’aspetto più slanciato e la coda proporzionalmente più lunga (VASVÁRY 1926), mentre L. v. chloronota Rafinesque, 1810 presente in Calabria e Sicilia dovrebbe essere di taglia ridotta e con colorazione blu dei maschi in fregola estesa sull’apice del capo (MERTENS 1932). NETTMANN (2002), in una revisione del genere Lacerta s. str., propone di suddividere le popolazioni italiane in cinque sottospecie, ma i dati presentati in favore di questa frammentazione non appaiono convincenti. Allo stato attuale non si ritiene giustificato il riconoscimento di suddivisioni sottospecifiche per L. bilineata che dovrebbe pertanto essere considerata come specie monotipica. 7 Una serie di articoli pubblicati recentemente ha tentato di stabilire se il termine Podarcis fosse di genere maschile o
femminile. Inizialmente BÖHME (1997b, 1998) ha ritenuto che il nome generico Podarcis fosse di genere maschile; si è reso così necessario concordare di conseguenza l’epiteto specifico, modificando alcuni nomi scientifici in uso, ad esempio P. siculus e P. waglerianus. Un articolo di LANZA & BOSCHERINI (2000) ha tuttavia successivamente accertato su basi etimologiche che il termine Podarcis deve essere considerato femminile e sono stati pertanto ristabiliti i nomi utilizzati tradizionalmente. 8 La posizione tassonomica delle sottospecie di Podarcis muralis e Podarcis sicula è estremamente confusa ed è attual-
mente inadeguata a descrivere la grande variabilità delle due specie. Tradizionalmente le popolazioni di lucertola muraiola della Lombardia sono ascritte alle sottospecie P. m. maculiventris (Werner, 1891), P. m. muralis (Laurenti, 1768) e anche, secondo alcuni autori, P. m. brueggemanni (Bedriaga, 1879); quest’ultima è ora posta in sinonimia con P. m. nigriventris Bonaparte, 1836. Riguardo alla lucertola campestre, dovrebbe essere presente in Lombardia solo P. s. campestris De Betta, 1857.
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SCINCIDAE Oppel, 1811 Chalcides Laurenti, 1768 Chalcides chalcides (Linnaeus, 1758) Chalcides chalcides chalcides (Linnaeus, 1758) COLUBRIDAE Oppel, 1811 Coronella Laurenti, 1768 Coronella austriaca Laurenti, 1768 Coronella austriaca austriaca Laurenti, 1768 Coronella girondica (Daudin, 1803) Coronella girondica girondica (Daudin, 1803) 9 Elaphe Fitzinger, 1833 10 Elaphe longissima (Laurenti, 1768) 10 Hierophis Fitzinger, 1834 Hierophis viridiflavus (Lacépède, 1789) 11, 12 Natrix Laurenti, 1768 Natrix maura (Linnaeus, 1758) Natrix natrix (Linnaeus, 1758) Natrix natrix helvetica (Lacépède, 1789) Natrix tessellata (Laurenti, 1768) VIPERIDAE Oppel, 1811 Vipera Laurenti, 1768 Vipera aspis (Linnaeus, 1758) 13 Vipera aspis atra Meisner, 1820 Vipera aspis francisciredi Laurenti, 1768 Vipera berus (Linnaeus, 1758) Vipera berus berus (Linnaeus, 1758) EDOARDO RAZZETTI 9 Coronella girondica è tradizionalmente considerata monotipica; tuttavia, BUSACK (1986) ha riconfermato la validità
della sottospecie nord-africana C. g. amaliae Boettger, 1881. 10 UTIGER et al. (2002) hanno recentemente pubblicato una revisione del genere Elaphe che, riguardo alle specie italiane,
assegna le due specie di saettone (comune e occhirossi) e il colubro leopardino al genere Zamenis. Il nome scientifico della specie presente in Lombardia dovrebbe essere quindi Zamenis longissimus (Laurenti, 1768). È stato possibile consultare l’articolo troppo tardi per poterne adottare i contenuti nelle schede delle singole specie e nelle parti generali. 11 Il genere Coluber è stato oggetto di revisione tassonomica e suddiviso in diversi generi dal momento che, per moti-
vi di precedenza nomenclaturale, il nome Coluber dovrebbe essere utilizzato solo per la specie americana C. constrictor Linnaeus, 1758. Le revisioni di SCHÄTTI (1986, 1988), tuttavia, non sono mai state del tutto adottate perché non definiscono lo status di alcune specie, e.g. C. najadum (Eichwald, 1831). Solo recentemente lo stesso SCHÄTTI (2001) ha completato la revisione del genere su basi morfologiche e genetiche, attribuendo le specie italiane ai generi Hierophis ed Hemorrhois. 12 L’abstract di una recente comunicazione a congresso, non ancora pubblicata per esteso (NAGY et al. 2001), attribui-
sce le popolazioni di Hierophis viridiflavus situate ad est degli Appennini (e quindi anche buona parte di quelle lombarde) a H. v. carbonarius (Bonaparte, 1833); in questa sede tuttavia si è ritenuto prematuro adottare tale suddivisione. 13 ZUFFI (2002) sulla base di analisi morfologiche (emipeni e lepidosi) propone di elevare allo status specifico Vipera
aspis atra; tuttavia, i risultati preliminari di analisi del DNA mitocondriale, appena pubblicati in collaborazione con lo stesso Zuffi (CONELLI 2002a; URSENBACHER et al. 2003), sembrano indicare un quadro differente; i dati molecolari mostrano una notevole uniformità tra V. a. atra e V. a. aspis (questi due taxa dovrebbero essere quindi posti in sinonimia), mentre individuano un buon grado di differenziazione per V. a. francisciredi. In questa sede si è scelto di considerare lo status di V. aspis in Lombardia come non definito chiaramente e di adottare la tassonomia tradizionale per questa specie.
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Descrizione delle specie
La stesura delle singole schede è stata affidata a erpetologi e naturalisti, scelti fra i collaboratori del progetto o fra persone con diretta esperienza delle specie in esame. Le schede descrittive relative alle 38 specie erpetologiche presenti in Lombardia (19 anfibi e 19 rettili) sono strutturate secondo il seguente schema: - nome volgare, riportato secondo RAZZETTI et al. (2001a); - nome scientifico, riportato sulla base della lista tassonomica presentata in questo volume. Il nome latino è in forma binomia (genere e specie); è seguito dal nome del descrittore e dalla data della descrizione, in base alle regole di nomenclatura zoologica: senza parentesi quando il nome originale di genere è rimasto invariato, fra parentesi quando il nome originale di genere è stato cambiato. Le “rane verdi” autoctone appartenenti al sistema ibrido-ibridogenetico di Rana esculenta e R. lessonae sono trattate in un’unica scheda, così come i Geconidi Hemidactylus turcicus e Tarentola mauritanica; - note tassonomiche: sono fornite notizie sulla tassonomia, sulle eventuali sottospecie e su recenti revisioni sistematiche e nomenclaturali; - distribuzione: sono riportate informazioni sulla distribuzione generale, italiana e regionale, con commento alla carta di distribuzione; - ecologia ed etologia: sono considerati gli aspetti relativi a habitat, fenologia e biologia riproduttiva, con particolare riferimento - quando possibile - alla realtà regionale; - status e problemi di conservazione: sono valutati la condizione delle popolazioni e i problemi di salvaguardia. Ogni scheda è corredata da: - carta di distribuzione: i simboli grafici al centro delle unità di rilevamento indicano la presenza accertata della specie, senza fornire informazioni circa l’abbondanza; i tondi neri si riferiscono alle segnalazioni raccolte dal 1985 in poi, i tondi rossi a quelle anteriori al 1985 (non riconfermate e considerate storiche). Nella carta di base sono evidenziate con colori diversi le principali tipologie fisiche e morfologiche del territorio: toni di marrone-giallo per le aree alpine, prealpine, appenniniche e vallive, verde per le aree planiziali, azzurro per i corpi idrici; - dati statistici: in un apposito box sono riportati il numero di unità di rilevamento occupate dalla specie e la percentuale rispetto al numero totale di unità di rilevamento considerate; - istogrammi di distribuzione altitudinale: i grafici illustrano il numero di osservazioni (asse delle ordinate) per intervalli di quota di 200 m (asse delle ascisse); - iconografia: le fotografie illustrano la specie in oggetto e in alcuni casi l’aspetto di entrambi i sessi o un particolare stadio del ciclo vitale. Le citazioni bibliografiche sono riportate secondo le norme redazionali della rivista Pianura; le voci complete sono reperibili nel capitolo dedicato alla bibliografia.
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Anfibi
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Salamandra alpina Note tassonomiche - Le salamandre alpine presenti in Lombardia appartengono alla sottospecie nominale Salamandra atra atra. Sull’altopiano di Asiago, circa 70 km a est della Lombardia, è presente invece S. a. aurorae descritta da TREVISAN (1982). L’unico aspetto che differenzia questa forma è l’ornamentazione: S. a. aurorae mostra sempre ampie macchie di colore giallo o bianco-giallastro che, nella maggioranza dei casi, occupano oltre metà del dorso. Le salamandre alpine presenti sulle Alpi Cozie, al confine con la Francia, note da oltre 130 anni, sono state attribuite alla nuova specie S. lanzai, descritta da NASCETTI et al. (1988). Distribuzione - L’area di distribuzione continua della specie inizia nelle Alpi
Salamandra atra Laurenti, 1768
svizzere occidentali a nord del Rodano e a oriente comprende le Alpi austriache e le zone montuose di Slovenia e Croazia (GROSSENBACHER 1988,1997c).Nella penisola balcanica la distribuzione è frammentata e localizzata su alcuni gruppi montuosi fino al nord dell’Albania.In Italia, la forma nominale S. a. atra è presente unicamente nelle Alpi orientali ed è relativamente abbondante nelle zone montuose del Friuli e dell’Alto Adige a est del fiume Isarco. Il clima nelle grandi valli delle Alpi centrali e nelle montagne adiacenti, come Val Venosta,Valtellina e Valle d’Aosta, sembrerebbe troppo arido e quindi fondamentalmente inadatto alla presenza della salamandra alpina; di conseguenza, le popolazioni presenti nelle Alpi Orobie sono relegate in una zona se-
Salamandra atra, adulto (foto G. Conca).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
parata rispetto all’areale principale della specie (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996). La maggior parte degli animali in quest’area sono stati trovati sui valichi dei versanti meridionali, a quote comprese tra 1.300 m (Col di Zambla) e 2.300 m; solo a Gerola Alta (SO) vi sono segnalazioni per i versanti settentrionali delle Orobie. Le popolazioni più meridionali in Lombardia sono state trovate nei dintorni di Serina (BG). Esiste infine una singola segnalazione a nord-est di Chiavenna (SO) che delimita il margine meridionale dell’areale principale della specie; in quest’area, le salamandre alpine sono probabilmente penetrate attraverso il passo dello Spluga e potrebbero quindi essere presenti anche nella zona a est del torrente Liro, attorno ai pizzi Groppera, Stella e Alto, fino alla Val Bregaglia; questa zona, tuttavia, non è stata sufficientemente indagata e i dati sono lacunosi. Ecologia ed etologia - A bassa quota la salamandra alpina si rinviene nelle vallate più chiuse, nelle gole, nei pressi di cascate e nelle foreste, tutte zone con elevata umidità. Tra le aree boscate sono normalmente evitate le peccete chiuse e sono invece preferiti boschi di latifoglie
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12
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2 14
0,71% 5,00%
e lariceti aperti, con sottobosco costituito da cotica erbosa, spesso in vicinanza di rii e torrenti (malgrado la salamandra alpina sia una pessima nuotatrice). Oltre il limite degli alberi, la specie colonizza praterie alpine e zone carsiche o rocciose, sempre però caratterizzate dalla presenza di vegetazione. La salamandra alpina trascorre gran parte della vita nascosta in rifugi sotterranei; il periodo di attività, che difficilmente inizia prima di maggio, è massimo in giugno, luglio e agosto, mentre durante il mese di settembre gli animali si ritirano nei rifugi invernali. I momenti di maggiore attività sono collocati durante, o subito dopo, i temporali estivi o nelle prime ore del mattino quando l’umidità è elevata; nei periodi freddi,invece,le salamandre alpine non sono attive in superficie. La biologia riproduttiva è peculiare: gli accoppiamenti, a terra, avvengono nel mese di giugno e solo due uova sono fecondate, mentre tutte le altre serviranno come cibo per le giovani larve (GUEX & GREVEN 1994). Successivamente, le pareti dell’utero produrranno speciali “cellule nutritive” destinate ad alimentare le larve in via di sviluppo,ormai dotate di branchie. Lo sviluppo larvale si svolge all’interno
del corpo materno fino alla metamorfosi e ha una durata di due anni a bassa quota e di tre-quattro anni nelle zone più elevate. Al termine di questa lunghissima gestazione,sono partorite due giovani salamandre del tutto simili agli adulti. Il successivo accoppiamento è possibile solo ad almeno una stagione di distanza dal parto. Status e problemi di conservazione - Risulta estremamente difficile Salamandra atra, adulto (foto V. Ferri). accertare se la salamanpuò a volte rappresentare una seria midra alpina sia comune, rara o minacciata naccia. Alle quote più basse la gestione in Lombardia. Sembrerebbe che negli forestale, in particolare la messa a dimoambienti alpini questi animali spendano ra di boschi di conifere,può danneggiare la maggior parte della propria esistenza ambienti originariamente adatti alla speall’interno di rifugi.Lungo il versante mecie;in ogni caso sarebbero necessari dati ridionale delle Alpi, in particolare, le posdi distribuzione accurati e studi di poposibilità di osservare S.atra in natura sono lazione per ottenere informazioni più molto inferiori rispetto alle zone più setprecise sullo status di questa interessantentrionali e pertanto sono disponibili te specie. pochi dati ecologici o di presenza.Gli habitat di questa specie sono in genere ancora naturali e poco alterati, tuttavia lo sviluppo delle infrastrutture turistiche KURT GROSSENBACHER
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Salamandra pezzata Note tassonomiche - La salamandra pezzata è una specie politipica: Veith nell’Atlas… (1997) riporta 16 sottospecie; alcune di queste tuttavia sono state recentemente elevate al rango di specie (LANZA 1988b; LANZA & VANNI 1991; JOGER & STEINFARTZ 1994, 1995; VEITH 1994; STEINFARTZ et al. 2000), in particolare: Salamandra corsica Savi, 1838; S. algira Bedriaga, 1883 e S. infraimmaculata Martens, 1885. In Italia sono presenti 2 sottospecie: quella nominale e Salamandra s. gigliolii Eiselt & Lanza, 1956 endemica dell’Italia peninsulare. Distribuzione - La salamandra pezzata è presente esclusivamente in Europa, dalla penisola iberica a ovest fino a Grecia, Bulgaria, Romania e Carpazi
Salamandra s. gigliolii, femmina (foto G. Incao).
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Salamandra salamandra (Linnaeus, 1758)
ucraini a est; il limite settentrionale è raggiunto sulle coste della Germania (Atlas… 1997; KUZMIN 1999). In Italia è presente S. s. salamandra sull’arco alpino e S. s. gigliolii lungo tutto l’Appennino e nelle Alpi Marittime; in quest’ultima area i due taxa sono in simpatria (LANZA 1983). In Lombardia S. s. salamandra è molto comune e presente con continuità su tutte le Alpi e Prealpi, ad eccezione della Valtellina dove è limitata al fondovalle. È assente a quote troppo elevate come in Valle San Giacomo e in buona parte delle Alpi Orobie e Retiche, in accordo con i dati relativi alla vicina Svizzera (GROSSENBACHER 1988). La specie è totalmente assente nelle zone di pianura; le segnalazioni aneddotiche a questo riguardo sono
Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
piuttosto frequenti, a volte anche riportate in letteratura (GROPPALI 1994; SCHIAVO 2001), ma nessuna ha mai potuto superare le verifiche successive. I primi contrafforti morenici o le prime propaggini delle colline rappresentano per questa specie un preciso confine: nella porzione più settentrionale del Parco del Ticino, ad esempio, la salamandra pezzata è completamente assente nei boschi di Arsago Seprio (VA) e Somma Lombardo (VA) ed è invece piuttosto comune a pochi chilometri di distanza presso Cuirone (VA) e Sesto Calende (VA), dove il paesaggio appare più ondulato. S. s. gigliolii è infine presente nei sei quadranti UTM più
Salamandra s. gigliolii, particolare del capo e della ghiandola parotoide (foto E. Moretti).
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meridionali dell’Oltrepò pavese: in Val di Nizza, in Val Staffora, nella porzione a monte di Cecima, e nella valle del torrente Avagnone. Ecologia ed etologia - La salamandra pezzata frequenta per lo più ambienti boschivi a latifoglie tipici degli orizzonti submontano e montano inferiore (castagneto e faggeta), dove è facilmente osservabile nei pressi di rii e torrenti. La sottospecie nominale è diffusa prevalentemente tra 250 e 1.000 m; oltre questa quota diviene rara e meno del 3% dei dati si colloca oltre i 1.200 metri. S. s. gigliolii è invece frequente tra 500 e 800 m, con alcune segnalazioni a quote maggiori tra 1.100 e 1.400 m. La salamandra pezzata è stata osservata durante tutti i mesi dell’anno, con due picchi di attività in aprile-maggio e in ottobre. Presenta di norma un’attività esterna strettamente legata alle condizioni atmosferiche (LONGHI 2000), divenendo più facilmente contattabile dopo il tramonto o in giornate nuvolose o piovose. Alcune osservazioni di femmine in deposizione o appena sgravate hanno tuttavia riguardato anche le ore centrali di giornate soleggiate, seppure in condizioni di elevata umidità relati-
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va. In Lombardia, la salamandra pezzata si riproduce in torrenti e, sulle Alpi alle quote maggiori, anche in pozze di abbeverata o temporanee e in abbeveratoi (BARBIERI 1991; ZILIANI & BARBIERI 1995; GENTILLI & BARBIERI 2002). Entrambe le sottospecie sono ovovivipare (sensu ALCOBENDAS et al. 1996); gli accoppiamenti hanno luogo a terra tra la fine di ottobre e novembre; le deposizioni avvengono per lo Salamandra s. gigliolii, larva prossima alla metamorfosi (foto E. Razzetti). più tra marzo e l’inizio immissione di pesci), la scomparsa di di giugno, ma spesso anche nei mesi pozze e abbeveratoi legata all’abbandoautunnali (LANZA 1983; DI CERBO & FERRI no delle attività agropastorali (GENTILLI 2000b). Le larve, che in genere comple& BARBIERI 2002) e gli interventi foretano la metamorfosi in 2-4 mesi, sono stali (tagli a raso, conversione in boschi state segnalate durante l’intero arco di conifere). Infine, un ulteriore fattore dell’anno. negativo è rappresentato dalle uccisioStatus e problemi di conservazione ni dovute al traffico stradale che possoSebbene la salamandra pezzata sia no risultare frequenti nei mesi primaampiamente diffusa e non risulti partiverili ed autunnali. colarmente minacciata in Lombardia, è tuttavia soggetta a diversi fattori di rischio quali: le alterazioni antropiche dei torrenti (captazioni, scarichi civili, ANNARITA DI CERBO EDOARDO RAZZETTI
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Salamandrina dagli occhiali Note tassonomiche - La salamandrina dagli occhiali è un endemismo dell’Italia peninsulare ed è specie monotipica. Distribuzione - Salamandrina terdigitata è una specie tipicamente appenninica, diffusa in modo discontinuo dall’Appennino settentrionale alla Calabria (Aspromonte),prevalentemente sul versante tirrenico, più rara o localizzata su quello adriatico (BARBIERI 1999, 2001). È assente nel Molise e in Puglia (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996).Il limite occidentale attualmente conosciuto per la distribuzione della specie è situato nel Genovese, presso Bolzaneto (BARBIERI 1994b). In Lombardia la specie è presente esclusivamente sull’Appennino pavese, nell’ampio territorio del comune di Brallo di Pregola, in un solo qua-
Salamandrina terdigitata (Lacépède, 1788)
drante UTM (0,4% del territorio regionale); esiste inoltre una segnalazione storica, risalente al 1980, per un discreto adiacente. La salamandrina dagli occhiali raggiunge nella nostra regione il limite settentrionale dell’areale e la sua presenza sul versante padano dell’Appennino settentrionale è stata segnalata alcuni anni fa con l’iniziale individuazione di sette siti riproduttivi (BARBIERI et al. 1988; ZUFFI & BARBIERI 1988). Le popolazioni sono relativamente consistenti e risultano in continuità sia con quelle delle province di Alessandria e Piacenza sia con quelle liguri del versante tirrenico. Ecologia ed etologia - La salamandrina dagli occhiali frequenta ambienti poco influenzati dalle attività antropiche
Salamandrina terdigitata, adulto (foto V. Ferri).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
costituiti da boschi di latifoglie (castagno, frassino, carpino bianco, roverella) caratterizzati da abbondante lettiera e solcati da piccoli torrenti a fondo roccioso, prevalentemente di natura calcarea e con fitta vegetazione sulle sponde. In Lombardia è stata osservata in valli fresche e ombrose della fascia montana appenninica a quote comprese tra 375 e 920 metri di quota. La specie è attiva generalmente tra marzo e ottobre; nel resto dell’anno gli animali svernano sotto terra, generalmente in fessure di rocce o tra le radici degli alberi. Il corteggiamento e l’accoppiamento avvengono a terra nei mesi autunnali, mentre l’ovodeposizione ha inizio intorno alla
Salamandrina terdigitata, visione ventrale (foto F. Cavagnini).
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fine di aprile e può protrarsi fino al mese di luglio. In questo periodo le femmine sono facilmente rinvenibili nelle pozze dei torrenti utilizzati per la riproduzione, mentre i maschi si trattengono a terra, nelle immediate vicinanze, nascosti sotto foglie, pietre o tronchi marcescenti. Le uova, generalmente in numero di 30-50 per ogni femmina, sono deposte singolarmente e a intervalli; l’ovodeposizione può richiedere anche più di un giorno. Nell’Appennino settentrionale,i supporti su cui le femmine fissano le uova sono costituiti prevalentemente da rami, radici o steli d’erba sommersi, che assumono l’aspetto di “manicotti” biancastri (BARBIERI 1991). BARBIERI (2001) ipotizza che tale comportamento costituisca un adattamento contro la predazione delle uova da parte di larve di Tricotteri,documentata peraltro recentemente per una popolazione laziale (VIGNOLI et al. 2001). La schiusa delle uova avviene dopo tre settimane dalla deposizione e le larve raggiungono la metamorfosi in un arco di tempo di circa due mesi. I siti riproduttivi delle stazioni lombarde sono generalmente rappresentati da piccole pozze in torrente, caratterizzate da corrente
modesta o assente. La fedeltà al sito di deposizione, già segnalata da LANZA (1983), è stata recentemente confermata dagli studi condotti sul versante padano dell’Appennino settentrionale (BARBIERI & TISO 1993; BARBIERI 2001). Nelle stazioni lombarde S.terdigitata è generalmente associata a Speleomantes strinatii e spesso condivide i siti riproduttivi con Salamandra salamandra e Rana italica, Salamandrina terdigitata, uova deposte su un rametto sommerso meno frequentemente (foto E. Moretti). con Bufo bufo. vitali (BARBIERI & TISO 1993). I fattori di Status e problemi di conservazione minaccia per la sopravvivenza di questa La salamandrina dagli occhiali è una specie sono costituiti essenzialmente specie inserita nell’Allegato II della da alterazione o riduzione degli amConvenzione di Berna e nell’Allegato D bienti di elezione (aree boscate e retidella Direttiva Habitat ed è quindi mericolo di torrenti che le percorrono), intevole di progetti di conservazione miquinamento chimico dei siti riproduttirati. In Lombardia vive al limite settenvi, captazioni idriche ed eventuali introtrionale del proprio areale, ma presenta duzioni di pesci predatori. popolazioni relativamente numerose e LAURA BONINI EUGENIO TISO FRANCO BERNINI
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Tritone alpestre Note tassonomiche - Triturus alpestris è una specie politipica. Delle dieci sottospecie europee, tre sono presenti in Italia: T. a. alpestris, diffuso con continuità di areale sulle Alpi centrali e orientali, ma in modo frammentario sul resto dell’arco alpino; T. a. apuanus (Bonaparte, 1839), presente su alcuni rilievi interni piemontesi (Erpetologia… 1999), dalla provincia di Savona alla Toscana (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996) e in alcuni laghetti sui Monti della Laga in provincia di Rieti (CAPULA 2000); T. a. inexpectatus (Dubois & Breuil, 1983), limitato ad alcuni laghi della catena costiera calabra (CAPUTO et al.1995a;SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996; BOLOGNA et al. 2000; VANNI et al. 2001).
Triturus a. apuanus, maschio (foto G. Conca).
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Triturus alpestris (Laurenti, 1768)
Distribuzione - Il tritone alpestre è un’entità medio-sudeuropea diffusa dall’Ucraina occidentale fino alla Francia settentrionale e orientale e dalla Danimarca meridionale fino alla Grecia centrale e all’Italia settentrionale e centrale, dove indagini recenti rivelano una presenza ancora abbastanza regolare fino alla porzione settentrionale della provincia di Firenze e a quella nord-orientale della provincia di Arezzo (Atlas… 1997;VANNI et al. 2001).Popolazioni isolate si trovano nella Spagna nord-occidentale e centrale e nell’Italia meridionale. In Gran Bretagna vivono alcune popolazioni introdotte (GRIFFITHS 1995). Sulle Alpi lombarde la presenza del tritone alpestre è stata accertata in una dozzina di località, raggruppate in
Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
tre aree separate e riferibili rispettivamente ai territori di Bormio (SO) e della Valfurva, alla Val Malenco e alla Val Chiavenna, tra Madesimo (SO) e Campodolcino (SO). Segnalazioni bibliografiche riportano ritrovamenti di T. a. alpestris fino a 2.800 m (FERRI 1990a), ma l’analisi dei dati più aggiornati rivela una distribuzione altitudinale compresa tra 1.300 e 2.100 m di quota. Attualmente, nella nostra regione, la sottospecie alpina risulta confinata in provincia di Sondrio, ma sono noti ritrovamenti che riguardano l’alta Val Brembana (BG), risalenti ai primi anni Ottanta e alcuni reperti museali, datati 1927, relativi al Lecchese. T. a. apuanus è presente
Triturus a. apuanus, femmina (sopra) e individuo neotenico (foto E. Moretti).
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in Oltrepò pavese, sui versanti delle Valli Staffora e Tidone, dove sono state censite oltre venti stazioni riproduttive, distribuite nella fascia montana e di alta collina, tra 450 e 1.380 m di altitudine (BARBIERI & CAVAGNINI 2000). Fino al 1984 era nota una popolazione nell’alta Val Coppa, scomparsa in seguito alla distruzione dell’unico sito riproduttivo conosciuto. Ecologia ed etologia - Indagini effettuate sull’Appennino pavese hanno rivelato una preferenza per raccolte d’acqua di dimensioni modeste, sia naturali sia di origine artificiale, come cisterne e abbeveratoi, spesso condivise con il tritone crestato italiano e, più raramente, con il tritone punteggiato; occasionalmente la riproduzione può avvenire anche in pozze di torrente a lento deflusso (ZUFFI 1983b; ZILIANI & BARBIERI 1995; BARBIERI & CAVAGNINI 2000). Il tritone alpestre è molto legato all’acqua e spesso una parte, talora consistente, della popolazione adulta può stazionare nelle raccolte permanenti durante l’intero anno. In questa situazione può avere luogo un periodo riproduttivo autunnale che si aggiunge a quello primaverile (Erpetologia… 1999). Gli individui che
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svernano in acqua mantengono un certo livello di attività anche nei mesi più freddi, quando le raccolte sono ricoperte da uno strato di ghiaccio, come rivelano i contenuti stomacali riscontrati in tale periodo (FASOLA 1996). Piuttosto frequente in questa specie è inoltre il fenomeno della neotenia. Status e problemi di conservazione - Analizzando i dati sulla distribuzione in Lombardia, il tritone alpestre risulta Maschi di Triturus a. apuanus (foto E. Moretti). tra le specie più minacpravvivenza di intere popolazioni. Anciate, per le quali si rendono urgenti iniche l’introduzione indiscriminata di ziative di conservazione e normative lospecie ittiche, nei siti riproduttivi più cali di protezione (ANDREONE 1995; FERampi, rappresenta una delle maggiori RI 1998c). L’interramento o la contamicause di estinzione locale (BOGLIANI & nazione di piccole raccolte d’acqua, BARBIERI 1988; MAZZOTTI [1995]; BARBIERI create per scopi agricoli e poi abbando& CAVAGNINI 2000). nate, e la bonifica di zone umide naturali mettono spesso a repentaglio la soFABIO CAVAGNINI ALBERTO VERCESI
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Tritone crestato italiano Note tassonomiche - A lungo considerato sottospecie di Triturus cristatus (Laurenti, 1768), T. carnifex è stato in seguito elevato al rango di specie assieme a T.dobrogicus (Kiritzescu,1903) e T.karelinii (Strauch, 1870), con i quali è rimasto raggruppato nella superspecie T. cristatus (ARNTZEN & BORKIN 1997). In condizioni di allopatria, le differenze morfologiche tra queste quattro specie sono significativamente apprezzabili, mentre tra le popolazioni viventi nelle zone di confine tra i diversi areali sono stati messi in evidenza dei gradienti di variazione (ARNTZEN & BORKIN 1997). T. carnifex è specie politipica con la ssp. macedonicus (Karaman,1922) recentemente rivalutata nell’area balcanica (ARNTZEN & WALLIS 1999; THORN & RAF-
Triturus carnifex (Laurenti, 1768)
2001) e con quella nominale T. c. carnifex, che in Italia presenta comunque una certa diversificazione tra le popolazioni poste a nord dell’Appennino abruzzese e quelle viventi a sud dello stesso (SCILLITANI 1996). Distribuzione - L’areale di T. carnifex abbraccia l’Italia peninsulare e continentale, il Canton Ticino, il settore meridionale dell’Austria, parte della Repubblica Ceca e dell’Ungheria,la Slovenia,il territorio dell’ex-Jugoslavia,a sud fino al Montenegro e alla Macedonia, l’Albania e la Grecia (GRIFFITHS 1995; ARNTZEN & BORKIN 1997; SZÖVENYI et al. 2001). In Italia la sua presenza è segnalata in tutte le regioni, ad eccezione di quelle insulari, con frequenze però molto variabili (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA FAELLI
Triturus carnifex, maschio (foto E. Moretti & P. Di Leo).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
1996). In Lombardia la specie appare ben distribuita nelle zone di pianura solcate dal Po e dai suoi maggiori affluenti, in particolare nelle province di Cremona, Lodi e Pavia; nella provincia di Mantova la scarsità di segnalazioni è dovuta almeno in parte a difetto di ricerca. In diverse aree della pianura, tuttavia, sono presenti popolazioni tra loro isolate ed in progressiva diminuzione (ILDOS & ANCONA [1995]; SCHIAVO & FERRI 1996; SCHIAVO 2001). Anche nel settore prealpino, soprattutto nelle province di Varese, Como, Lecco e Bergamo, il tritone crestato italiano è presente su un’estensione di territorio piuttosto ampia, ma con situazioni locali di abbondanza e diffusione differenti (GIANERA et al. [1995]; GREPPI et al. [1995]; GRUPPO G.E.V. et al. [1995]; ANCONA & CAPIETTI 1995; GIOVINE 2002; MANENTI 2002). Nel settore alpino questa specie appare invece localizzata, con poche popolazioni presenti in provincia di Sondrio e nella parte settentrionale della provincia di Brescia. Ecologia ed etologia - Il tritone crestato italiano è una specie che mostra una notevole plasticità ecologica ed è presente in zone aperte e in ambienti
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boschivi, prevalentemente di latifoglie, ricchi di sottobosco (PAVIGNANO 1988). Nella regione è abbastanza frequente fino alla quota di 1.100 m e le presenze divengono sporadiche a quote superiori; il massimo altitudinale è raggiunto a 1.700 m nel comune di Oltre il Colle (BG). Durante la fase di vita terrestre, da giugno a febbraio, svolge attività notturna, necessitando di umidità al suolo e di copertura arborea o arbustiva. Durante il giorno, è possibile trovare T. carnifex nei rifugi costituiti da microambienti umidi quali ceppaie, pietre, ma anche tombini, cantine, ecc. (LANZA 1983). Dopo la pausa invernale, si porta all’acqua tra febbraio e marzo e vi rimane solitamente sino a maggio-giugno. Per la riproduzione predilige corpi d’acqua temporanei, di dimensioni medio-piccole, non molto profondi, con acqua limpida, soleggiati, con vegetazione, di media maturità e situati all’interno o in prossimità di aree boscate (ANCONA & CAPIETTI 1995; ANCONA 2000). T.carnifex è fedele ai siti di riproduzione (ANCONA 1992); dopo un complesso rituale di corteggiamento avviene la fecondazione delle uova che sono successivamente deposte singolarmente sulla vegeta-
zione sommersa. Le larve, una volta metamorfosate, abbandonano l’acqua per tornarvi al momento della maturità sessuale, raggiunta tra due e quattro anni di età a seconda della quota (ANCONA 1992). Status e problemi di conservazione - Specie ancora relativamente comune, ma con popolazioni a rischio, soprattutto in pianura, principalmente per la forte alterazione degli ambienti ac- Triturus carnifex, livrea tipica delle femmine (foto F. Cavagnini). quatici utilizzati per la riCONA 2000). T. carnifex è elencato nelproduzione; le cause sono dovute alla l’Allegato II della Direttiva Habitat ed è modificazione delle pratiche agricole, quindi specie che richiede la designaalle introduzioni non regolamentate di zione di zone speciali di conservazione. specie ittiche e al disboscamento (ANRAOUL MANENTI NICOLETTA ANCONA
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Tritone punteggiato Note tassonomiche - Specie che presenta un vasto areale in cui è possibile riconoscere sette sottospecie di cui cinque europee, originatesi probabilmente dall’isolamento sui rilievi montuosi di alcune popolazioni durante le glaciazioni pleistoceniche (KUZMIN & ZUIDERWIJK 1997). In Italia e in Slovenia è presente la sottospecie Triturus vulgaris meridionalis (Boulenger, 1882) (LANZA 1983). Distribuzione - T. vulgaris è presente ad ovest dalle Isole Britanniche alla Scandinavia (fino a 66° N) sino alle regioni centrali della Francia e all’Italia; a oriente è diffuso in Grecia, Mar Nero, Caucaso, Urali spingendosi in Siberia sino agli Altai e al lago Balkhash (FRACASSO & CERATO 2001). In Italia è pre-
Triturus vulgaris, maschio (foto F. Cavagnini).
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Triturus vulgaris (Linnaeus, 1758)
sente in tutto il nord e nel Tarvisiano vive anche la sottospecie nominale T.v. vulgaris (Linnaeus, 1758) (LAPINI et al. 1992); a sud si spinge sino alla linea immaginaria che unisce Ancona al Gran Sasso e al Lazio meridionale, oltre la quale viene sostituito da T. italicus (Peracca, 1898) con cui solo raramente risulta sintopico; presso Campobasso sono state individuate due popolazioni isolate (GIACOMA 1998). In Lombardia, T. vulgaris è stato rinvenuto in 108 quadranti U.T.M. (38,9% del territorio regionale) ed è presente in tutte le province eccetto quella di Sondrio. Ecologia ed etologia - Dal punto di vista ecologico, T. vulgaris dimostra, all’interno del suo vasto areale, una rilevante capacità di popolare, soprattutto
Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
durante la fase terrestre, ambienti molto diversi tra cui zone boscate e biotopi caratterizzati da una forte pressione antropica, come coltivi, giardini e aree suburbane (PAVIGNANO 1988; ANDREONE 1999). In Lombardia questo tritone si conferma specie piuttosto euriecia, rinvenibile in vari habitat compresi tra 28 e 1.350 m, sebbene risulti più comune nelle zone pianeggianti e collinari tra 100 e 400 m di quota (57% delle segnalazioni). Come siti di latenza invernale utilizza preferibilmente tronchi o pietre posti a breve distanza dall’acqua, ma è in grado di utilizzare edifici e costruzioni (I LDOS & A NCONA 1994). Per la riproduzione T. vulgaris
Triturus vulgaris, larva (foto V. Ferri).
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utilizza zone umide sia perenni sia temporanee, quali stagni, pozze di cava, cisterne, abbeveratoi abbandonati, fossi di irrigazione, teste di fontanili caratterizzate da corrente assente o debole, bassa profondità e presenza di vegetazione ripariale e acquatica (POZZI 1980; ANCONA 1988; BONETTI & ANCONA 1993; DI CERBO & SASSI 2002), sebbene in alcuni casi vi siano popolazioni numericamente consistenti anche in siti privi di vegetazione (SCALI 1993). In Lombardia le situazioni di sintopia con T. carnifex sono relativamente frequenti, mentre sono più rare quelle con T. alpestris. Il tritone punteggiato può essere già attivo ad inizio febbraio quando, per riprodursi, si porta ai siti umidi dove gli adulti sono rinvenibili sino a fine giugno o inizio luglio (FASOLA & CANOVA 1992). Le uova schiudono in 8-20 giorni e le larve sono in grado di compiere la metamorfosi dopo 6-10 settimane. Status e problemi di conservazione - Il tritone punteggiato, pur essendo ampiamente diffuso in Lombardia, sembra essere scomparso da numerose zone di pianura dove era molto abbondante (FERRI 1990a; SCALI 1993; AN-
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1999). I principali fattori di minaccia sono rappresentati soprattutto dalla continua distruzione delle zone umide o dall’alterazione delle stesse mediante errate pratiche gestionali (ILDOS & ANCONA [1995]; SCHIAVO & FERRI 1996; DI CERBO 1998); in particolare, un impatto negativo sulle popolazioni di questo tritone può essere causato dall’immissione di varie specie ittiche predatrici (ILDOS & ANCONA 1992; MAZZOTTI [1995]). DREONE
NICOLETTA ANCONA RAOUL MANENTI
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Triturus vulgaris, maschio in visione ventrale (foto F. Cavagnini).
Geotritone di Strinati Note tassonomiche - I geotritoni appartengono alla famiglia Plethodontidae che annovera oltre venti generi nel continente americano e il solo genere Speleomantes in Europa. La tassonomia dei geotritoni europei è stata recentemente revisionata su base biochimica (LANZA et al. 1995; NASCETTI et al. 1996), identificando sette specie, tre continentali (Speleomantes ambrosii, S. italicus e S. strinatii) e quattro in Sardegna (S. flavus, S. genei, S. imperialis e S. supramontis). Distribuzione - S. strinatii è distribuito da Saint-Benoit, presso Annot (Provenza), fino a Carro in Val di Vara (SP). Questo areale apparentemente continuo (LANZA et al. 1995, fig. 7, p. 55) presenta in realtà una discontinuità nelle
Speleomantes strinatii (Aellen, 1958)
aree subcostiere tra Savona e Genova (MELODIA & PASTORINO 1971). Per questa zona esiste solo un dato (Monte Beigua) riportato in una guida turistica (FARNETI & MALATESTA 1975), che andrebbe riconfermato da osservazioni dirette. In Lombardia la presenza del geotritone di Strinati è limitata al territorio di tre comuni posti all’estremità meridionale dell’Oltrepò pavese. È stato rinvenuto per la prima volta tra le due guerre da Maffo Vialli in una grotta presso Cima Colletta (Barbieri com. pers.), in seguito da Cesare Conci nel 1966 (Passo del Brallo, un esemplare in collezione al Museo di Storia naturale di Milano) e segnalato poi da COVA (1981) in località Sassi Neri presso Romagnese. Tra le segnalazioni recenti, l’unica ad avere ampliato la di-
Speleomantes strinatii, adulto (foto E. Razzetti).
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• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
stribuzione storica della specie risale al 1995 e riguarda alcuni individui rinvenuti in un muro di contenimento stradale presso S. Margherita di Staffora. La distribuzione altitudinale della specie in provincia di Pavia è compresa tra 680 m (S. Margherita di Staffora) e 1.000 m circa (Brallo di Pregola). Ecologia ed etologia - Gli habitat preferenziali del geotritone di Strinati sono il sistema interstiziale di superficie e quello profondo (i.e. ipogeo) che,in ambiente carsico, costituiscono un continuum ambientale. La specie è particolarmente abbondante lungo i torrenti appenninici, le fessurazioni di pareti rocciose umide, le grotte e vari ambien-
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ti antropici (muri di contenimento delle strade, muri a secco, ecc.). In Lombardia la maggior parte delle segnalazioni riguarda zone con boschi di castagno, dove questa specie è stata rinvenuta tra gli sfasciumi di rocce calcaree lungo rii e torrenti. I periodi di maggiore osservabilità sono quelli primaverili (tra metà aprile e inizio giugno) e autunnali (dall’inizio di ottobre alla metà di novembre). Status e problemi di conservazione Essendo una specie che depone le uova fuori dell’acqua e che presenta buone capacità di colonizzazione, non sembra essere particolarmente vulnerabile. In Oltrepò sembrerebbe essere una delle poche specie di anfibi a non avere problemi di conservazione (BARBIERI 1995). SEBASTIANO SALVIDIO EDOARDO RAZZETTI
Speleomantes strinatii, adulto (foto V. Ferri).
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Ululone dal ventre giallo Note tassonomiche - La sistematica di Bombina Oken, 1816 è stata più volte oggetto di revisione negli ultimi trent’anni (SOKOL 1975, 1977; LANZA et al. 1976; NASCETTI et al. 1982; MAXON & SZYMURA 1984; TIAN & HU 1985; CLARKE 1987; LANG 1989; CANNATELLA 1999) e a tutt’oggi la sua attribuzione al rango di famiglia (Discoglossidae o Bombinatoridae) non appare ancora definitivamente chiarita (FORD & CANNATELLA 1993;HAY et al. 1995; ODIERNA et al. 2000).Al genere vengono ascritte cinque specie asiatiche e tre europee. In Italia sono presenti Bombina variegata variegata (Linnaeus, 1758) e B. pachypus (Bonaparte, 1838), endemismo appenninico per il quale solo di recente è stato proposto lo status specifico (NASCETTI et al. 1982;
Bombina variegata (Linnaeus, 1758)
LANZA & VANNI 1991; LANZA & CORTI 1993). Oltre alla sottospecie nominale sono note, per l’area balcanica, B. v. scabra (Kuster, 1843) e B. v. kolombatovici (Bedriaga, 1890). Distribuzione - B.variegata è presente nell’Europa centrale e meridionale (Atlas… 1997). A nord si spinge fino alla Germania, alla Repubblica Ceca, alla Polonia (area meridionale), all’Ucraina (parte occidentale), alla Romania e alla Bulgaria (parte orientale); a ovest fino ai Pirenei francesi (ad eccezione della penisola iberica); a est fino al Mar Nero e a sud lungo i Balcani (Dalmazia,Albania e Macedonia). In Italia B. v. variegata è presente nella provincia di Trento, in Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Lombardia, dove è stata rinvenuta solo nei set-
Bombina variegata, adulto (foto E. Moretti).
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tori centrali e settentrionali della regione, soprattutto sulle Prealpi bergamasche. È ben più localizzata nel Bresciano e rara nella provincia di Lecco (due sole località), mentre per la provincia di Sondrio non esistono segnalazioni recenti. I dati storici indicano inoltre che la specie era molto più diffusa in passato (DE BETTA 1857; GIACOMELLI 1897; VANDONI 1914a;POZZI 1971) e probabilmente presente anche in Oltrepò pavese (Varzi,Val Staffora; MAZZA 1881). Quest’ultima segnalazione, per altro non più riconfermata successivamente (BOGLIANI & BARBIERI 1988), potrebbe in realtà riferirsi al congenere appenninico (B. pachypus),
Bombina variegata, visione ventrale (foto E. Moretti).
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1,07% 6,79%
il cui limite nord-occidentale è stato recentemente spostato fino all’entroterra genovese (MANGINI et al. 2002). Ecologia ed etologia - In Lombardia B. variegata frequenta per lo più pozze d’alpeggio, pozze temporanee di medie e piccole dimensioni, stagni, abbeveratoi in cemento e solo in minima parte torrenti con substrato calcareo o marnoso. L’intervallo altitudinale è compreso tra 250 e 1.684 m (DI CERBO 2001b). Diversamente da quanto accertato in altre regioni, dove la specie è stata osservata per lo più a quote inferiori a 1.000 m (CALDONAZZI et al. 2002), le popolazioni lombarde vivono prevalentemente oltre i 900 m, divenendo meno frequenti tra i 400 e i 900 m ed estremamente rare a quote più basse. L’attività inizia ad aprile o a maggio, a seconda dell’altitudine e della temperatura (DI CERBO 2001b;DI CERBO & BIANCARDI 2002b),e si protrae fino ad ottobre. La specie, strettamente legata all’acqua per quasi tutto il periodo attivo, è in grado di compiere spostamenti fino ad 1 km per muoversi tra un sito acquatico e l’altro (MILESI et al. 1996; DI CERBO 2000). I siti di latenza sembrano inoltre collocarsi nei pressi delle aree riproduttive (DI CERBO
2001a).Gli accoppiamenti hanno luogo da maggio alla prima decade di agosto e le femmine sono in grado di riprodursi 1-4 volte l’anno.Le uova,da 3 a 339 (RAFINSKA 1991), vengono deposte isolatamente o in ammassi formati generalmente da non più di 60 uova, ancorati al fondo o a materiale sommerso di natura vegetale (DI CERBO & BIANCARDI 2002a). I girini, a seconda della temperatura e della disponibilità trofi- Bombina variegata, girino (foto V. Ferri). ca, metamorfosano neltazione delle reti di pozze d’alpeggio e l’arco di 30-100 giorni (DI CERBO & BIANdegli altri corpi d’acqua di realizzazione CARDI 2002b); in taluni casi, alle quote antropica, col conseguente isolamento più elevate, è stato accertato lo svernadi numerosi siti riproduttivi. La scarsa mento allo stadio larvale (DI CERBO manutenzione delle pozze stesse ed il 2001b). sovraccarico di bestiame, l’inquinamenStatus e problemi di conservazione to da scarichi civili o zootecnici,nonché B. variegata è tra gli anfibi meno diffusi l’immissione di ittiofauna costituiscono in Lombardia, essendo presente solo nel i principali fattori di minaccia. Appositi 5% dei quadranti UTM. La bassa consiprogetti di ripristino di pozze d’alpegstenza numerica dei nuclei riproduttivi, gio o di eradicazione di pesci sono stati nonché la rarefazione delle popolazioni attivati in questi anni nel Parco dei Colli più occidentali, la rendono inoltre partidi Bergamo ed in altre aree della provincolarmente a rischio di estinzione locacia (DI CERBO & FERRI 2000a, 2002; SCALI le e potenzialmente soggetta a una conet al. 2002). La specie è inserita nell’alletrazione dell’areale. La presenza dell’ugato IV della Direttiva Habitat lulone nella regione risulta soprattutto 92/43/CEE. legata alle attività montane pastorali; la loro progressiva e generalizzata diminuzione sulle Prealpi lombarde ha provocato, negli ultimi decenni, una frammenANNA RITA DI CERBO STEFANO MILESI
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Pelobate fosco Note tassonomiche - Pelobates fuscus è una specie politipica, di cui sono state descritte due sottospecie; quella nominale è presente nell’Europa centroorientale e in parte dell’Asia, mentre P. f. insubricus Cornalia, 1873 è endemico della pianura padana e del Canton Ticino. La posizione sistematica della sottospecie italiana è tuttora dibattuta:alcuni autori ritengono valido il riconoscimento a livello di sottospecie o, addirittura, di specie a sé stante (ANDREONE et al. 1993; FORTINA & ANDREONE 1999), mentre altri considerano la specie monotipica (LANZA 1993). Distribuzione - Il pelobate fosco è ampiamente distribuito nell’Europa centrale, orientale e sud-orientale; si spinge in Russia fino a circa 60°N, raggiungen-
Pelobates fuscus, adulto (foto E.Vigo).
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Pelobates fuscus (Laurenti, 1768)
do i monti Urali e la Siberia occidentale, fino ai 68°E. Le popolazioni più occidentali si spingono fino alla Francia orientale, ma esiste una popolazione isolata nella Francia centrale (presso Busançais; NÖLLERT 1997). In Italia è presente solo nella parte settentrionale, in particolare in Piemonte (FORTINA & ANDREONE 1999) e in Lombardia (GHEZZI & GROPPALI 1988; FERRI & SCHIAVO 1994; GENTILLI et al. 1996; POZZI 1998b), ma alcune popolazioni sono presenti in Emilia-Romagna (MAZZOTTI & RIZZATI 2001), in Veneto (SEMENZATO 1985) e in FriuliVenezia Giulia (LAPINI et al. 1999). In Lombardia attualmente è noto per 10 unità di rilevamento con almeno 13 popolazioni distinte; in passato era presente in almeno altre 10 unità, dove ri-
Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
sulta attualmente estinto (CORNALIA 1873a, 1873b, 1873c; CAMPEGGI 1883; ANDREONE et al. 1993). La specie è presente solo in aree planiziali e moreniche, principalmente lungo le valli dei fiumi Po, Ticino e Oglio, nonché in Lomellina. Ecologia ed etologia - L’ecologia di P. f. insubricus non è molto nota. Il pelobate fosco frequenta ambienti anche molto diversi fra loro, purché con presenza di suoli sabbiosi o,comunque,soffici, trattandosi di specie fossoria, che trascorre i periodi di inattività nascosta sotto terra,arrivando fino a circa un metro di profondità (GENTILLI & SCALI 2001b). L’attività ha inizio con le prime forti piogge primaverili, quando le tem-
Pelobates fuscus, ovatura (foto F. Barbieri).
10
3,57%
10 20
3,57% 7,14%
perature superano i 4°C (SCALI & GEN2003a). I maschi e le femmine si recano contemporaneamente in acqua (SCALI & GENTILLI 2003a); l’amplesso è lombare e ha durata di circa due o tre giorni; ha luogo sia in superficie sia in immersione. Le uova, da 1.200 a 3.400 per ciascuna ovatura e con diametro di 2-2,5 mm, sono riunite in cordoni che raggiungono la lunghezza di circa un metro e la larghezza di 1,5-2 cm e che vengono avvolti alla vegetazione acquatica (LANZA 1983). Le larve fuoriescono dall’uovo dopo circa una settimana e metamorfosano in due o tre mesi. La riproduzione è di tipo esplosivo monomodale (HELS 2002) e avviene in corpi d’acqua di diversa natura, comprendendo grandi stagni, paludi o canali, purché con profondità massime di circa 70-100 cm. Dopo la riproduzione si allontana anche di diverse centinaia di metri dall’acqua, frequentando soprattutto le zone boschive. L’attività epigea, esclusivamente notturna, termina quasi completamente con l’inizio dell’estate, riprendendo in modo molto ridotto in autunno (SCALI & GENTILLI 2003a). Status e problemi di conservazione P.fuscus è una specie in regresso in gran TILLI
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parte dell’areale e la sottospecie italiana, ritenuta a rischio di estinzione, è considerata specie prioritaria ai sensi della Direttiva Habitat 92/43/CEE. Negli ultimi anni sono stati intrapresi alcuni progetti di conservazione, mirati principalmente al ripristino degli habitat riproduttivi, all’allevamento in cattività e alla reintroduzione in diverse regioni italiane (JESU et al. 2002; RIPAMONTI et al. 2002; GENTILLI et al. Pelobates fuscus, giovane (foto E. Biggi). 2003). In Lombardia nel Sud, per un totale di circa 12.500 girini corso degli anni 2000-2002 sono stati rilasciati. effettuati lavori di ripristino ambientale seguiti dalla reintroduzione della specie AUGUSTO GENTILLI in sei siti del Parco del Ticino, del Parco STEFANO SCALI agricolo Sud Milano e del Parco Adda
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Rospo comune Note tassonomiche - Oltre alla forma nominale, si riconoscono tre sottospecie europee: Bufo bufo gredosicola Müller & Hellmich, 1935 nei territori centrali della penisola iberica; B. b. verrucosissimus Pallas, 1914 nei territori caucasici; B. b. spinosus Daudin, 1803 che, qualora ne fosse confermata la validità tassonomica (LANZA 1983), interesserebbe tutta l’area mediterranea (BORKIN & VEITH 1997). Distribuzione - B.bufo ha un’ampia distribuzione comprendente tutto il territorio continentale europeo, dal Portogallo alle regioni caucasiche fino al circolo polare artico, ad esclusione di Irlanda, isole Baleari, Corsica, Sardegna, Malta e Creta (BORKIN & VEITH 1997); è presente anche in Asia nord-occidentale
Bufo bufo (Linnaeus, 1758)
e nel Maghreb (LANZA 1983). In Lombardia, come nel resto del territorio italiano, la sua distribuzione appare abbastanza uniforme per le aree collinari e montane; in pianura, e in particolare nelle province di Milano e Lodi, nella bassa pianura orientale bergamasca e in quella bresciana, in buona parte del Mantovano e in Lomellina, la presenza appare discontinua e prevalentemente limitata alle zone boscate residuali.In alcune aree montuose B. bufo sembra poco diffuso:Valtellina,Valli di S. Giacomo, Alpi Lepontine, parte delle Orobie e del Bresciano. I limiti di distribuzione altimetrica sono compresi fra i 24 m di Castel D’Ario (MN) e i 2.139 m (Schilpario, BG). La maggior parte delle segnalazioni ricade nella fascia tra 100 e 500 m,
Bufo bufo, accoppiamento (foto E.Vigo).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
ma la specie è comunque ben rappresentata fino a 1.300 m di quota. Ecologia ed etologia - In Lombardia B. bufo è attivo da febbraio a novembre e si reca presso le zone di riproduzione (vasche, stagni, canali, laghi, paludi) tra febbraio e giugno. Le migrazioni riproduttive, che durano da 25 a 45 giorni, si verificano anche con temperature minime di 2°C e, raramente, con umidità relativa inferiore al 25% (VERGANI 1998; GIOVINE & VERGANI 2000). In autunno B. bufo si dirige verso i siti di svernamento, distanti fino a 2 km dalle zone di deposizione. I neometamorfosati si osservano nelle aree montane a partire dal
Bufo bufo, girini predati da Natrix maura (foto E. Moretti).
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158 56,43% 6 2,14% 164 58,57%
mese di luglio (SOCCINI & FERRI 2000). I maschi giungono precocemente ai siti riproduttivi (GIOVINE & VERGANI 2000); in rapporto al loro numero e alle dimensioni del sito, adottano la strategia riproduttiva “densità-dipendente”, che li vede attendere le femmine in acqua attraendole con il canto, o la scramble competition, nella quale cercano di sostituirsi a un altro maschio già accoppiato (DI CERBO & FERRI 2000b). In questa fase e in funzione del clima i maschi sostano in acqua da 1 a 48 giorni,le femmine da 2 a 27 (GIOVINE & VERGANI 2000). La sex-ratio varia da 0,45 m:1 f (Lago d’Iseo, BG) a 6,05 m:1 f (Lago d’Idro, BS; FERRI 2002a). I maschi raggiungono la maturità sessuale tra i due e i quattro anni, le femmine tra i tre e i quattro. Status e problemi di conservazione Le popolazioni lombarde mostrano in genere una consistenza numerica inferiore ai 1.000 individui adulti (FERRI 2002c). Nella regione si hanno alcune fra le maggiori popolazioni note per l’Italia: Lago d’Endine (BG) con oltre 21.000 individui adulti e Lago d’Idro con oltre 10.000 (SOCCINI 2002a, 2002b). Il traffico veicolare e alterazioni
ambientali causano una costante riduzione degli individui riproduttori,incidendo sulla consistenza delle popolazioni (BARBIERI 1998; FERRI 1998b, 2002a; SCOCCIANTI & FERRI 2000; SCOCCIANTI 2001). Dal 1990 in Lombardia è attivo il “Progetto ROSPI”, che prevede il monitoraggio costante delle popolazioni e l’attivazione di interventi di salvaguardia (FERRI 1998b). Il rospo comune è inserito nell’Allegato II della Con- Bufo bufo, maschi in competizione (foto F. Cavagnini). venzione di Berna (1979); B. bufo è una specie prioritaria per la Regione Lombardia (D.G.R. 20/4/2001) ed è tutelato dalla L.R. 33/1977 che ne vieta la cattura,il trasporto e il commercio. GIOVANNI GIOVINE CHRISTIANA SOCCINI
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Rospo smeraldino Note tassonomiche - Bufo viridis è una specie politipica che comprende le sottospecie centro-asiatiche B. v. turanensis Hemmer, Schmidtler & Böhme, 1978 e B. v. sheertusiensis Pisanetz, Mezhzherin & Szczerbak, 1996 che, secondo alcuni, meriterebbero l’elevazione al rango di buone specie.Va comunque sottolineato che anche nell’ambito del vasto areale della sottospecie nominale esiste una grande variabilità,che attende ancora di essere meglio studiata, soprattutto da un punto di vista genetico ed ecologico. Distribuzione - B.viridis è una specie a distribuzione eurocentroasiatico-maghrebina: è presente in Europa centrale e meridionale (escluse la penisola iberica e buona parte della Francia),Asia sud-oc-
Bufo viridis, adulto (foto G. Conca).
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Bufo viridis Laurenti, 1768
cidentale e centrale, Africa nord-occidentale (ROTH 1997); il limite distributivo settentrionale coincide con il margine delle foreste miste (KUZMIN 1999). In Italia è diffusa in tutta la penisola, in Sicilia, in Sardegna e in alcune isole minori. In Lombardia la specie è stata osservata in 128 quadranti UTM (46% del territorio regionale); le segnalazioni per la provincia di Sondrio sono meritevoli di conferma (FERRI & CENTELLEGHE 1996). La distribuzione in regione è spiccatamente planiziale e collinare, con la gran parte delle osservazioni comprese tra 0 e 200 m. A quote superiori ai 200 m la specie è più rara o localizzata,mentre al di sopra dei 400 m le presenze sono sporadiche. Il massimo altitudinale regionale è raggiunto nel
Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
Parco regionale dell’Alto Garda bresciano a 1.830 m (GENTILLI & BARBIERI 2002). Ecologia ed etologia - B. viridis frequenta ambienti molto vari, tra cui coltivi, greti, golene, cave, brughiere, aree industriali e residenziali. Predilige generalmente ambienti aperti, mentre è raro nelle zone boscate. È presente in diverse grandi città lombarde (Milano, Brescia,Cremona,Mantova) dove colonizza parchi, giardini, orti, aree dismesse. Per quanto riguarda i siti riproduttivi utilizza stagni e fossati temporanei, vasche d’irrigazione, risaie e canali limitrofi, pozzanghere, briglie, raccolte d’acqua in ambienti urbani e pozze isolate presso la riva di torrenti.Tali ambienti ven-
Bufo viridis, girini (foto F. Cavagnini).
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gono colonizzati se ben soleggiati e soggetti ciclicamente a periodi di disturbo o modificazione ambientale, come: prosciugamenti estivi o invernali, intenso calpestio da bestiame o mezzi meccanici, improvvisi quanto brevi allagamenti. In questo modo gli ambienti elettivi di B. viridis presentano spesso acque basse e rive fangose o antropizzate; sono comunque caratterizzati dalla scarsità (o dalla totale assenza) di vegetazione acquatica sommersa, da una bassa biodiversità o, quantomeno, da una scarsa densità di altre specie di vertebrati o macroinvertebrati. Come già rilevato da FERRI & BRESSI (2000) l’ambiente terrestre circostante e la qualità dell’acqua non rivestono invece una grande importanza. La maggior parte delle osservazioni di B. viridis sono comprese nel periodo marzo-settembre, con avvistamenti più rari in ottobre e sporadici nel mese di novembre. Gli adulti sembrano interrompere per primi la diapausa invernale (tutti gli avvistamenti di marzo si riferiscono ad adulti). È una specie a riproduzione prolungata; i maschi, in genere dopo intense precipitazioni che rimpinguano gli habitat riproduttivi, si portano in acqua, dove, dopo aver as-
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sunto la caratteristica posa sulle quattro zampe in un paio di cm d’acqua,emettono i caratteristici trilli di richiamo. Le deposizioni avvengono solitamente fra aprile e giugno,ma ovature ed individui in fregola sono stati osservati dall’inizio di marzo ai primi di settembre. Le femmine giungono in acqua, scelgono un maschio per l’amplesso, depongono i cordoni di uova e lasciano il bacino solitamente Bufo viridis, particolare del capo (foto E. Moretti). nel corso di una sola nottata importanza paesaggistica), dalla lote (o comunque entro 12-24 ore).Lo sviro alterazione, dal loro prosciugamento luppo delle larve è molto breve e spes(le sempre più precoci “asciutte” delle so si completa in poco più di 40 giorni. risaie) o, al contrario, dalla loro trasforConsiderando il possibile susseguirsi di mazione in zone umide “stabili” e pediverse deposizioni, a giugno è possibirenni, popolate da specie incompatibili le osservare, in alcuni siti di riproduziocon le esigenze ecologiche di B. viridis. ne, la presenza contemporanea di adulPer la conservazione della specie semti, neometamorfosati, uova e larve in brano prioritari interventi di ripristino ogni fase di sviluppo. e creazione di habitat riproduttivi, al fiStatus e problemi di conservazione ne di realizzare una rete tra le diverse La specie è minacciata principalmente popolazioni (BRESSI et al. 2000). dalla scomparsa degli habitat riproduttivi (spesso costituiti da biotopi di limiLAURA BONINI NICOLA BRESSI
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Raganella italiana Note tassonomiche - La raganella italiana è stata separata alcuni anni or sono dalla congenere europea Hyla arborea (Linnaeus, 1758) sulla base di dati genetici e morfologici (NASCETTI et al.1995) con il nome di H.italica. A seguito di ulteriori studi nomenclaturali è emersa la priorità dell’attuale denominazione (DUBOIS 1995). Attualmente la specie è considerata monotipica. Distribuzione - La specie è distribuita nell’Italia continentale, peninsulare e in Sicilia (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996); è presente anche in Svizzera nel Canton Ticino (POGGIATI & SALMONI 2002); manca invece nella porzione più orientale della Venezia Giulia (provincia di Trieste e Tarvisiano) ove è sostituita da H. arborea (LAPINI et al.
Hyla intermedia Boulenger, 1882
1999). In Lombardia è presente nelle porzioni planiziali e collinari della regione e diviene più rara nelle zone montane, dove frequenta i principali fondivalle; manca nelle aree più interne delle Alpi e degli Appennini. Il 94% delle stazioni è situato a quote inferiori ai 500 m, anche se ben 11 siti sono posti al di sopra dei 1.000 m; il massimo altitudinale conosciuto per la Lombardia è di 1.560 m in provincia di Bergamo. Ecologia ed etologia - H. intermedia è una specie termofila e ben adattata all’ambiente terrestre, che si porta in prossimità dell’acqua per lo più nel periodo riproduttivo; i giovani si trovano soprattutto al suolo, tra l’erba, mentre gli adulti sono arboricoli ed è possibile osservarli su alberi, arbusti o sulla par-
Hyla intermedia, adulto (foto G. Conca).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
te sommitale della vegetazione palustre (GENTILLI & BARBIERI 2002). In posizione sopraelevata i maschi cantano sia a scopo territoriale (da fine aprile a novembre) sia per richiamare le femmine, costituendo un importante meccanismo di isolamento prezigotico (CASTELLANO et al. 2002). La riproduzione avviene dalla fine di aprile a giugno (ANCONA et al. 1998) in raccolte d’acqua soleggiate, preferibilmente stagionali, con vegetazione e di media maturità (ILDOS & ANCONA 1994; ANCONA et al. 1996; ANCONA 2000). È possibile trovare uova e girini anche in pozze neoscavate o addirittura in piscine, dove
Hyla intermedia, particolare del capo (foto E. Moretti).
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però la mortalità risulta molto elevata (EBISUNO & GENTILLI 2002). Questa situazione è il compromesso che si realizza tra femmine selettive nella scelta del sito riproduttivo, maschi colonizzatori delle più diverse raccolte d’acqua (EBISUNO & GENTILLI 2002) e, analogamente alla maggior parte degli anfibi, disponibilità dei siti rimasti in una determinata area (ANCONA 2000). L’accoppiamento è di tipo ascellare e le uova, chiare e di poco più di un millimetro di diametro, sono deposte in piccoli ammassi, per lo più tra 2 e 5, ancorati alle piante sommerse (L ANZA 1983). La metamorfosi avviene normalmente tra giugno e luglio. I giovani ritornano in prossimità dell’acqua al secondo anno di età (Milanese com. pers.). Durante l’autunno è possibile che numerosi individui si riuniscano in aree idonee per lo svernamento (DELLA ROVERE 2002). Status e problemi di conservazione La specie è ancora comune in tutta la regione; si registrano però estinzioni locali causate da molteplici fattori, localmente differenti, che generano vulnerabilità alle popolazioni presenti. Da evidenziare che un tempo nella pianu-
Hyla intermedia, adulto (foto E. Razzetti).
ra lombarda H. intermedia utilizzava abbondantemente le risaie per la riproduzione, mentre attualmente, a cau-
sa del cambiamento delle metodiche colturali, predilige i canali adiacenti.
NICOLETTA ANCONA AUGUSTO GENTILLI
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Rana toro Note tassonomiche - Si tratta di un rappresentante del genere Rana appartenente al sottogenere Aquarana (D UBOIS 1992). Questa grossa rana nord-americana è considerata monotipica, anche se la sua ampia distribuzione nel paese d’origine suggerisce che essa sia distinta in popolazioni riproduttivamente isolate. Distribuzione - L’areale d’origine della rana toro è da considerarsi la zona a est delle Montagne Rocciose in Nord America; la distribuzione è oggi comunque abbastanza confusa a causa delle varie introduzioni operate anche sulla costa occidentale degli Stati Uniti. Importata in Europa per scopi alimentari già a fine Ottocento e oggi presente anche in Francia e Olanda, fu
Rana catesbeiana, adulto (foto G. Stagni).
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Rana catesbeiana Shaw, 1802
introdotta intorno al 1935 in alcune località in provincia di Mantova (LANZA 1962; BRUNO 1978; ALBERTINI & LANZA 1988). In particolare, ALBERTINI (1970) ha ricordato la sequenza di rilascio e diffusione dell’anuro nelle prime fasi; dall’area della Corte Brusca, Bigarello e Roncoferraro, la specie si sparge infatti nelle zone vicine sia mantovane sia veronesi. Nei decenni successivi è stata poi introdotta, con acclimatazione, anche in diverse località del Piemonte, della Toscana e del Lazio (BRUNO 1978; VANNI & LANZA 1978; LANZA 1983; ANDREONE et al. 1987; BAGNOLI 2000). In Emilia-Romagna è presente nella pianura con diverse segnalazioni per le province di Piacenza, Reggio Emilia, Modena, Bologna e Ferrara (MAZZOTTI
Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
et al. 1999). In Lombardia oggi appare concentrata nel Mantovano, con alcune altre segnalazioni riguardanti le province di Cremona e Brescia e la collina bergamasca. Rana tipicamente di pianura, mostra solo un 12% dei riscontri sopra i 150 m di quota, con limite altitudinale di 300 m ad Albino (BG). Ecologia ed etologia - Anuro di grandi dimensioni, predatore tipico delle zone di pianura temperata, si adatta bene anche a climi piuttosto rigidi e a zone subtropicali. Si tratta di una specie relativamente invasiva, che si è resa probabilmente responsabile della diminuzione di altri anfibi in molte zone di immissione sia per competizione sia per predazione diretta. Attiva soprattutto di notte, è legata strettamente all’acqua e non si allontana dai siti acquatici per più di un chilometro. Il richiamo del maschio, tipicamente lungo e cavernoso, spiega i nomi vernacolari di “rana toro” o “rana bue” attribuiti alla specie. La riproduzione in pianura padana ha probabilmente luogo tra maggio e luglio. Dopo l’amplesso ascellare, vengono deposti ammassi lenticolari, contenenti anche 20.000 uova; lo sviluppo del girino può pro-
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5,00%
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lungarsi per due stagioni (ANDREONE & MAROCCO 1999). Per tale motivo la specie non sembra essere in grado di colonizzare con successo stagni temporanei o risaie, in quanto questi ambienti non consentono il completamento dello sviluppo larvale. I neometamorfosati sono molto grandi e possono raggiungere e superare i cinque centimetri di lunghezza. Gli adulti svernano in acqua, nel fango o nei detriti del fondo; in qualche caso possono svernare anche a terra, a breve distanza dal corpo d’acqua. Status e problemi di conservazione R. catesbeiana è da considerarsi “specie aliena” per la fauna italiana. In alcune zone degli USA, ove la specie è stata traslocata, sono noti casi di interazione negativa con alcune specie di anfibi (KUPFERBERG 1994; ANDREONE & MAROCCO 1999).A fronte del potenziale interesse dovuto all’aspetto di alloctonia della specie, non sono noti a tutt’oggi studi riguardanti l’ecologia della rana toro nel nostro paese. È tuttavia incoraggiante verificare come di fatto, a più di 60 anni dalla sua introduzione in Italia, R. catesbeiana sia rimasta relativamente confinata ad alcune aree senza
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Rana catesbeiana, girino (foto V. Ferri).
diventare infestante. Le ragioni di tale mancata colonizzazione sono probabilmente da ricercare nelle condizioni subottimali di molti siti riproduttivi e DINO SCARAVELLI FRANCO ANDREONE
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forse, in qualche caso, all’intensa caccia per fini gastronomici.
Rana di Lessona Rana esculenta Note tassonomiche - Il sottogenere Pelophylax, a cui appartengono le “rane verdi” europee e asiatiche, è formato da oltre 15 specie non ibride, come Rana lessonae, e da alcuni particolari taxa ibridi per cui è stato necessario coniare un termine particolare: klepton (POLLSPELAZ 1989). A queste forme ibride appartiene R. kl. esculenta, che è frutto dell’ibridogenesi emiclonale tra R. lessonae e R. ridibunda (GRAF & POLLS-PELAZ 1989). Considerando la sola morfologia esterna, il riconoscimento dei taxa all’interno di questo complesso di specie è particolarmente difficile; in molti casi, una precisa determinazione è possibile solamente tramite analisi biochimiche del genotipo o bioacustiche del canto (PAGANO & JOLY 1999). Dal
Rana lessonae Camerano, 1882 Rana kl. esculenta Linnaeus, 1758
momento che, a meno di non generare popolazioni ibride triploidi (molto rare e fino ad ora non segnalate in Italia), le forme ibride possono riprodursi unicamente con forme non ibride, queste popolazioni di rane verdi, formate da individui ibridi (Rana klepton esculenta) e non ibridi (Rana lessonae),possono essere indicate con il termine comprensivo di synklepton, in questo caso: R. synklepton esculenta. Distribuzione - R. kl.esculenta e R.lessonae sono diffuse dalla Francia meridionale sino all’Asia centrale, a nord fino agli Urali, all’Estonia, all’Inghilterra (con popolazioni autoctone di R. lessonae oggi probabilmente estinte); esistono segnalazioni isolate nella Norvegia meridionale; a sud si spingono sino ai
Rana esculenta, adulto (foto E.Vigo).
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Numero quadranti UTM
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Balcani ed al Caucaso (GÜNTHER 1997a, 1997b; DUBOIS 1998; KUZMIN 1999; PAGANO et al. 2001). In Italia R. synkl. esculenta è distribuita unicamente nel bacino del Po e in Sardegna, dove tuttavia è alloctona (AUCLAIR et al. 1983; LANZA 1986). Nell’Italia peninsulare, in Corsica, isola d’Elba e Sicilia le rane verdi sono rappresentate da un klepton differente (R.kl. hispanica) e da almeno una specie non ibrida (R. bergeri). In Lombardia R.synkl. esculenta è tipicamente legata alle zone planiziali dove è comunissima ed ha una distribuzione pressoché continua; in aree collinari è invece localizzata lungo le maggiori valli flu-
Rana esculenta, adulto nel rifugio invernale (foto G. Incao).
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viali (Olona, Lambro, Adda, Oglio) e presso le sponde dei laghi insubrici. Solo il 5,5% dei dati è riferibile a quote maggiori ai 400 m e le segnalazioni diventano poi decisamente sporadiche oltre i 600 m (1,9% dei dati). La quota massima raggiunta in Lombardia è di 1.357 m presso Pian di Gembro, nel comune di Villa di Tirano (SO); in Oltrepò pavese, invece, si rinviene fino a 630 m di quota nel comune di Romagnese. Ecologia ed etologia - R. synkl. esculenta in Lombardia si riproduce in molteplici habitat acquatici: risaie, marcite, fossi, stagni, cave allagate, lanche e bordi paludosi di laghi e fiumi.È specie tendenzialmente gregaria (BRESSI 1999), almeno nel periodo riproduttivo, ed eliofila; evita infatti i biotopi freddi e ombrosi oppure gli specchi d’acqua troppo piccoli e isolati. I giovani e gli adulti non riproduttivi sono invece estremamente eurieci e pur rimanendo sempre legati all’acqua compiono ampi spostamenti a terra, occupando ogni sorta di ambiente nel raggio di oltre un chilometro dagli habitat che fungono da nuclei principali. R. lessonae tende ad essere meno eliofila del klepton esculenta e risente maggiormente di fattori di in-
quinamento o disturbo. Il periodo di attività di R. synkl. esculenta in Lombardia è compreso tra metà marzo e metà ottobre, con sporadiche segnalazioni anche in febbraio e novembre. I primi cori di R. synkl. esculenta si cominciano a udire verso la metà di aprile e sono molto numerosi fino all’inizio di luglio;in questo periodo, e specialmente nel mese di maggio (ANCONA et al. 1998), ogni femmina de- Rana esculenta, adulto (foto G. Conca). pone da una a cinque 30 giugno. Tuttavia, la cattura selettiva piccole masse di uova ancorate a supdi rane adulte a scopo alimentare proporti vegetali posti in zone assolate. La voca un’evidente destrutturazione delle maturità sessuale è raggiunta dopo un popolazioni in molte aree, pur senza anno nei maschi e dopo due nelle femcausarne la scomparsa locale. Il commine. mercio a fini alimentari di alcune specie Status e problemi di conservazione di rane verdi vive provenienti dall’esteR. kl. esculenta e R. lessonae sono sicuro, in particolare di R. ridibunda e ramente gli anfibi più comuni delle aree R.bedriagae, rappresenta una possibile planiziali lombarde (BARBIERI et al. minaccia in quanto tali specie potreb1995;FASOLA & BONCOMPAGNI 2002) e dobero naturalizzarsi nella pianura padana vrebbero pertanto essere considerati (come del resto è avvenuto per Rana come taxa non minacciati. La raccolta kurtmuelleri in Liguria) ed inquinare delle rane verdi rappresenta tuttora una geneticamente i taxa autoctoni presenattività tradizionale in Lombardia ed è ti in Lombardia. regolamentata dalla L.R. 33/77, che ne vieta la cattura nel periodo 1 febbraioNICOLA BRESSI EDOARDO RAZZETTI
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Rana dalmatina Note tassonomiche - Rana dalmatina è una specie con ampia diffusione e ridotta variabilità;la specie è infatti considerata monotipica. Fino all’inizio del Novecento era chiamata R. agilis Thomas,1855; in seguito venne ristabilita la priorità del nome coniato precedentemente da Carlo Luciano BONAPARTE nella sua Iconografia della Fauna italica (1832-1841). Distribuzione - R. dalmatina è diffusa prevalentemente nell’Europa centrale e meridionale; l’areale si estende dalla Francia nord-occidentale fino all’Asia Minore e al Caucaso. Malgrado sia presente in quasi tutta Europa, risulta poco diffusa all’estremo orientale del continente e pressoché assente nella fascia nord-europea, essendo molto localizza-
Rana dalmatina Bonaparte, 1838
ta in Germania settentrionale, Danimarca e Svezia meridionale (Atlas… 1997; DUBOIS 1998). In Italia è presente su tutto il territorio, ad esclusione di Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996; TURRISI & VACCARO 1998; Erpetologia… 1999). I dati di presenza italiani riguardano per lo più il settore centro-settentrionale, mentre nelle regioni centrali e meridionali della penisola la specie sembra essere meno diffusa. Sulle Alpi supera raramente i 700 metri di quota e risulta assente nei settori nord-orientale e nord-occidentale. In Lombardia la specie è ben distribuita nelle zone collinari e pedemontane di quasi tutto l’arco prealpino, lungo la fascia dei boschi planiziali del Ticino e sulla dorsale appenninica, dove si
Rana dalmatina, femmina prossima alla deposizione (foto E. Razzetti).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
spinge poco al di sopra dei 1.100 m di quota (BARBIERI & TISO 1990); nelle zone di pianura lungo il Po appare meno diffusa e in molti casi è vicariata da R. latastei. La maggior parte delle segnalazioni riguarda zone planiziali, pedecollinari e collinari, anche se diversi siti riproduttivi sono localizzati nella fascia di bassa montagna tra i 600 e i 900 m. Il 49% delle segnalazioni lombarde ricade tra 0 e 300 m, il 36% tra 300 e 600 m e il 15% oltre i 600 m; il massimo altitudinale regionale è di 1.580 m (Collio, BS). Ecologia ed etologia - R. dalmatina è una specie a costumi prevalentemente terrestri, tipicamente legata ai boschi di
Rana dalmatina, particolare di un’ovatura (foto E. Razzetti).
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latifoglie, ma che talvolta frequenta anche radure, campi o prati. È attiva soprattutto nelle ore notturne e nei periodi umidi, rimanendo nascosta in cavità del terreno,sotto le foglie morte o sfruttando altri possibili ripari nei periodi di inattività. Lo svernamento, che può avvenire sia a terra sia in acqua, ha una durata piuttosto limitata (da ottobre a fine gennaio), ma può variare in relazione alla quota,alla località e all’andamento climatico. Il periodo riproduttivo è precoce: in una zona del Parco del Ticino, ad esempio, le ovature vengono deposte solitamente già a partire dalla prima decade di febbraio (VERCESI et al. 2000). Ciascuna femmina depone dalle 600 alle 2.000 uova, riunite in ammassi sferici ancorati alla vegetazione o a un ramo sommerso che, dopo alcuni giorni, tendono a salire in superficie assumendo un aspetto discoidale. Le femmine, effettuata la deposizione, abbandonano quasi subito le raccolte d’acqua, mentre i maschi vi si possono trattenere per più giorni, in attesa di nuovi accoppiamenti (LANZA 1983). R. dalmatina è piuttosto opportunista nella scelta dei siti riproduttivi; le ovature vengono deposte in stagni, vasche artificiali, abbeveratoi,
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pozze temporanee,generalmente in prossimità di aree boscate. In zone appenniniche può deporre anche nelle pozze all’interno di torrenti con corrente ridotta o assente anche se, di norma, sono evitati i corsi d’acqua troppo ripidi (ZILIANI & BARBIERI 1995; BARBIERI & CAVAGNINI 2000; BONINI & RAZZETTI 2000). Status e problemi di conservazione - Considerata localmente a rischio (FERRI 1998c), R. Rana dalmatina, maschio (foto E. Razzetti). dalmatina rientra nelventi diversificati quali: creazione di zol’Allegato IV della Direttiva Habitat ne umide artificiali e ripristino di quel92/43/CEE. Il prelievo è regolato dalla le in via di interramento, monitoraggio L.R. 33/77. Le alterazioni ambientali (didelle popolazioni esistenti, progetti di sboscamento, inquinamento e bonifica sensibilizzazione delle comunità locali delle zone umide) costituiscono i prinattraverso azioni di educazione ambiencipali fattori di minaccia per la sopravtale e in qualche caso interventi di reinvivenza della specie. Ai fini della controduzione. servazione, sarebbero auspicabili interALBERTO VERCESI FABIO CAVAGNINI
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Rana appenninica Note tassonomiche - Rana italica è una specie monotipica endemica dell’Italia peninsulare. La sua presenza in Italia è nota dalla fine dell’Ottocento, quando ne furono raccolti diversi esemplari in località della Toscana e dell’Umbria (PERACCA 1897).Tali animali furono tuttavia inizialmente classificati come appartenenti a R. graeca Boulenger, 1891, specie diffusa nella penisola balcanica centro-meridionale.Alcune indagini morfometriche condotte successivamente evidenziarono che gli individui italiani sono di dimensioni minori e possiedono arti più corti rispetto agli animali balcanici e permisero di distinguere le due popolazioni come appartenenti a sottospecie diverse (DUBOIS [1987]). L’elevazione a rango specifico,
Rana italica Dubois, 1987
già proposta da VANNI & NISTRI (1989), è stata confermata da analisi elettroforetiche (PICARIELLO et al. 1990). Distribuzione - La specie è tipicamente appenninica ed è diffusa,dalla Liguria centrale sino all’Aspromonte, con areale discontinuo; in alcune regioni, infatti, risulta molto localizzata: Marche, Umbria, Molise, Basilicata e Puglia (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996). In Lombardia R. italica è presente solamente nell’Oltrepò pavese, con segnalazioni riferite a sette discreti UTM (2,5% del territorio regionale). La specie è scarsa e localizzata nel settore collinare, dove trova il proprio limite distributivo settentrionale nella valle dell’Ardivestra, affluente di destra del torrente Staffora (BARBIERI & TISO 1990; ZILIANI & BARBIERI
Rana italica, femmina (foto E. Razzetti).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
1992); nella porzione montana, la distribuzione è più omogenea e riguarda i bacini dei torrenti Staffora,Tidone e Trebbia. Le popolazioni dell’Appennino pavese sono in continuità di areale con quelle delle province di Alessandria, Genova e Piacenza (BARBIERI 1994a; BARBIERI & SILVANO 1999). Ecologia ed etologia - R.italica vive in boschi di latifoglie collinari e montani a basso disturbo antropico e generalmente evita le aree coltivate. A differenza delle altre rane rosse, è una specie molto legata all’ambiente acquatico e in Lombardia frequenta, durante tutto il periodo di attività, torrenti con pendenza medio-alta a fondo roccioso, o comunque compatto,con acque limpide e assenza di vegetazione sommersa. La specie è stata osservata, inoltre, anche presso torrenti in aree di rimboschimento a conifere, non colonizzati da altri anfibi (ZILIANI & BARBIERI 1995). Dal punto di vista della distribuzione altitudinale il 50% delle stazioni in cui è stata rinvenuta ricade in una fascia compresa fra 400 e 600 m, il 25% tra 600 e 800 m. A quote inferiori e superiori risulta rara o estremamente localizzata, probabilmente a causa, rispettivamente, dell’as-
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7
2,50%
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senza di aree boschive sufficientemente ampie e non disturbate dall’azione antropica e della scarsità di torrenti idonei. La stazione più elevata è situata a 1.060 m presso Brallo di Pregola (PV). La specie è attiva da fine febbraio-marzo fino a settembre e depone generalmente dalla prima decade di marzo sino a maggio inoltrato (ZILIANI & BARBIERI 1995). Le ovature sono relativamente piccole, sferoidali e possono comprendere da 200 a 1.350 uova; sono ancorate alle rocce, tipicamente nelle fenditure, o a sassi e rami sommersi. La temperatura dell’acqua influisce sul periodo di schiusa,che può avvenire dopo 20-50 giorni dalla deposizione. Solitamente i primi girini nascono in maggio e la metamorfosi viene raggiunta dopo 4 o 5 mesi. I siti riproduttivi sono spesso condivisi con Salamandrina terdigitata e Salamandra salamandra, più raramente con Bufo bufo. Status e problemi di conservazione La specie è molto esigente dal punto di vista ecologico; predilige, infatti, ambienti boscati a ridotto impatto antropico e resta legata ai corsi d’acqua anche al di fuori del periodo riproduttivo. Da sottolineare inoltre che R. italica, in
Rana italica, maschio (foto G. Conca).
Lombardia, vive al limite del proprio areale, spesso con popolazioni scarsamente consistenti. Pertanto la sopravvivenza di questa specie è legata essenzialmente alla conservazione degli ambienti frequentati; fenomeni quali la
deforestazione o l’alterazione delle aree boschive, le captazioni idriche, l’inquinamento organico dei torrenti e l’introduzione di specie ittiche predatrici costituiscono i principali fattori di rischio.
LAURA BONINI FRANCO BERNINI
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Rana di Lataste Note tassonomiche - È una specie monotipica. Recenti studi su popolazioni svizzere,italiane,slovene e croate hanno evidenziato differenze genetiche in relazione alla posizione nell’areale. Le popolazioni occidentali presentano al loro interno una minore variabilità genetica rispetto a quelle orientali; le differenze osservate, comunque, non sono tali da giustificare una revisione sistematica (ANGELONE 2002; PEARMAN et al. 2002). Distribuzione - La rana di Lataste è presente nella pianura padana, in parte della Svizzera meridionale (Mendrisiotto) e in Istria (GROSSENBACHER 1997a). In Italia è presente in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996). La specie è rara in Piemonte
Rana latastei, adulto (foto G. Conca).
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Rana latastei Boulenger, 1879
e a sud del Po, mentre diventa relativamente comune e più diffusa spostandosi verso nord-est;la popolazione più meridionale è quella di Punta Alberete, nel Ravennate (CAPULA 1980). In Lombardia è presente in buona parte delle aree planiziali e lungo i principali affluenti di sinistra del Po (Valle del Ticino, Cremonese, Mantovano), spesso con popolazioni consistenti; nella zona prealpina la presenza si riduce in corrispondenza delle prime fasce collinari. La specie raggiunge i 520 m di quota, ma il 95% delle segnalazioni si colloca al di sotto dei 400 m; è più abbondante lungo le fasce boschive delle principali aste fluviali, anche grazie alla protezione accordata a queste aree (SCALI 1993; SCARAVELLI [1995]; FERRI et al. 1995a). Rana lata-
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• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
stei e R. dalmatina sono simpatriche in molte aree della regione; tuttavia, le carte di distribuzione mostrano areali sostanzialmente non sovrapposti, con rana di Lataste prevalente in tutta la bassa pianura sud-orientale nelle province di Lodi, Cremona e Mantova. Ecologia ed etologia - R.latastei è una specie igrofila e stenoigra, legata a boschi umidi di latifoglie, planiziali e collinari (POZZI 1980). Nella tenuta Bosco Castagnolo (PV), durante una ricerca pluriennale, sono stati osservati individui in attività solamente in condizioni d’elevata umidità del substrato (BERNINI et al. 2000). Occasionalmente può esse-
Rana latastei, larve appena schiuse (foto E. Moretti).
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re trovata anche in ambienti aperti, quali prati stabili e brughiere (SCALI 1993, 1995); nella bassa pianura cremonese e mantovana si rinviene frequentemente lungo i fossi irrigui al margine dei coltivi. La riproduzione inizia generalmente durante la prima metà di febbraio e termina nella seconda settimana di marzo (VERCESI et al. 2000); avviene normalmente in raccolte d’acqua medio-piccole, con profondità massima di circa un metro e con vegetazione. Le ovature sono solitamente ancorate a rami sommersi e tipicamente deposte in grappoli anche di alcune decine; contengono da 676 a 2.720 uova (media 1.278±114, n=22) (Barbieri & Bernini dati inediti), che si schiudono dopo 15-20 giorni dalla deposizione. I girini completano la metamorfosi in circa tre mesi e la presenza dei neometamorfosati è massima alla fine di giugno. La maturità sessuale è raggiunta precocemente, in qualche caso già al secondo anno (GUARINO & MAZZOTTI 2001). Durante l’estate si assiste generalmente a un calo dell’attività che riprenderà poi tra settembre e ottobre; in questo periodo, infatti, è frequente osservare gli adulti in prossimità dei siti di riproduzione, utilizzati per la
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latenza invernale da una frazione della popolazione. Status e problemi di conservazione - La rana di Lataste riveste particolare importanza conservazionistica in quanto caratterizzata da un areale ristretto e considerata specie di importanza comunitaria ai sensi della Direttiva Habitat 92/43/CEE. Rispetto a quanto riportato da CORBETT (1989) alla fine degli anni Ottanta,quando erano note so- Rana latastei, adulto (foto J. Hill). lo poche popolazioni diata (BERNINI et al. 2002). I rischi mag(Lago di Alserio, Parco della Valle del Tigiori provengono dalle alterazioni amcino, Oasi Le Bine, Bosco della Fontabientali, che riducono progressivamenna), lo status di R. latastei è ora meglio te gli ambienti boschivi planiziali e i siti conosciuto e sicuramente meno preocdi riproduzione idonei. Le popolazioni cupante; attualmente la specie è consioccidentali, caratterizzate da una minoderata dallo IUCN (International re variabilità genetica, sono potenzialUnion for Conservation of Nature and mente più a rischio di quelle della piaNatural Resources) non più come ennura padana orientale (ANGELONE 2002). dangered,ma come lower risk/near thIn Lombardia, a favore di questa specie, reatened. La consistenza della popolasono stati attuati alcuni progetti di allezione di un’ampia area protetta (Bosco vamento, traslocazione e habitat maCastagnolo) è stata valutata per oltre un nagement che hanno coinvolto i parchi quinquennio con censimenti annuali della bassa pianura lombarda (GENTILLI del numero di ovature; pur con alcune et al. 2003). fluttuazioni, è stata evidenziata una sostanziale stabilità della popolazione stuFRANCO BERNINI AUGUSTO GENTILLI STEFANO SCALI
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Rana temporaria Note tassonomiche - Rana temporaria è specie politipica. In Italia, come nella maggior parte dell’areale, è presente la sottospecie nominale. R. t. parvipalmata Seoane, 1885 è diffusa in Spagna nord-occidentale, R. t. honnorati HéronRoyer, 1881 in Francia sud-orientale, arrivando a ridosso del confine italiano, oltre il quale potrebbe essere presente (DELMASTRO 1999), e R. t. canigonensis Boubée, 1833 sui Pirenei. La validità degli ultimi due taxa è messa in dubbio da molti autori (GROSSENBACHER 1997b). Distribuzione - L’areale della specie è il più vasto tra quello delle rane europee e comprende la maggior parte dell’Europa centro-settentrionale, a nord fino alla penisola Scandinava. Il limite occidentale è rappresentato dalle popolazioni pi-
Rana temporaria Linnaeus, 1758
renaiche e della Spagna nord-occidentale, quello orientale coincide con la catena montuosa degli Urali, mentre a sud la specie si spinge fino ai Balcani centromeridionali, con esclusione della Grecia (GROSSENBACHER 1997b), e ai Monti della Laga sugli Appennini centrali (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996). In Lombardia la distribuzione della specie è soprattutto alpina e prealpina e interessa la porzione settentrionale della regione, con l’eccezione delle popolazioni del rilievo appenninico nell’estremo sud del territorio regionale. L’assenza in alcuni quadranti dell’ambito alpino potrebbe imputarsi a difetto di ricerca. L’intervallo altimetrico frequentato da R. temporaria, a sostegno dell’ampia valenza ecologica della specie, è piuttosto am-
Rana temporaria, maschio (foto G. Conca).
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Numero quadranti UTM
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pio e va da un minimo di 100 m delle località Orino (VA) e S. Giovanni Bianco (BG) a un massimo di 2.550 m in Valdidentro (SO), sito riproduttivo più alto d’Europa in base a quanto riportato da VENCES et al. (2003).Circa i due terzi delle segnalazioni interessa l’ambito montano sopra gli 800 m di quota, con un picco di presenza che si pone tra i 1.800 e i 1.900 m; è interessante notare un secondo picco di presenza tra i 300 e i 400 m di quota, relativo alle vallate più fresche della fascia prealpina. Ecologia ed etologia - In ambito locale R. temporaria predilige i rilievi spingendosi, sulla catena alpina, anche a quote elevate. Frequenta soprattutto gli
Rana temporaria, ovature (foto E. Moretti).
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ambiti forestali e le praterie d’alta quota, in modo particolare se interessate dalla presenza di corsi d’acqua, laghetti, pozze d’alpeggio e torbiere. Ha una spiccata capacità di colonizzare invasi di recente formazione o pozze temporanee (GROSSENBACHER 1988). Fattori limitanti la presenza della specie sono temperature eccessivamente elevate durante il periodo estivo,associate a bassi valori di umidità relativa; per questo motivo alle quote più basse la specie si rinviene in forre e in vallecole ombrose, come nel torrente Toscolano (BS) o nel Parco di Montevecchia (LC). La durata della latenza invernale e il periodo riproduttivo sono fortemente influenzati dalla quota; alle quote inferiori la specie è estremamente precoce ed entra in acqua già alla fine dell’inverno, con i siti riproduttivi ancora parzialmente ghiacciati; a quote maggiori la latenza invernale dura più a lungo e l’inizio della stagione riproduttiva è ritardato fino ad oltre la metà di maggio. A circa 2.000 m di quota la deposizione avviene nel corso del mese di maggio e la metamorfosi di gran parte degli individui verso metà settembre (PAVIGNANO 1991). Entrambi i sessi si riproducono la prima volta a circa tre an-
ni di età (HEUSSER 1970). I siti riproduttivi sono costituiti di norma da invasi con acque poco profonde e con scarsa vegetazione, spesso a carattere temporaneo (GROSSENBACHER 1988). Le uova sono deposte in ammassi globosi contenenti ognuno circa 700-4.500 uova (NÖLLERT & NÖLLERT 1992). I girini giungono alla metamorfosi in circa due mesi e mezzo anche se talvolta possono passare l’inverno in acqua, Rana temporaria, adulto (foto E.Vigo). completando lo sviluppo tutto a causa dell’alterazione degli aml’anno successivo (LANZA 1983; MORISI bienti di vita e dei siti riproduttivi (GROS1983). SENBACHER 1997b). In Lombardia questa Status e problemi di conservazione specie sembrerebbe in buone condizioIn molte zone dell’Europa, analogamenni di conservazione. te a quanto accade a molte specie di anfibi, R. temporaria è in declino, sopratMICHELE MENEGON ROLANDO BENNATI STEFANO MILESI
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Rettili
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Testuggine palustre europea Note tassonomiche - Nell’Italia continentale sono presenti le sottospecie Emys orbicularis galloitalica Fritz, 1995 diffusa a partire dalla Liguria, lungo le coste tirreniche fino al Golfo di Policastro e E. o. cfr. hellenica (Valenciennes, 1832) dell’Italia meridionale, mentre è ancora incerto lo stato delle popolazioni della pianura padana (FRITZ & OBST 1995; LENK et al. 1999). Le sottospecie E. o. capolongoi Fritz, 1995 ed E. o. lanzai Fritz, 1995 descritte rispettivamente per la Sardegna e la Corsica sono state poste in sinonimia con galloitalica in seguito a indagini di biologia molecolare (LENK et al. 1999; ODETTI et al. 1999). Distribuzione - La testuggine palustre europea è diffusa dal nord Africa (Ma-
Emys orbicularis (Linnaeus, 1758)
rocco, Algeria e Tunisia) all’Europa meridionale e centrale sino a Danimarca, Polonia e Lituania;dal Portogallo alla penisola balcanica, alla Turchia, al Lago d’Aral, al Mar Caspio e all’Iran (PODLOUCKY 1997). Da indagini bibliografiche (FERRI 1995b) la specie era storicamente comune in tutta la pianura padano-veneta, ma frequente solo nelle zone umide orientali (Friuli-Venezia Giulia, Veneto ed Emilia-Romagna), mediamente a basse quote (max 500 m). Già agli inizi del ’900 la specie era rarefatta in tutto il Nord Ovest (VANDONI 1914b; DORIA & SALVIDIO 1994; ZUFFI 1996) sebbene si potesse rinvenire, forse per introduzione, anche a Sondrio (DE CARLINI 1888), nel Lago di Lugano presso Porlezza e nel Lago Maggiore davanti a Fon-
Emys orbicularis, adulto (foto E.Vigo).
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Numero quadranti UTM
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do Toce (POZZI 1972). Nell’Italia nordoccidentale è da considerarsi ormai una presenza eccezionale (ANDREONE 1988; DORIA & SALVIDIO 1994; CHELAZZI et al. 2000; JESU et al. 2000a, 2000b). In Piemonte, Lombardia e Liguria la situazione è critica e le popolazioni vitali residue (con successo riproduttivo accertato) sono isolate e composte da un numero esiguo di individui. In Lombardia E. orbicularis ha ancora una certa consistenza lungo il basso corso del fiume Ticino (in seguito anche a ripopolamento; GARIBOLDI & ZUFFI 1994) e dell’Adda (più saltuaria lungo Sesia, Lambro, Oglio e Mincio) mentre è quasi assente (a parte la golena del Po cremo-
Emys orbicularis, uova e neonato (foto V. Ferri).
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nese) nel tratto piemontese e lombardo del Po (FERRI 1995b). In provincia di Cremona sono state scoperte recentemente nuove popolazioni,a volte anche di decine di individui. Ecologia ed etologia - In Lombardia è presente lungo l’asta dei principali affluenti del Po, nelle lame, lungo le aste di fontanili, nei bodri e in alcuni bacini artificiali. Nella pianura padana (province di Cremona e Modena) le femmine depongono circa 4 uova (media=3,75, range 2-6,N=8 nidi).Non si hanno informazioni di doppie deposizioni. Le femmine nidificano in ambienti cespugliati o aperti con terreno sciolto, a volte in leggera pendenza e depongono da 3 a 9 uova in nidi di circa 6-8 cm di diametro e a 5-10 cm di profondità (ROVINA 1999: N=209; GIANATTI et al. 2000: N=115). I nidi predati sono stati trovati con numero medio pari a circa 2 nidi ogni 100 m di canale, con un massimo di 7 nidi/100 m (GIANATTI et al. 2000). In zone boscate, gran parte delle femmine migra fino a 1.000 m di distanza dalla pozza principale per nidificare (ROVERO & CHELAZZI 1996). Status e problemi di conservazione Le maggiori popolazioni italiane sono presenti in aree protette, parchi e riser-
Emys orbicularis, adulto in termoregolazione (foto F. Barbieri).
ve, sebbene ne esistano diverse di discreta entità in aree naturali non protette, come nel caso delle nuove popolazioni scoperte in Lombardia. Le principali cause di declino sembrerebbero es-
sere la frammentazione degli habitat idonei, l’interramento delle aree umide e la captazione delle acque per scopi colturali (FERRI 2000a).
VINCENZO FERRI MARCO A.L. ZUFFI
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Testuggine palustre dalle orecchie rosse Note tassonomiche - Trachemys scripta è un Emidide a vasta diffusione americana: dagli Stati Uniti all’America centrale e meridionale (fino al Brasile settentrionale). L’areale originario della sottospecie elegans (Wied, 1839) è compreso nei territori degli stati nordamericani di New Mexico, Louisiana, Texas, Mississippi, Alabama, Oklahoma, Arkansas, Kansas, Tennessee, alcune aree del Missouri, Indiana e Illinois. Discrete popolazioni si trovano in Ohio e nelle regioni del Messico confinanti con il Texas (CARR 1952). Dagli anni Settanta la sottospecie T. s. elegans è oggetto di un intenso commercio internazionale, che ha interessato decine di milioni di individui destinati ai mercati occidentali della terraristica e a quelli orien-
Trachemys scripta, adulto (foto G. Fea).
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Trachemys scripta (Schoepff, 1792)
tali della gastronomia. Un importante numero di individui è stato introdotto in natura nei paesi in cui è stata importata e in alcuni casi ne sono stati accertati l’acclimatazione e il successo riproduttivo (DE ROA & ROIG 1997; FERRI & SOCCINI 2003). Distribuzione - La prima segnalazione di T.s.elegans in Lombardia risale al 1975 e le ricerche hanno accertato la sua presenza in alcune zone umide planiziali e pedemontane.Nelle raccolte d’acqua urbane e periurbane milanesi e bresciane sono stati stimati circa 1.800 individui abbandonati; circa 3.000 sono stati inoltre stimati complessivamente nelle altre zone umide lombarde (FERRI et al. 1999; FERRI 2002b). Dal 1992 al 1996 il fenomeno dell’abbandono di questi animali è
Numero quadranti UTM
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aumentato progressivamente sino ad assestarsi; dal 1998 il numero di individui liberi è apparso in diminuzione, sia per l’elevata incidenza di morbilità e mortalità sia per prelievi a scopo alimentare (FERRI & SOCCINI 2001; PIOVANO et al. 2001; FERRI 2002b; SOCCINI 2002c). Ecologia ed etologia - Nei paesi d’origine T. s. elegans frequenta i grandi corsi d’acqua; habitat ideali sono quelli che offrono una ricca vegetazione sommersa: lanche, zone d’acqua lentica, paludi (CARR 1952). Negli ambienti di introduzione la specie si mostra attiva da marzo a fine ottobre (FERRI 2002b). Le femmine raggiungono i 280 mm di lun-
Trachemys scripta, commercio di neonati (foto C. Soccini).
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18,93%
1 54
0,36% 19,29%
ghezza del carapace mentre nei maschi sono raggiunti i 210 mm (SOCCINI 2002c). Il comportamento riproduttivo vede i maschi stimolare con le lunghe unghie anteriori il muso delle femmine, mordendo loro il collo sino all’accoppiamento, che avviene sul fondo degli specchi d’acqua (FERRI & SOCCINI 2003). Alcune deposizioni sono state segnalate anche in località lombarde, ma il successo riproduttivo è inficiato da attività di predazione o da infestazioni parassitarie (FERRI & SOCCINI 2003).La mortalità negli individui adulti o subadulti appare elevata, sia in cattività sia in libertà, ed è determinata dalle cattive condizioni di allevamento pregresse all’abbandono (AGOSTA & PAROLINI 2000) e dallo stress derivante dalle difficoltà ambientali e dalle condizioni climatiche (SOCCINI 2002c; NIEDDU et al. in corso di stampa). Status e problemi di conservazione Secondo la Direzione generale dei Servizi veterinari, tra il 1984 e il 1994 sono transitati in Italia circa 2.300.000 neonati di tartaruga, cifre concordi con quelle comunicate dall’U.S. Fish & Wildlife Service per gli individui in uscita dagli Stati Uniti. Le esportazioni verso l’Italia sono aumentate da circa 150.000
121
Trachemys scripta, adulti (foto G. Fea).
unità nel 1987 a quasi 1.000.000 nel 1996. Dati i problemi di sopravvivenza delle popolazioni originarie, generati dal continuo prelievo di individui riproduttori destinati alla produzione di piccoli da esportazione, e considerato l’abbandono incontrollato degli animali nelle acque libere dei paesi di importazione, la sottospecie è stata inserita negli elenchi CITES e nei paesi dell’Unione Europea, dal dicembre 1997, è in vigore il blocco delle importazioni (Regolamento 97/2551/CE). In mancanza di CHRISTIANA SOCCINI VINCENZO FERRI
122
un blocco generale del commercio di cheloni, altre specie stanno già prendendo il posto di T. s. elegans. Per limitarne la diffusione in ambienti naturali, sono stati attivati programmi di raccolta e stabulazione controllata (FERRI et al. 1999; FERRI 2002b). Per indagare problemi sanitari e d’interazione con Emys orbicularis dal 1998 è attivo il progetto “Monitoraggio Salute Testuggini” (FERRI et al. 1999;FERRI & SOCCINI 2001;SOCCINI 2002c).
Geco verrucoso La sistematica di Hemidactylus turcicus e dei taxa ad esso affini è controversa: alcuni taxa sono stati citati a volte come specie separate, a volte come semplici sinonimi (robustus Heyden, 1827 e karachiensis Murray, 1884 probabilmente sono sinonimi di parkeri Loveridge, 1936; ARNOLD 1986; LANZA 1988a). Inoltre, sono state descritte due sottospecie di H. turcicus: H. t. spinalis Buchholz, 1954 e H. t. lavaedeserticus Moravec & Böhme, 1997; molti autori, però,le considerano di dubbia validità e preferiscono considerare la specie monotipica (SALVADOR 1997; SINDACO 1998; CORTI & LO CASCIO 2002). Considerate le difficoltà tassonomiche,risulta evidente come sia anche problematico trattarne la distribuzione. Il geco verrucoso oc-
Hemidactylus turcicus (Linnaeus, 1758)
cupa le regioni costiere del Mediterraneo, spingendosi, a oriente, fino ai deserti di Siria e Giordania e all’Egitto (a est del Nilo); è presente sulle coste del Mar Rosso, in Iraq, Iran occidentale e meridionale, Pakistan e Turkmenistan (con ogni probabilità introdotto), ma parte di queste segnalazioni si riferiscono ai taxa di incerto valore sistematico citati sopra (ARNOLD 1986). Infine, popolazioni introdotte ascrivibili a H. turcicus vivono in Messico, Florida, Indie occidentali e Cile. In Italia il geco verrucoso è presente nelle regioni costiere dell’intera penisola, isole comprese, ma è più comune sulle coste tirreniche, in Sicilia e nella penisola salentina (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996). H. turcicus predilige ambienti costieri e si tro-
Hemidactylus turcicus, adulto e uova (foto V. Ferri).
123
va spesso in sintopia con il geco comune, essendo anch’esso specie antropofila (SCHLEICH et al. 1996; CORTI & LO CASCIO 2002); uno studio condotto nel Lazio evidenzia come H. turcicus si rinvenga più di frequente su edifici relativamente recenti, mentre Tarentola mauritanica preferisca i siti archeologici e i vecchi muri (LUISELLI & CAPIZZI 1999). Osservazioni effettuate in Sicilia mostrano che H. turcicus, rispetto a T. mauritanica, si incontra più frequente-
Hemidactylus turcicus, adulto (foto G. Conca).
Geco comune Note tassonomiche e distribuzione Tarentola mauritanica è specie politipica. Oltre alla sottospecie nominale, distribuita lungo le coste mediterranee europee sino alla Grecia occidentale, a Creta e in gran parte del Maghreb, ne sono state descritte altre tre: T. m. fascicularis (Daudin, 1802) presente sulle coste di Egitto, Libia e Tunisia meridionale, T. m. juliae Joger, 1984 del Marocco sud-occidentale e T. m. pallida Geniez et al.,1999 diffusa dal Marocco meridionale al Sahara occidentale. Popolazioni di geco comune sono inoltre presenti in molte zone del Nord e Sud America; si tratta di individui introdotti acci-
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mente sul lato oscuro dei muri e ad altezze inferiori dal suolo.Questo geco ha abitudini più marcatamente notturne rispetto al geco comune, ma, soprattutto nelle aree a clima più fresco, lo si può trovare in attività anche durante il giorno, benché con frequenze decisamente inferiori rispetto a T.mauritanica.La latenza invernale va da ottobre a febbraio e gli accoppiamenti hanno luogo da marzo a luglio. Le femmine depongono 1-2 uova, anche più volte nel corso di un anno (SALVADOR 1997; CORTI & LO CASCIO 2002). Per questa specie ci sono solamente due segnalazioni in Lombardia: una a Brescia, dove è presente una popolazione, nota dal 1972, in pieno centro cittadino (BENNATI 1988b; BENNATI et al. 1996) e una del 1993, a Milano.Verosimilmente, anche in questo caso, come per il geco comune, si tratta di fenomeni occasionali di introduzione legati al trasporto di merci. ANNA BONARDI ROBERTO SINDACO
Tarentola mauritanica (Linnaeus, 1758)
dentalmente dall’uomo e ora completamente naturalizzati (MARTÍNEZ-RICA 1997b; CORTI & LO CASCIO 2002). La tassonomia di questi nuclei, data la loro origine sconosciuta, non può essere certa, così com’è dubbia l’attribuzione sottospecifica delle popolazioni presenti in molte isole mediterranee interessate, nel corso degli ultimi duemila anni, da fenomeni di trasporto passivo legati alle attività commerciali. In Italia T. mauritanica è presente nelle regioni costiere tirreniche - comprese molte piccole isole - dalla Liguria alla Calabria, in alcune zone costiere della Sardegna, in tutta la Sicilia, in Puglia - soprattutto
nella penisola salentina - e, benché meno comune, sulle altre coste adriatiche fino all’Istria (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996); nell’area adriatica settentrionale (probabilmente a nord del Conero) la specie è presente in nuclei isolati, probabilmente di origine alloctona. In Lombardia sono attualmente presenti popolazioni di geco comune a Brescia città e a Toscolano Maderno (BS), introdotte accidentalmente con il commercio di legname o di piante ornamentali; tali popolazioni si trovano all’interno dei centri cittadini e sono riuscite a naturalizzarsi grazie alla spiccata antropofilia di questa specie e al clima mite che caratterizza queste aree (BENNATI & SPORTELLI 1970; BENNATI 1988b; BENNATI et al. 1996). Nel Bresciano esistono segnalazioni storiche di altre popolazioni, che non sono state più riconfermate: Provaglio d’Iseo (1955), Desenzano
(1972) e Salò (1973) (SPORTELLI 1972; BENNATI et al. 1996).Inoltre,a partire dal 1970, nella regione sono periodicamente segnalati individui isolati, sempre in centri urbani: Como, Milano, Gazzaniga (BG),Torre d’Isola (PV), Lecco. Ecologia ed etologia - Il geco comune, grazie alle lamelle presenti sulla superficie inferiore delle dita, è un ottimo arrampicatore e lo si può trovare nelle spaccature delle rocce, su tronchi e rami oppure nascosto sotto le pietre. Nell’areale europeo gli ambienti in cui è rinvenuto più di frequente sono tipicamente quelli antropizzati quali muretti a secco, ruderi e cataste di legna, ma anche edifici in muratura in pieno centro cittadino (MARTÍNEZ-RICA 1997a; CORTI & LO CASCIO 2002). La sera è facile scorgere soggetti in agguato sui muri delle case o sopra i lampioni, intenti a cacciare gli insetti attirati dalla luce. T. maurita-
Tarentola mauritanica, adulto (foto G. Conca).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
7
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5 12
1,79% 4,29%
nica è considerata specie di abitudini notturne, benché non siano infrequenti segnalazioni di individui in termoregolazione in pieno giorno, soprattutto al di fuori dei mesi estivi; in queste occasioni gli animali appaiono molto scuri, tendenti al nero. Il periodo di attività va da febbraio-marzo a ottobre-novembre benché, soprattutto nelle aree a clima più mite, si osservino animali in attività in giornate invernali soleggiate (CORTI & LO CASCIO 2002); per la stessa Lombardia ci sono due segnalazioni per i mesi di dicembre e gennaio. La riproduzione ha luogo tra marzo e giugno; due o tre volte l’anno la femmina depone 1-2 uova in luoghi riparati quali fessure nei muri, spaccature nei tronchi d’albero o sotto le pietre. La schiusa si verifica dopo 2-3 mesi e i neonati misurano 4-5 cm (CORTI & LO CASCIO 2002). Sono stati osservati comportamenti di difesa attiva del territorio da parte dei maschi e del luogo di deposizione da parte delle femmine (SCHLEICH et al. 1996).
Tarentola mauritanica, adulto (foto E. Razzetti).
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ANNA BONARDI ROBERTO SINDACO
Orbettino Note tassonomiche - Anguis fragilis è specie politipica. La forma nominale A. f. fragilis Linnaeus, 1758 ha distribuzione europea occidentale ed è presente dalla Spagna fino all’Italia e a parte della penisola balcanica (Slovenia e buona parte di Croazia, Bosnia-Erzegovina e Serbia occidentale). Nell’Europa orientale è presente invece A. f. colchica (Nordmann, 1840) (CABELA 1997; UETZ et al. 2002). Un’ampia fascia in cui sono presenti individui con caratteristiche intermedie tra le due sottospecie è situata in Slavonia, Vojvodina, Montenegro e Serbia orientale (DZUKIC 1987). Distribuzione - La distribuzione di A. fragilis interessa buona parte del territorio europeo, l’Anatolia settentrionale e il Caucaso raggiungendo a nord il 64°
Anguis fragilis Linnaeus, 1758
parallelo e a est la Siberia e gli Urali. In Europa è assente da Spagna meridionale,Irlanda e Islanda (CABELA 1997).Le segnalazioni per l’Africa nord occidentale (Algeria), spesso riportate in letteratura (MERTENS & WERMUTH 1960; ARNOLD & BURTON 1986; CABELA 1997), sono da ritenersi errate (SCHLEICH et al. 1996). A. fragilis appare ampiamente diffuso nell’Italia settentrionale e centrale fino alla Toscana, per poi diradare o scomparire verso il sud della penisola (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996); la specie risulta rara e localizzata in Calabria (TRIPEPI et al. 2000), è assente da Puglia meridionale (VLORA 1996), Sicilia, Sardegna e da molte isole minori.In Lombardia l’orbettino è presente con continuità sui rilievi appenninici dell’Oltrepò e nelle
Anguis fragilis, maschio (colore uniforme) e femmina (foto V. Ferri).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
zone prealpine, ad eccezione di alcuni tratti collinari comaschi e della Val Trompia. Nelle zone montane alpine le segnalazioni di A. fragilis sono numerose, ma tendono a rarefarsi sopra i 1.400 m (5,8% dei dati); la quota massima raggiunta in Lombardia è di 2.280 m nel comune di Saviore dell’Adamello (BS; BENNATI 1988a). In pianura si evidenzia una distribuzione discontinua e l’assenza o la rarità della specie nelle aree planiziali industrializzate o sottoposte ad agricoltura intensiva, come la cinta metropolitana milanese, la bassa pianura bresciana e quella mantovana. La pianura padana rappresenta probabilmente una
Anguis fragilis, maschio, particolare del capo (foto E. Razzetti).
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45,00%
13 139
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zona con caratteristiche subottimali per A. fragilis; esistono infatti aree planiziali apparentemente idonee e ben indagate, come i boschi di Arsago Seprio (VA), dove la specie non è mai stata rinvenuta e altre quali il Parco delle Groane (SCALI 1995), il Bosco del Castagnolo presso Vigevano (PV) o più in generale il Parco del Ticino (ZUFFI 1988; BOGLIANI et al. 2003) dove ricerche decennali hanno permesso di osservare la specie solo in rare occasioni. Sono note, invece, aree limitate che ospitano popolazioni numerose,come alcuni piccoli orti di Pozzuolo Martesana (MI) dove sono stati rinvenuti oltre 30 individui. Ecologia ed etologia - In Lombardia l’orbettino frequenta diversi ambienti, quali pascoli, incolti, zone marginali di pinete e boschi misti, anche in prossimità di specchi d’acqua (SOCCINI & FERRI 2000). A. fragilis si rinviene anche in zone antropizzate che offrano rifugi adeguati, come giardini urbani, orti, massicciate stradali e aree cimiteriali. La specie predilige ambienti umidi e con terreno morbido; in genere, evita le zone allagate e quelle eccessivamente xeriche. Nella nostra regione il periodo di attività si colloca fra marzo ed ottobre,
sebbene il 66% (N=65) delle segnalazioni sia da riferirsi ai mesi di maggio e giugno. Le femmine sono ovovivipare e presentano in genere un ciclo riproduttivo biennale.Gli accoppiamenti hanno luogo tra aprile e maggio, le nascite nei mesi di agosto e settembre; il numero dei piccoli varia generalmente tra 6 e 13 in relazione alle dimensioni della madre (PATTERSON 1983;CAPULA et al. 1992). La specie conduce vita Anguis fragilis, femmina (foto E. Razzetti). prevalentemente fossonura è incerto e negli ultimi decenni ria ed è di regola attiva all’aperto duransembra aver molto risentito di alcuni te le prime ore del mattino e alla sera; fattori,quali la progressiva scomparsa di trova rifugio in anfratti fra le pietre o ambienti ecotonali, la meccanizzazione tronchi caduti,covoni di fieno e legnaie, delle pratiche agricole e la continua ma anche in tane di micromammiferi e parcellizzazione del territorio legata alformicai, dove sverna (BARBIERI et al. l’estendersi del reticolo stradale. Pur es1994; BEEBEE & GRIFFITHS 2000). sendo inclusa nell’Allegato III della Status e problemi di conservazione Convenzione di Berna non rientra tra le L’ampia valenza ecologica e il vasto specie tutelate dalla Direttiva Habitat. areale portano a considerare l’orbettino specie non minacciata.Tuttavia, in Lombardia lo status delle popolazioni di piaEDOARDO RAZZETTI CHRISTIANA SOCCINI
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Ramarro occidentale Note tassonomiche - Lacerta bilineata è stata recentemente riconosciuta come specie a sé stante rispetto alla specie orientale L. viridis (Laurenti, 1768), dalla quale è stata differenziata sulla base di indagini elettroforetiche (AMANN et al. 1997) e di studi sulla sterilità degli ibridi (RYKENA 1991);dal punto di vista morfologico le due specie risultano pressoché identiche (CORTI & LO CASCIO 1999, 2002). In passato, alcuni autori hanno descritto numerose sottospecie,razze o varietà,basandosi principalmente sulle variazioni cromatiche (DE BETTA 1857;TADDEI 1950).MERTENS & WERMUTH (1960) avevano già comunque invalidato gran parte di queste varietà, mantenendo per l’Italia solo la ssp. chloronota Rafinesque-Schmaltz,
Lacerta bilineata, maschio (foto E.Vigo).
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Lacerta bilineata Daudin, 1802
1810 della Sicilia e della Calabria e la ssp. fejervaryi Vasváry, 1926 dell’Italia meridionale e dell’isola d’Elba. Le recenti revisioni sistematiche evidenziano la necessità di ulteriori studi finalizzati alla conoscenza della tassonomia di questa specie, soprattutto per le popolazioni peninsulari (ELBING et al. 1997; CORTI & LO CASCIO 1999). Distribuzione - La specie è presente nella penisola iberica nord-orientale, in Francia (e in alcune isole costiere), nell’Isola di Jersey (GB), in Svizzera, nella Germania occidentale, in Italia, nella Slovenia occidentale e in Istria, compresa l’isola di Cherso (CORTI & LO CASCIO 2002). È presente in gran parte dell’Italia continentale e insulare, con l’eccezione delle estreme porzioni nord-
Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
orientali, dove vi è un’ampia fascia di ibridazione con L. viridis (AMANN et al. 2001). In Lombardia il ramarro occidentale si trova in gran parte delle zone planiziali e pedemontane; le unità di rilevamento delle aree che risultano attualmente scoperte non sono state probabilmente indagate a sufficienza. Le segnalazioni nelle aree montane di alta quota sono piuttosto scarse, ma alcuni individui sono stati osservati fino a 1.400 m presso la torbiera di Pian Gembro (SO). Ecologia ed etologia - L. bilineata è specie termofila, legata ad ambienti ecotonali assolati e normalmente ricchi di vegetazione arbustiva;frequentemen-
Lacerta bilineata, maschio (foto E.Vigo).
197
70,36%
4 201
1,43% 71,79%
te la si rinviene presso i corsi d’acqua (SCALI & ZUFFI 1994; CORTI & LO CASCIO 2002).Talvolta è possibile osservarla anche in ambienti fortemente antropizzati, sia urbani che agricoli. L’attività ha inizio a partire dalla fine di febbraio nelle aree più meridionali della Lombardia e si prolunga almeno fino alla fine di ottobre (SCHIAVO 1998). I primi ad iniziare il ciclo annuale sono normalmente i maschi adulti che, in questo periodo, sono fortemente territoriali; in un secondo momento, la difesa del territorio viene attuata sia dai maschi che dalle femmine.In primavera e autunno il picco massimo di attività giornaliera si osserva durante le ore centrali, mentre nei mesi più caldi l’attività è limitata alla prima metà della giornata. La deposizione delle uova, da 5 a 23, avviene entro giugno e la schiusa ha luogo tra agosto e ottobre; in alcune zone dell’areale sono state segnalate anche doppie deposizioni (CORTI & LO CASCIO 2002).I maschi adulti sono più grandi delle femmine e hanno il capo più massiccio; inoltre, durante il periodo riproduttivo la gola assume una colorazione blu cobalto, presente in entrambi i sessi, ma più vivace nei maschi; a partire dal mese di luglio, tale
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Lacerta bilineata, adulto (foto E.Vigo).
caratteristica resta visibile solo in alcune femmine. Status e problemi di conservazione - Il ramarro occidentale è incluso nell’Allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE come specie di importanza comunitaria. Nonostante l’ampia diffusione a livello regionale e nazionale, localmente sono stati osservati parecchi
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casi di riduzione numerica e la scomparsa di alcune popolazioni. Questi fenomeni di declino sono probabilmente in relazione alla banalizzazione del paesaggio agricolo e alla scomparsa di molti ambienti ecotonali. STEFANO SCALI RITA MABEL SCHIAVO
Lucertola muraiola Note tassonomiche - Numerose varietà e sottospecie di Podarcis muralis sono state descritte da diversi autori sulla base di caratteri morfologici e di ornamentazione (18 per il solo territorio italiano); in Lombardia dovrebbero essere presenti P. m. muralis, su Alpi e Prealpi al di sopra di 600 m, P. m. maculiventris (Werner, 1891) alle quote inferiori e P. m. brueggemanni (Bedriaga, 1879) sull’Appennino pavese (LANZA 1968; FERRI 1990a). In realtà, il complesso quadro tassonomico di questa specie appare spesso artificioso,visto che la distribuzione delle forme descritte si sovrappone ampiamente. GRUSCHWITZ & BÖHME (1986) riterrebbero valide unicamente la P. m. breviceps (Boulenger, 1905) per l’Italia meridionale e la colo-
Podarcis muralis (Laurenti, 1768)
sii (Taddei, 1949) dell’isola d’Elba, ma solo future indagini sistematiche potranno condurre a una conoscenza più precisa sulla variabilità della specie. Distribuzione - La specie è presente nella Spagna centro-settentrionale, in Francia (gran parte dell’Artois, Normandia e Guascogna escluse) e in molte isole atlantiche e mediterranee, Corsica esclusa, sulle isole di Jersey e di Wight nel Canale della Manica, nei Paesi Bassi, nella Germania centro-meridionale, in Svizzera, in Austria meridionale, nella Slovacchia centro-meridionale, in Ungheria,in Romania,in Bulgaria,nella Turchia nord-occidentale, in Grecia, in Albania, in Slovenia, in Croazia, in Serbia, in Bosnia ed in Montenegro, anche se è rara o assente in molte aree della costa
Podarcis muralis, maschio (foto E. Razzetti).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
dalmata (GUILLAUME 1997; CORTI & LO CASCIO 1999). In Italia la lucertola muraiola è ampiamente diffusa nelle regioni settentrionali e centrali, mentre la presenza in quelle meridionali è limitata alle aree montane; in Puglia vi sono solo popolazioni estremamente localizzate in Daunia e nel Gargano, sopra i 300 m di quota (GARAVELLI 1996); manca in Sicilia e Sardegna, mentre è presente in alcune isole dell’Arcipelago toscano e nelle isole costiere liguri (BÖHME et al. 1994). In Lombardia, P. muralis risulta praticamente ubiquitaria con oltre 1.200 segnalazioni; i pochi quadranti privi di presenza accertata, al di sotto
Podarcis muralis, particolare del capo (foto E. Razzetti).
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3 234
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dei 1.600 m di quota, sono sicuramente dovuti a difetto di ricerca.Vista l’ampia diffusione della specie in Lombardia, la distribuzione altitudinale riflette principalmente la morfologia della regione.Le presenze si concentrano nelle aree planiziali e collinari fino a 600 m di quota (79% dei dati); in zone montane le segnalazioni si diradano leggermente sebbene vi sia un 1% di presenze oltre i 1.500 metri. Il massimo altitudinale si colloca a 1.970 m nel Bergamasco, presso il lago Fregabolgia; nell’Oltrepò pavese, invece, è segnalata fino a 1.695 m di quota, nei pressi della vetta del monte Chiappo. Ecologia ed etologia - Alle nostre latitudini la lucertola muraiola è sicuramente da considerarsi specie eliofila, poiché predilige zone a esposizione meridionale, anche se, vista l’ampia distribuzione, occupa una notevole varietà di ambienti.Gli edifici rurali e i manufatti costituiscono sicuramente l’habitat preferenziale per questo lacertide ben adattato alla presenza antropica; è comunque frequentissimo in svariati ambienti naturali. È probabilmente il rettile lombardo con il periodo di attività più lungo: il solo mese di dicembre
sembra infatti destinato alla latenza invernale, anche se vi sono osservazioni per gli inizi di questo mese; questa caratteristica è legata alla scelta di ripari superficiali che si scaldano rapidamente (SAINT GIRONS & SAINT GIRONS 1956). Il periodo degli accoppiamenti è generalmente compreso tra marzo e giugno, mese durante il quale, almeno in ambiente di pianura,si possono già osservare i primi giovani dell’anno, Podarcis muralis, maschio (foto E. Razzetti). che spesso mostrano cobardia la specie è distribuita su tutto il lorazioni bluastre nel tratto terminale territorio, talvolta anche con popolaziodella coda. In genere le femmine possoni consistenti. È sicuramente il rettile no effettuare due deposizioni annuali, che maggiormente tollera la presenza anche tre in alcune regioni,ognuna di 5umana e alcune popolazioni sono rin6 uova. venibili anche in parchi o giardini cittaStatus e problemi di conservazione dini di modesta estensione, centri urbaP. muralis è inclusa nell’Allegato IV delni compresi, sebbene i punti di maggior la Direttiva Habitat, quale specie di imdensità si trovino nelle aree rurali tradiportanza comunitaria. È inoltre protetta zionali.Per questi motivi,attualmente,la dalle leggi regionali di Valle d’Aosta, Lilucertola muraiola può essere ritenuta guria, Abruzzo e Lazio e anche nella specie non minacciata. provincia autonoma di Bolzano.In LomRITA MABEL SCHIAVO DINO SCARAVELLI
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Lucertola campestre Note tassonomiche - La sistematica sottospecifica di questo taxon è tuttora oggetto di studio e di profonde revisioni; infatti, si tratta di una specie caratterizzata da un gran numero di sottospecie la cui validità è messa in dubbio da recenti analisi biochimiche (CORTI et al. 1997; CAPULA & CECCARELLI 2003). Nell’Handbuch… (1986) sono citate 51 sottospecie; di queste, 24 sono esclusive di piccole isole italiane (CORTI & LO CASCIO 2002). In Lombardia è presente Podarcis sicula campestris (De Betta, 1857). Distribuzione - La lucertola campestre è distribuita nell’Italia continentale, in Sicilia, Sardegna e Corsica nonché nelle regioni costiere di Slovenia e Croazia ed in alcune zone del Monte-
Podarcis sicula, maschio (foto G. Conca).
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Podarcis sicula (Rafinesque, 1810)
negro. Inoltre, è presente in molte isole e arcipelaghi, tra cui si ricordano: numerose isole della Dalmazia, Arcipelago toscano (manca alla Gorgona e a Palmaiola), Pontine, isole campane e del Tirreno meridionale,Tremiti, Egadi, Eolie, Ustica, Pantelleria e numerose isole circumsarde (CORTI & LO CASCIO 2002). Esistono popolazioni acclimatate di questa specie in Spagna, Francia, Turchia, Portogallo, nord Africa e negli Stati Uniti (CORTI & LO CASCIO 2002). In Lombardia, a differenza di gran parte d’Italia dove è ubiquitaria, la specie è localizzata principalmente nei lembi residui delle brughiere pedemontane, come nei pressi di Malpensa (VA) e lungo le golene di alcuni fiumi e torrenti (ad esempio Po, Ticino, Adda,
Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
Oglio e Staffora). La lucertola campestre è presente per la quasi totalità delle segnalazioni entro i 300 m di altitudine, con l’eccezione di un’unica popolazione nota in provincia di Bergamo a 675 m di quota. Ecologia ed etologia - In Lombardia, che rappresenta la fascia più settentrionale del suo areale, P. sicula si presenta come specie con una ristretta valenza ecologica. Utilizza spesso substrati sabbiosi, ben drenati e comunque con copertura vegetale bassa e xerofila. Anche nella nostra regione, come verificato da CAPULA et al. (1993) nel centro storico di Roma dove P. sicula è sintopica con P. muralis, si può
Podarcis sicula, femmina (foto E. Razzetti).
20
7,14%
8 28
2,86% 10,00%
notare una segregazione spaziale tra le due specie e il confinamento di P. sicula nei microhabitat più aridi e soleggiati. La durata del ciclo annuale di questa specie conferma la sua termofilia; in Lombardia può essere infatti osservata da marzo inoltrato a ottobre, quindi per un periodo inferiore rispetto agli altri lacertidi. Nel corso della stagione riproduttiva la femmina depone mediamente da due a cinque uova; nelle regioni insulari sono frequenti doppie deposizioni annuali (CORTI & LO CASCIO 2002). PISANI & B ULLA (2000) hanno condotto uno studio sul ciclo circadiano estivo di P. sicula in relazione alle strategie predatorie; il risultato confermerebbe un andamento bimodale dell’attività giornaliera, caratterizzato da una strategia predatoria attiva nel corso della mattinata e da una strategia sit and wait nelle ore pomeridiane. Status e problemi di conservazione Come gli altri lacertidi lombardi, P. sicula è inclusa nell’Allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE quale specie di importanza comunitaria. Inoltre, è inserita nelle leggi regionali sulla fauna minore di Liguria, Abruzzo e
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Podarcis sicula, adulto (foto E.Vigo).
Lazio. In Lombardia la specie mostra un areale notevolmente frammentato, con alcune popolazioni rimaste ormai completamente isolate e altre a rischio per AUGUSTO GENTILLI RITA MABEL SCHIAVO
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l’alterazione degli habitat; per questi motivi può essere considerata minacciata a livello regionale.
Lucertola vivipara Note tassonomiche - Zootoca vivipara è specie politipica; in Italia, oltre alla sottospecie nominale Z. v. vivipara, è presente anche Z. v. carniolica, descritta solo recentemente da MAYER et al. 2000, caratterizzata da una modalità di riproduzione ovipara, che la distingue dalla sottospecie nominale ovovivipara (GHIELMI et al. 2001a, 2001b). In Lombardia sono presenti popolazioni di entrambe le sottospecie. Distribuzione - L’areale di Z. vivipara si estende dal nord della penisola iberica, attraverso l’Europa centro-settentrionale e la Siberia, fino alle isole di Sakhalin e Hokkaido nell’Oceano Pacifico (BÖHME 1997a). In Italia è diffusa con continuità sulle Alpi centro-orientali, mentre è più sporadica e localizza-
Zootoca vivipara (Jacquin, 1787)
ta su quelle centro-occidentali. In Lombardia, la distribuzione della specie è prevalentemente alpina, con isolate popolazioni in pianura; la sua presenza appare più omogenea nei distretti montani della Val Camonica e dell’alta Val Seriana e più localizzata in Val Brembana. Nel versante settentrionale della Valtellina, in Val Chiavenna e sulla destra orografica del Lario, l’immagine distributiva mostra delle ampie lacune che, almeno in parte, potrebbero essere dovute a difetto di ricerca, tenendo conto anche della distribuzione nel limitrofo territorio elvetico (HOFER et al. 2001). Le popolazioni appartenenti alla sottospecie carniolica, note sino ad ora, sono ubicate in ambiti palustri relitti di pianura (Palude Brabbia, VA; Pa-
Zootoca vivipara carniolica, adulto (foto E. Razzetti).
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ludi di Ostiglia, MN) e nel settore prealpino bresciano (SURGET-GROBA et al. 2002). Storicamente era nota anche per località di risorgiva prossime a Milano, Bergamo e Treviglio (GIACOMELLI 1897) nonché per la Palude di Biandronno, presso il Lago di Varese (FEJERVARY 1923). Per quanto riguarda la distribuzione altitudinale, in Lombardia la specie è stata rinvenuta tra i 13 (Ostiglia, MN) e i 2.559 m (Val Masino, SO), con una prevalenza delle osservazioni nelle fasce altitudinali tra 1.6001.800 m (29%) e 1.800-2.000 m (34%). Ecologia ed etologia - Nella quasi totalità dell’areale la specie presenta una modalità di riproduzione ovovivipara, mentre le popolazioni dell’Europa sudoccidentale (Pirenei e Cordigliera Cantabrica) e centro-meridionale (Slovenia, pianura padano-veneta e alcuni settori alpini e prealpini italiani) presentano una modalità di riproduzione ovipara. A quest’ultimo gruppo italo-sloveno, recentemente attribuito alla sottospecie carniolica, appartengono anche le popolazioni ovipare lombarde (SURGETGROBA et al. 2002). Specie marcatamente microterma, Z. vivipara è segnalata in pianura esclusivamente all’interno di
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zone umide, dove frequenta aree a vegetazione erbacea (fragmiteti, cariceti) e fasce ecotonali al margine di boschi igrofili. La latenza invernale inizia tra la seconda metà di ottobre e l’inizio di novembre e termina ai primi di marzo, anche se sono possibili sporadiche apparizioni più precoci (20/2/2001, Palude Brabbia). Gli accoppiamenti avvengono tra la fine di marzo e la prima metà di giugno; tra la fine di maggio e la prima decade di luglio, le femmine della sottospecie carniolica effettuano fino a tre deposizioni di 4-9 uova bianche e pergamenacee, con guscio completamente calcificato (HEULIN et al. 2002). La sottospecie nominale, invece, partorisce una volta all’anno piccoli completamente formati e avvolti da una sottile membrana semitrasparente (HEULIN et al. 1991). Nelle Orobie e nel Parco dell’Adamello, la specie occupa ambienti di torbiera, rhodoro-vaccinieti e pascoli umidi. Più raramente si osserva in ambienti carsici (gruppo del Ferrante e Presolana, BG), poiché predilige versanti esposti a nord e a nord-est, in genere su substrati erbosi. Nelle zone montuose è attiva, in funzione della quota, da fine aprile ad ottobre (GIOVINE 1997).
Status e problemi di conservazione - Z. vivipara in Lombardia vive ai margini meridionali della propria area di distribuzione e l’attuale areale presenta una contrazione significativa rispetto a quello storico (GIOVINE 1989). Questa riduzione è molto evidente in pianura dove la specie è stata riconfermata solo in due località, Palude Brabbia e Paludi di Ostiglia, entrambe riserve naturali regionali Zootoca vivipara vivipara, adulto (foto M. Menegon). (SALMASO & OSELLA 1989; BARATELLI & GHIELMI 1994). Z. vivipara è inclusa nella Convenzione di Berna (Allegato I) ed è considerata specie a priorità 12 dal Gruppo Fauna della Regione Lombardia (La fauna … 2001). SAMUELE GHIELMI MICHELE MENEGON
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Luscengola comune Note tassonomiche - Le relazioni tassonomiche all’interno del complesso di specie affini a Chalcides chalcides sono state recentemente chiarite da CAPUTO (1993), su base biochimica e morfologica. Si tratta di cinque entità specifiche alloparapatriche, distribuite nelle regioni del bacino occidentale del Mar Mediterraneo; in Italia sono presenti C. chalcides e C. striatus (Cuvier, 1829), quest’ultima limitatamente alla Liguria occidentale. La specie che dà il nome al complesso è stata riconosciuta come politipica, con la sottospecie nominale endemica della penisola italiana, Elba e Sicilia, e con l’altra, C. c. vittatus (Leuckart, 1828), limitata alla Sardegna e ad alcune isole satelliti (dove forse è stata introdotta in tempi storici) e, al-
Chalcides chalcides (Linnaeus, 1758)
trove, nel Maghreb orientale. Distribuzione - La distribuzione generale della luscengola comune è limitata al nord Africa (Algeria nord-orientale, regioni mediterranee di Tunisia e Libia) e alla penisola italiana, incluse le isole maggiori e alcune isole minori (CAPUTO 1993; SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996). Per quanto riguarda l’Italia, le segnalazioni più occidentali sono ubicate nel Savonese (Liguria centro-occidentale), dove C. chalcides è parapatrica con la specie affine C. striatus, che qui raggiunge il limite orientale del suo areale. Più a nord, C. chalcides è presente nel Cuneese e nell’Alessandrino (CAPUTO 1994; CAPUTO & SILVANO 1999); esiste anche un dato, non confermato recentemente, per la collina di Torino (CAPUTO
Chalcides chalcides, adulto con coda rigenerata (foto E. Razzetti).
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& SILVANO 1999). L’areale raggiunge, a nord, il bacino idrografico del Po e proprio in Lombardia sono localizzate le osservazioni più settentrionali (BOGLIANI & BARBIERI 1988). Nel resto della penisola, le segnalazioni sono più consistenti sul versante tirrenico (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996). La carta di distribuzione evidenzia che C.chalcides è presente in Lombardia solamente nel settore collinare dell’Oltrepò pavese. Le osservazioni, che riguardano in tutto sette discreti UTM, sono state effettuate in prevalenza nella fascia di vallecole e speroni collinari situata sulla destra orografica del torrente Staffora (Valle Ardivestra e Val di Nizza) e, in minor misura,
Chalcides chalcides, adulto (foto G. Conca).
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in quella comprendente i bacini di piccoli torrenti tributari di destra del Po.La distribuzione altitudinale è compresa tra 220 e 600 m, con una maggior frequenza di segnalazioni tra 400 e 500 m di quota. Ecologia ed etologia - La luscengola rappresenta una delle specie, all’interno del genere Chalcides, che ha subito un più consistente allungamento e assottigliamento del corpo con una parallela riduzione degli arti, tendenza evolutiva verso l’acquisizione di un habitus serpentiforme frequente in molte linee filetiche di sauri (CAPUTO et al. 2000).Tale morfologia è un adattamento alla locomozione su substrati ricoperti da una vegetazione erbacea fitta e non troppo alta (CAPUTO et al. 1995b); in questi ambienti la luscengola riesce a muoversi con sorprendente agilità e velocità. Le piccole zampe sono utilizzate soltanto per la locomozione su substrati duri, quali rocce, su cui gli animali si muovono piuttosto goffamente (SCHLEICH et al. 1996). Anche in Lombardia gli ambienti preferiti sono tipicamente praterie, incolti, frutteti abbandonati e distese erbose, anche con arbusti, raramente alberate; frequentemente i siti di rinveni-
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mento sono di modesta superficie e collocati ai margini dei coltivi. C. chalcides è tipicamente diurna, più attiva in mattinata, meno in giornate ventose e con temperature troppo basse o troppo alte. La latenza invernale inizia i primi di ottobre e termina a fine marzo; la primavera è la stagione di maggiore attività e anche in Lombardia le osservazioni sono state effettuate prevalentemente in maggio e giu- Chalcides chalcides, particolare del capo (foto E. Razzetti). gno. Gli accoppiamenti Status e problemi di conservazione hanno luogo presto,intorno alla metà di - Non è facile valutare l’effettivo status aprile (CAPUTO & SILVANO 1999). Il comdelle popolazioni di C. chalcides, data portamento riproduttivo dei maschi la ridotta contattabilità di questa spepresenta un’elevata aggressività, che si cie, ma le osservazioni in alcune locamanifesta con violenti combattimenti, lità della regione sono state costanti e forse dovuti a territorialità; ne risultano regolari negli ultimi tre lustri. È ragiopopolazioni con un’alta frequenza di innevole supporre che il principale peridividui con coda rigenerata (CAPUTO colo per la sua conservazione sia l’ab1994; SCHLEICH et al. 1996). C. chalcides bandono delle pratiche agricole, quali è vivipara, con lo sviluppo di una plalo sfalcio, che determina, a medio tercenta di tipo complesso, con funzioni mine, la scomparsa del suo habitat d’etrofiche oltre che respiratorie, raro lezione, perché i pascoli sono presto riesempio tra i Rettili Squamati. Le femcolonizzati da arbusti, poi da alberi. Inmine, dopo circa quattro mesi di gestafine, è importante notare che questa zione, partoriscono un numero di picspecie non è tutelata da alcuna diretticoli compreso tra 3 e 19, direttamente va in materia ambientale. proporzionale alle loro dimensioni corporee (CAPUTO et al. 2000). ANNA BONARDI EUGENIO TISO FRANCO BERNINI
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Colubro liscio
Note tassonomiche - Le sottospecie oggi riconosciute sono soltanto due: oltre alla forma tipica, è stata descritta Coronella austriaca acutirostris Malkmus, 1995 per la Spagna nord-occidentale. In passato era inoltre stata descritta, per la Sicilia e l’Italia meridionale, C. a.fitzingeri (Bonaparte,1840),la cui validità è attualmente messa in dubbio da numerosi autori. Distribuzione - Il colubro liscio è uno dei serpenti europei a più ampia distribuzione. La sua presenza è nota per la maggior parte dell’Europa e per l’Asia nord-occidentale; in Svezia e Finlandia, raggiunge i 60° di latitudine e trova il proprio limite meridionale a livello della Turchia e dell’Iran; è assente nel centro-sud della penisola iberica e nel Por-
Coronella austriaca Laurenti, 1768
togallo meridionale; è presente invece nei Paesi Baschi, sulla catena dei Pirenei, in Grecia sino al Bosforo e nei territori intorno al Mar Nero (Atlas … 1997). In Italia è diffuso e localmente comune in tutta la penisola, con una distribuzione discontinua in Sicilia e nell’isola d’Elba (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996). In Lombardia è decisamente poco comune e mostra una distribuzione frammentata in pianura; è invece più frequente nella fascia montana prealpina ed alpina, dove raggiunge la massima quota di 2.200 m sull’Adamello bresciano (FERRI 1992). Ecologia ed etologia - Si ritrova più frequentemente in prati, cespuglieti aridi e boschetti termofili radi, sempre caratterizzati dalla presenza di rocce af-
Coronella austriaca, adulto con livrea molto marcata e giovani appena partoriti (foto V. Ferri).
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fioranti, macereti (anche discariche di pietrisco stabile delle vecchie cave), muri a secco e vecchi ruderi.Si rinviene eccezionalmente anche in aree golenali sabbiose e su vecchi argini (FERRI & SCHIAVO 1994) ed è a volte frequente in zone incolte periurbane (nel Parco Nord di Milano). Nelle zone montane a quote elevate, si rinviene spesso nei pascoli e in altri ambienti aperti che offrano tuttavia adeguati rifugi. Svolge vita attiva da metà marzo a fine ottobre, quando si ritira in nascondigli adatti per la latenza invernale. Gli accoppiamenti si svolgono fra aprile e maggio; dopo un periodo di gestazione di circa tre mesi, verso la fine di agosto, le femmine par-
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toriscono da 3 a 15 piccoli (CAPULA et al. 1995; MONNEY et al. 1995; LUISELLI et al. 1996). In Lombardia la maggior parte delle segnalazioni riguarda i mesi più caldi da maggio a settembre, anche se la specie è stata rinvenuta spesso nei mesi primaverili. Sono stati osservati nella regione individui con livree inconsuete: una femmina simile alla varietà taeniata Dürigen, 1897 e un maschio simile alla varietà concolor Werner, 1897 presso Milano nel 1983, e una femmina di colore rosa isabella sul Monte Martica (VA). Status e problemi di conservazione Il colubro liscio è inserito negli elenchi della fauna prioritaria della Direttiva Habitat 92/43/CEE (Allegato IV) ed è specie protetta nominativamente in diversi stati europei: Bulgaria, Germania, Ungheria, Liechtenstein, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia, Svezia, Svizzera e Gran Bretagna, dove da più di dieci anni sono in atto alcuni progetti di conservazione e reintroduzione. VINCENZO FERRI GIANLUCA DANINI
Coronella austriaca, adulto (foto M. Menegon).
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Colubro di Riccioli Note tassonomiche - Coronella girondica è correntemente considerato un taxon monospecifico. Distribuzione - La specie è distribuita in Portogallo, Spagna, Francia, ad eccezione delle regioni settentrionali, Italia, nord della Tunisia, Algeria e Marocco (SCHLEICH et al. 1996; DUSˇEJ 1997). Nel nostro paese è segnalata in anni recenti in modo sparso e più o meno localizzato, soprattutto sul versante tirrenico; sono escluse le regioni più orientali,come Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia,dove le poche osservazioni sono datate (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996; RAZZETTI et al. 2001b). Non si hanno dati per le seguenti regioni: Umbria,Molise,Campania e Basilicata.Sono poco attendibili anche le segnalazioni
Coronella girondica (Daudin, 1803)
del passato per la Calabria e la Sicilia, non confermate da ricerche recenti (DUSˇEJ 1989; TRIPEPI et al. 1993; TURRISI & VACCARO 1998). In Lombardia la specie è segnalata solo nelle unità di rilevamento dell’area appenninica in provincia di Pavia, a quote generalmente comprese tra 250 e 600 m (massimo a 630 m presso Varzi). Esistono inoltre segnalazioni degli anni Settanta per le colline moreniche a sud del lago di Garda (FERRI 1992). Ecologia ed etologia - Il colubro di Riccioli è particolarmente elusivo e normalmente rinvenibile di giorno solo nei suoi rifugi,spesso costituiti da rocce o vecchie tegole. Durante i mesi meno caldi si mostra in attività nelle ore tardopomeridiane e in quelle del primo mat-
Coronella girondica, adulto (foto E. Biggi).
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Numero quadranti UTM
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tino; nel periodo caldo predilige invece le ore crepuscolari e notturne. Nell’Oltrepò pavese la specie si rinviene prevalentemente in aree calanchive più o meno secche, con vegetazione sparsa e boscaglie, zone a coltivi con siepi e alberi radi, boschi cedui, non troppo umidi, specie se prossimi ad aree rocciose. Si ritrova spesso attorno a ruderi e abitazioni. La specie è in attività dall’inizio di aprile, mentre il periodo di latenza inizia generalmente in novembre. Sono state rinvenute femmine con uova a partire dal mese di giugno. La deposizione delle uova, mediamente fra 4 e 6, avviene in luglio; i piccoli, lunghi circa 15 cm, nascono circa 60 giorni dopo. La
Coronella girondica, particolare del capo (foto E.Vigo).
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lunghezza totale misurata su 15 esemplari lombardi è risultata compresa tra 37 e 52 cm (TESSARO & FERRI 2001). Status e problemi di conservazione C. girondica è elencata nell’Allegato III della Convenzione di Berna ed è protetta nominativamente in alcune regioni italiane. Frequente è il rinvenimento di esemplari morti sulle strade e l’investimento attualmente rappresenta la principale minaccia per la specie in Lombardia (TESSARO & FERRI 2001). VINCENZO FERRI RUGGERO MORIMANDO
Saettone comune Note tassonomiche - La specie è attualmente considerata monotipica visto che le sottospecie riconosciute in passato sono state poste in sinonimia o elevate a rango di specie. Studi recenti (LENK & JOGER 1994; LENK & WÜSTER 1999) distinguono le popolazioni presenti in Italia meridionale e Sicilia, fino a Campania e Puglia, riconosciute fino a pochi anni fa come appartenenti alla sottospecie romana (Suckow, 1798), considerandole specie separata: Elaphe lineata (Camerano, 1891). Distribuzione - E. longissima è diffusa nelle regioni pirenaiche nord-orientali della Spagna, in parte della Francia e della Svizzera, nelle regioni a sud delle Repubbliche Ceca e Slovacca, fino all’Ucraina meridionale e al Mar Caspio; la
Elaphe longissima (Laurenti, 1768)
specie è inoltre presente nell’intera area balcanica (Atlas … 1997). In Italia, l’areale include tutte le regioni settentrionali, quelle centrali e la Sardegna; per quest’ultima esistono solo due segnalazioni riferite a reperti museali e si ipotizza che la specie sia stata importata (PUDDU et al. 1988). In Lombardia, E. longissima è stata segnalata in 123 quadranti UTM (44% del territorio regionale) ed è presente in tutte le province, con maggiore frequenza lungo l’intera fascia pedemontana prealpina e appenninica dove risulta spesso il serpente più comune. In pianura appare invece raro e le popolazioni note sono localizzate nei boschi planiziali relitti (Boschi di Cusago,MI;Bosco Fontana,MN) ed in quelli ripariali situati in particolare lun-
Elaphe longissima, adulto (foto E. Razzetti).
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go le principali aste fluviali (Sesia,Ticino, Adda, Serio e Oglio). Il saettone comune è assente dalle aree golenali del fiume Po (SCHIAVO & FERRI 1996); per le colline di San Colombano al Lambro, mancano segnalazioni successive agli anni Sessanta. La specie è stata rinvenuta prevalentemente nelle fasce altimetriche 0-200 m (32%) e 200-400 m (33%). La quota massima di rilevamento è situata a 1.600 m (Foppolo, BG), ma esistono due dati storici museali riferiti a quote superiori. Ecologia ed etologia - E. longissima si osserva nei boschi planiziali e ripariali, in quelli montani di caducifoglie, nei castagneti e nelle boscaglie di roverella
Elaphe longissima, giovane (foto E. Razzetti).
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appenninici. La specie frequenta raramente i boschi di conifere e difficilmente si spinge oltre il limite della vegetazione arborea. In pianura predilige il margine di boschi e coltivi o le siepi in prossimità di fontanili e rogge; sosta nelle vicinanze di ruderi e muretti a secco, soprattutto se coperti da fitta vegetazione. Il saettone comune è un serpente prevalentemente terricolo,anche se può agevolmente arrampicarsi su cespugli, alberi ed edifici dove svolge una parte significativa della propria attività (NAULLEAU 1989; NAULLEAU & BONNET 1995). Fra maggio e ottobre si svolge il periodo di massima attività. La specie mostra abitudini prevalentemente diurne e crepuscolari (VANDONI 1914b), termoregolando anche con temperature elevate (>30°C; ZUFFI 1983a, 1984). La riproduzione avviene tra aprile e maggio; durante l’accoppiamento il maschio infligge piccoli morsi su corpo, collo e nuca della femmina (LOTZE 1975). Fra luglio ed agosto si ha la deposizione delle uova, in numero compreso fra 5 e 9, di colore avorio, di forma allungata ed irregolare, con una lunghezza compresa fra 35 e 47 mm (diametro 21-26 mm). I neonati sono lunghi 262-314 mm e pe-
sano mediamente 7 grammi. La lunghezza massima rilevata in un maschio adulto è di 184 cm (Gambolò, PV, 1984), in femmine adulte di 182 cm (Cusago, 1983) (ZUFFI 1988; SCALI 1996). Nel 1991, un maschio adulto albino è stato rinvenuto presso Colico (LC) (FERRI & BETTIGA 1992). Status e problemi di conservazione - E. longissima è inserito nell’Allegato II della Convenzione di Berna e nel- Elaphe longissima, adulto (foto E.Vigo). l’Allegato IV della DiretCAPIZZI 1997). Inoltre, durante gli spotiva Habitat. La specie si può ritenere stamenti alla ricerca delle femmine, un estinta in vasti territori di pianura comgran numero di maschi è investito e ucpresi fra le province di Milano, Lodi, ciso dagli autoveicoli; analogamente le Cremona, Brescia e Mantova. Al primo femmine sono vittime del traffico duposto tra le cause di rarefazione e scomrante la ricerca di punti adatti alla deparsa, si annovera la distruzione degli posizione (BONNET et al. 1999). habitat preferenziali, in primo luogo dei boschi planiziali e ripariali (LUISELLI & VINCENZO FERRI CHRISTIANA SOCCINI
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Biacco Note tassonomiche - Il biacco è stato a lungo considerato specie politipica e fino ad alcuni anni fa erano riconosciute tre sottospecie: Hierophis viridiflavus viridiflavus (Lacépède, 1789), H. v. carbonarius (Bonaparte, 1833) e H. v. kratzeri (Kramer, 1971). Questi taxa sono stati successivamente invalidati da studi di tipo morfologico di revisione del genere Coluber che hanno portato anche ad una sua partizione, assegnando al biacco il nome generico di Hierophis (SCHÄTTI & VANNI 1986; SCHÄTTI 1988); attualmente i due nomi sono considerati sinonimi. Studi morfologici e genetici in corso stanno, in realtà, evidenziando delle differenze tra le popolazioni occidentali ed orientali, nonché tra le popolazioni continentali ed insu-
Hierophis viridiflavus, subadulto (foto E. Razzetti).
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Hierophis viridiflavus (Lacépède, 1789)
lari e potrebbero portare a nuove revisioni sistematiche (NAGY et al. 2001; SCALI et al. 2003). Distribuzione - La specie è presente nell’Europa centro-meridionale, in particolare in Italia, Francia, Svizzera, Lussemburgo, Spagna nord-orientale, parte della Slovenia e della Croazia (NAULLEAU 1997). In Italia è presente su tutto il territorio nazionale, con l’esclusione delle zone di alta quota, e nelle principali isole mediterranee (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996). Vista la diffusione del biacco nelle regioni più indagate, come il Piemonte, la Lombardia, il Friuli-Venezia Giulia, il Lazio, la Puglia e la Sicilia, è probabile che le informazioni riguardanti le altre regioni siano estremamente carenti e che il quadro distributivo
Numero quadranti UTM
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complessivo sia da rivedere. In Lombardia risulta essere particolarmente comune,essendo presente su quasi tutto il territorio regionale; le uniche aree ove risulta assente sono quelle di maggiore quota e alcune zone in cui probabilmente le ricerche sono state poco approfondite. Ecologia ed etologia - Pur trattandosi di una specie estremamente comune e diffusa, le informazioni sulla sua biologia sono state a lungo aneddotiche; studi recenti hanno approfondito le sue esigenze ecologiche in ambienti mediterranei, mentre resta carente la letteratura disponibile per le zone più tempe-
Hierophis viridiflavus, giovane (foto E. Razzetti).
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rate. Normalmente utilizza ambienti xerici e assolati sia naturali sia fortemente antropizzati, spingendosi anche nelle periferie urbane (SCALI & ZUFFI 1994). Si tratta, in realtà, di una specie estremamente adattabile, che è possibile reperire anche in zone umide o boschive. Il numero di osservazioni cala proporzionalmente con l’aumentare della quota e l’altitudine massima registrata in Lombardia è di 1.600 m. L’attività ha inizio in primavera, normalmente quando la temperatura atmosferica è compresa tra i 15 e i 20°C (CAPULA et al. 1997). Poco dopo l’uscita dagli ibernacoli iniziano le attività riproduttive che comprendono anche combattimenti rituali; la deposizione avviene in maggio-giugno e la schiusa della uova in agosto-settembre (CAPULA et al. 1997). Gli spostamenti inizialmente avvengono nei dintorni dell’ibernacolo e, successivamente, coinvolgono aree sempre più estese,coprendo distanze complessive anche di 4-5 km (CIOFI & CHELAZZI 1991, 1994; Scali, Bonardi & Mangiacotti oss. pers.). I maschi compiono spostamenti maggiori rispetto alle femmine. Esiste un dimorfismo sessuale significativo,con maschi più grandi delle femmine, sia per
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quanto riguarda le dimensioni del corpo sia per quelle del capo (SPRINGOLO & SCALI 1999; SCALI & MONTONATI 2000). Status e problemi di conservazione - Nonostante il biacco sia una specie estremamente comune in Italia, la sua distribuzione piuttosto limitata a livello europeo ha fatto sì che fosse incluso nelle liste dei taxa di importanza comunitaria della Direttiva Habitat 92/43/CEE (Allegato IV). Hierophis viridiflavus, adulto (foto E. Razzetti). Non esistono al momenparte di veicoli (BONNET et al. 1999). Ulto particolari problemi di conservazioteriori problemi possono derivare dalne in Lombardia, anche se nel suo areal’eccessivo rimboschimento, che tende le è stata riscontrata un’elevata mortaa sottrarre gli habitat idonei a questa lità dei giovani in dispersione dopo la specie termofila. schiusa a seguito degli investimenti da STEFANO SCALI MANUELA SPRINGOLO RAOUL MANENTI
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Natrice viperina Note tassonomiche - Natrix maura è una specie monotipica; esistono tuttavia differenze genetiche tra le popolazioni nord-africane e sarde e quelle del resto d’Europa (GUICKING et al. 2001). Nelle popolazioni dell’Italia peninsulare,gli animali non presentano mai il pattern di colorazione con due strie chiare longitudinali, presente invece in Sardegna, nord Africa e sud della Spagna. Distribuzione - È un’entità a distribuzione maghrebino-ovesteuropea. In Africa è diffusa in Marocco, Algeria,Tunisia, Libia nord-occidentale (costa mediterranea; SCHLEICH et al. 1996). In Europa è presente naturalmente nella penisola iberica, mentre nelle isole di Maiorca, Minorca e Corsica è stata introdotta o si è diffusa naturalmente in
Natrix maura (Linnaeus, 1758)
tempi recenti (DELAUGERRE & CHEYLAN 1992; SALVADOR 1997); la specie si rinviene inoltre in Francia, esclusa la fascia settentrionale, nella porzione sud-occidentale della Svizzera (Vallese, Vaud e Ginevra; KRAMER & STEMMLER 1992), nell’Italia nord-occidentale e in Sardegna. In Liguria la specie è presente dal confine francese fino al comune di Casarza Ligure, GE (SALVIDIO & DORIA 1990; ANDREOTTI 1994); in Piemonte è relativamente comune nell’Appennino alessandrino e invece sporadica nelle province di Cuneo e Vercelli (SILVANO & SINDACO 1999); in Emilia-Romagna è limitata alle province di Piacenza e di Parma, dove, presso Sala Baganza, raggiunge il proprio limite distributivo orientale (ANDREONE & CAPULA 1988). In Lombardia,
Natrix maura, adulto (foto E.Vigo).
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N. maura è rinvenibile prevalentemente presso fiumi e torrenti dell’Oltrepò pavese: Staffora, Tidone e Trebbia e anche in alcuni corsi minori, quali Lella e Avagnone. Esistono inoltre alcune segnalazioni a nord del Po, tutte peraltro riferibili a individui isolati:Vistarino, Bosco Grande di Pavia,Torre d’Isola (ZUFFI 1987,1988),Zerbolò,per la provincia di Pavia, e Golasecca (VA) nella porzione nord del Parco lombardo della Valle del Ticino (ZUFFI 1988).La segnalazione storica per il monte Maddalena in provincia di Brescia (SPORTELLI 1968; BENNATI et al. 1975) non è stata riconfermata dai numerosi rilievi sul campo condotti nel-
Natrix maura, particolare del capo (foto E. Biggi).
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l’ultimo ventennio. Non si ritengono infine attendibili i dati storici per la provincia di Mantova, riportati da BENDISCIOLI (1826) e PAGLIA (1879) e la segnalazione per il Lago d’Endine di GIACOMELLI (1897). Ecologia ed etologia - N. maura è un serpente prettamente acquatico che frequenta svariati ambienti con acque sia ferme sia correnti, comprese quelle salmastre; occasionalmente si spinge anche in mare (CABOT & OLEA 1978). Nelle stazioni dell’Appennino lombardo, predilige zone ad acque basse ed è generalmente rinvenibile presso le rive dei torrenti o in pozze isolate sul greto (SCALI et al. 2001a). In Europa la si può trovare dal livello del mare fino a 1.2001.400 metri di quota e fino a 2.500 metri in Marocco (Alto Atlante occidentale; LANZA 1983). In Lombardia è presente da 60 fino a 680 m (massimo altitudinale regionale), con una prevalenza di avvistamenti nelle fasce altimetriche 0-200 e 400-600 m. È generalmente attiva tra marzo e ottobre, con un picco di attività in maggio-giugno. È ritenuta specie prevalentemente diurna, ma un’indagine recentemente condotta nell’Appennino pavese ha evidenziato
una spiccata tendenza all’attività notturna, soprattutto durante i mesi estivi (SCALI et al. 2001a). La maturità sessuale è raggiunta nel maschio tra i due e i quattro anni di età, di regola sei mesi o un anno prima della femmina.Le uova sono deposte presso le rive, in buche del terreno, in mucchi di detriti rocciosi o in tane abbandonate di micromammiferi, raramente nelle concimaie o sotto accumuli vegetali Natrix maura, adulto (foto E. Biggi). (LANZA 1983). L’incubasendo specie considerata non minaczione dura solitamente 45-75 giorni e i ciata, N. maura in Lombardia ha una dipiccoli nascono tra la fine di agosto e la stribuzione limitata, popolazioni poco seconda metà di settembre (DUGUY & numerose ed è al limite dell’areale. In SAINT-GIRONS 1966); alla nascita i giovani particolare le popolazioni del torrente misurano 16-18 cm (LANZA 1983). Staffora sono minacciate dai prelievi Status e problemi di conservazione idrici a fini agricoli che provocano, nei N. maura è uno dei serpenti più comumesi di luglio e agosto, asciutte compleni in buona parte della propria area di te del corso d’acqua. distribuzione e non è tutelata dalle direttive 92/43/CEE e 97/62/CE. Pur esLAURA BONINI GIOVANNA DIMITOLO
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Natrice dal collare Note tassonomiche - La sistematica di Natrix natrix è stata più volte oggetto di revisione (KRAMER 1970; THORPE 1980;LANZA 1983;STEFANI 1983) ed è tuttora abbastanza controversa. All’interno del suo vasto areale questa specie presenta infatti numerosi ecotipi che hanno portato alla descrizione di un numero massimo di 21 sottospecie (HECHT 1930), poi notevolmente ridotte da studi successivi (LANZA & CORTI 1993; HILLE 1997; APREA et al. 2000). In Italia è presente la sottospecie nominale N. n. natrix (Linnaeus, 1758) = N. n. persa (Pallas, 1814), unitamente a N. n. helvetica (Lacépède, 1789) = N. n. lanzai Kramer, 1971, N. n. calabra Vanni & Lanza, in LANZA 1983, N. n. cetti Genè, 1839 e N .n. sicula (Cuvier, 1829).
Natrix natrix, adulto (foto E. Razzetti).
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Natrix natrix (Linnaeus, 1758)
Distribuzione - L’areale, di tipo eurocentroasiatico-magrebino (LANZA 1983), è esteso a sud-ovest fino al Marocco nord-occidentale e all’Algeria settentrionale; a ovest fino alla penisola iberica;a nord fino alla Svezia e alla Finlandia centro-settentrionali; a est fino a poco oltre il lago Bajkal e a sud-est fino alla penisola anatolica e all’Iran settentrionale (LANZA 1983; KABISH 1997; VANNI 1999). In Italia è presente in tutto il territorio nazionale, Sardegna, Sicilia ed isola d’Elba comprese (SOCIETAS HERPETOLOGICA ITALICA 1996); N. n. natrix è localizzata nel settore nord-orientale, N. n. cetti è tipica della Sardegna, N. n. sicula della Sicilia, N. n. calabra della Calabria, infine N. n. helvetica abita l’isola d’Elba e l’Italia peninsulare e continen-
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• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
tale, inclusa la Lombardia. Nella nostra regione è, con Hierophis viridiflavus, il serpente più diffuso essendo ampiamente distribuita sia in pianura sia nell’area appenninica e prealpina, dove copre quasi totalmente il territorio delle province di Pavia, Lodi, Cremona, Mantova, Milano, Bergamo, Varese e Lecco. Più rara sembra invece nel settore alpino delle province di Como, Brescia e Sondrio, in cui appare per lo più legata alle aree di fondovalle. Le segnalazioni sono particolarmente scarse sulla destra idrografica del fiume Adda, dove sembra spingersi solo raramente nelle valli laterali (per esempio: Val Masino),
Natrix natrix, adulto dopo una predazione (foto E. Razzetti).
203 72,50% 9 3,21% 212 75,71%
risultando oggi come in passato (DE CARLINI 1888) pressoché assente in Val Malenco. L’intervallo altitudinale varia da 10 a 2.000 m circa, sebbene le osservazioni siano avvenute per lo più in pianura (78.3%), meno frequentemente nelle aree collinari (12.97%) e solo occasionalmente a quote superiori ai 1.000 m (6.40%). Ecologia ed etologia - Specie fondamentalmente euriecia ed eurizonale, N. natrix è presente in biotopi acquatici sia lentici sia lotici come stagni, paludi, lanche, fontanili, risaie, marcite, raccolte d’acqua artificiali anche di piccole dimensioni, sponde di fiumi, torrenti, rogge, ecc. (POZZI 1980; SCHIAVO & FERRI 1996; BONINI et al. 2000; DI CERBO & SASSI 2002; BARBIERI & GENTILLI 2002).A differenza delle specie congeneri,frequenta anche ambienti prettamente terrestri quali boschi,prati,siepi nonché aree antropizzate come coltivi e giardini, inseriti in contesti urbani e suburbani (SCALI & ZUFFI 1994). Nella regione, la stagione attiva inizia verso febbraio-marzo alle quote inferiori e alla metà di aprile a quelle più alte e si protrae, a seconda delle condizioni climatiche, fino a ottobre o in taluni casi all’inizio di novem-
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bre. Alcune osservazioni, in pianura, hanno riguardato tuttavia anche i mesi invernali (novembre e gennaio). Rinvenibile nelle ore diurne e talvolta anche in quelle notturne, la specie mostra una scarsa selezione rispetto alle condizioni termiche e meteorologiche (GENTILLI & ZUFFI 1995; FERRI et al. 1996). Gli accoppiamenti avvengono generalmente tra la fine di aprile e la fine di maggio. Le uova sono deposte in numero variabile (6-70), prevalentemente nel legno marcescente, in fenditure del terreno o di muretti a secco nonché negli accumuli di sostanze vegetali. La schiusa avviene di norma tra luglio e settembre; più raramente può verificarsi fino a novembre. Status e problemi di conservazione - Pur essendo ancora abbastanza comune in Lombardia, N. Natrix natrix, ornamentazione dorsale e ventrale natrix è soggetta a diversi fattori (foto E. Razzetti). di minaccia che possono causare al. 2000). Seppure non protetta a livello localmente il declino delle popolazioni; regionale, la specie è comunque inseritra questi ricordiamo il traffico veicolata nell’Allegato III della Convenzione di re, l’alterazione degli habitat e l’uccisioBerna. ne diretta (BONNET et al. 1999; BONINI et ANNA RITA DI CERBO RAOUL MANENTI
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Natrice tassellata Note tassonomiche - La specie viene considerata monotipica dato che la sottospecie Natrix tessellata heinrothi (Hecht, 1930), descritta per l’isola Serpilor nel Mar Nero, è oggi ritenuta di dubbia validità. Distribuzione - N. tessellata è un’entità europea orientale e asiatica. È presente in tutta l’Europa centrale, nell’Italia continentale e peninsulare, con esclusione forse del Salento,oltre che nei Balcani;al di fuori dell’Europa, si rinviene nel Golfo Persico e nel delta del Nilo, in Asia occidentale e centrale fino al Pakistan settentrionale e alla regione dello Xinjiang in Cina (LANZA 1983,ZHAO & ADLER 1993; SCHLEICH et al. 1996). In Lombardia sono state raccolte oltre 200 segnalazioni; la specie è diffusa in tutte le
Natrix tessellata (Laurenti, 1768)
province, ma in modo non uniforme essendo confinata alle zone rivierasche di una gran varietà di corpi d’acqua.Apparentemente concentrata negli ambiti di pianura e collina fino ai 600 m (98% delle osservazioni), la specie tuttavia risale le principali vallate alpine dei fiumi Adda, Oglio e Chiese ed è presente anche lungo le sponde dei grandi laghi prealpini.Eccezionalmente risale anche fino a quote considerevoli, raggiungendo il massimo altitudinale a 1.800 m, sopra Temù (BS) in Val Camonica. Ecologia ed etologia - Tra le natrici presenti in Italia, N. tessellata è la più strettamente legata all’acqua: è infatti molto comune lungo fiumi, torrenti, canali, rete irrigua minore e laghi principali; è meno frequente presso le raccol-
Natrix tessellata, adulto con livrea molto uniforme (foto E. Razzetti).
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• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
te d’acqua di minori dimensioni e in canneti, paludi e risaie (LANZA 1983; ABRAM & MENEGON 1994; BARBIERI & GENTILLI 2002). L’ecologia è simile a quella di Natrix maura, tanto che le due specie generalmente si escludono e nei rari casi di simpatria,come in alcune zone dell’Oltrepò, tendono ad essere vicarianti nelle diverse tipologie ambientali e ad essere attive in fasce orarie differenti (SCALI et al. 2001a). È attiva prevalentemente durante il giorno o al crepuscolo nei mesi caldi (SCALI et al. 2001a). Le date delle segnalazioni per la Lombardia ben corrispondono al periodo di attività della specie che si estende
Natrix tessellata, particolare del capo (foto E. Razzetti).
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92
32,86%
8 100
2,86% 35,71%
da marzo-aprile a settembre-ottobre, anche se vi sono alcune osservazioni per dicembre, gennaio e febbraio. Lo svernamento, molto spesso collettivo, avviene in fessure rocciose, sotto massi, in muri a secco o in tane abbandonate di micromammiferi. La natrice tassellata raggiunge generalmente la maturità sessuale al terzo anno di età; si accoppia in marzo-giugno, anche se sono citati accoppiamenti autunnali (ABRAM & MENEGON 1994). Le uova, da 5 a 35, sono deposte in accumuli di terra umida o ceppi marcescenti, spesso all’interno di letamai; i piccoli nascono in agosto-settembre e misurano da 15 a 24 cm (LANZA 1983). Status e problemi di conservazione N. tessellata è inclusa nell’Allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE oltre che negli elenchi della Convenzione di Berna. Risulta inoltre protetta dalle leggi regionali di Valle d’Aosta, Liguria, Abruzzo e Lazio e anche nella Provincia autonoma di Bolzano. Appare ancora piuttosto diffusa in buona parte della regione, ma i suoi contingenti appaiono ridursi al pari di quanto accade agli altri serpenti; la carenza di indagini quantitative in questo senso lascia ampi margini
Natrix tessellata, adulto in predazione (foto E. Moretti).
di incertezza. Legata agli ambienti umidi e alle fasce ripariali, la specie subisce indirettamente anche la pressione an-
tropica su questi ambienti, dovuta a captazioni, ricalibrazioni dei corsi d’acqua e fresatura delle sponde.
DINO SCARAVELLI SIMONE MONTONATI
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Vipera comune Note tassonomiche - Nell’Italia settentrionale sono presenti le sottospecie Vipera aspis atra Meisner, 1820 di Val d’Aosta,Piemonte sino al confine con la Lombardia, e Liguria a ovest di Genova, V. a. francisciredi Laurenti, 1768 del nord est d’Italia sino alla Campania e al Gargano in Puglia, presente anche all’Elba (ZUFFI & BONNET 1999); nelle porzioni più meridionali della nostra penisola è infine presente V.a.hugyi Schinz, 1834. Le sottospecie italiane posseggono caratteristiche ben definite di squamatura ventrale e caudale (ZUFFI & BONNET 1999), di morfologia del cranio (CALABRESI 1924) e degli emipeni (ZUFFI 2002). In relazione a una recente revisione, sarebbero da considerare buone specie sia Vipera atra sia Vipera hugyi,
Vipera aspis francisciredi, adulto (foto E. Razzetti).
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Vipera aspis (Linnaeus, 1758)
con l’eccezione di V. a. francisciredi, che non sembra mostrare differenze a carico della morfologia del cranio e degli emipeni e che deve intendersi in sinonimia con la forma nominale, V. a. aspis (ZUFFI 2002). In seguito a nuovi dati di biologia molecolare, da parte di CONELLI (2002b) e URSENBACHER et al. (2003), è emerso che: a) le popolazioni di atra e di aspis mostrano una stretta identità genetica tale da poterle considerare appartenenti allo stesso taxon; b) francisciredi è invece fortemente differenziata rispetto ad atra, probabilmente a livello specifico. Le attuali conoscenze sulla posizione sistematica delle popolazioni di vipera del gruppo aspis andranno perciò ancora accuratamente indagate.
Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
Distribuzione - Il gruppo aspis (specie e sottospecie insieme) è ampiamente distribuito nell’Europa occidentale, dalla Francia settentrionale sino a Parigi, a Nancy e al limite del Lussemburgo nella valle della Mosella;è assente nei tavolati della Lorena e dei Vosgi; presente un tempo in Germania meridionale (Foresta Nera),è probabilmente estinto;occupa tutto il territorio della Svizzera occidentale e meridionale, dal Giura ai Grigioni,e tutta l’Italia e la Sicilia;in Spagna è presente nei territori pirenaici e prepirenaici (SAINT GIRONS 1997). In Italia è presente in tutti i settori della penisola, ma con diversa frequenza per regione: abbondante in tutto il Nord, il
Vipera aspis atra, adulto (foto E. Razzetti).
90
32,14%
11 101
3,93% 36,07%
Centro e la Sicilia, con particolare riferimento alle zone montano-collinari, alpine e appenniniche; con forte rarefazione in tutte le aree planiziali settentrionali, ad esclusione dei parchi fluviali di Ticino, Adda, Mincio (ZUFFI 1988; FERRI 1990a;BARBIERI & GENTILLI 2002) e lungo il Po, nella parte nord orientale dell’Emilia-Romagna (MAZZOTTI et al. 1999). In Lombardia è presente prevalentemente il taxon francisciredi, mentre atra è limitata ad alcune porzioni del Parco del Ticino e dell’Oltrepò pavese, dove è presente solo in Val Tidone, Val Trebbia e nella porzione della Val Staffora a monte di Varzi, a quote generalmente comprese tra 500 e 1.200 m (ZUFFI et al. 2003). Ecologia ed etologia - V. aspis frequenta ambienti generalmente ben soleggiati quali i margini di coltivi, incolti, radure e pascoli cespugliati. In particolare, in pianura si rinviene generalmente solo al margine di boschi planiziali ben conservati: Bosco Fontana, Riserva della Zelata, Riserva del Castagnolo (ZUFFI 1988; LUISELLI & RUGIERO 1990; JÄGGI & BAUR 1999). I dati distributivi sembrano mostrare una parziale vicarianza con V. berus almeno per la por-
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zione settentrionale delle province di Brescia e Sondrio. La vipera comune sembra non essere frequente alle alte quote: circa l’83% delle osservazioni, infatti, è stato effettuato entro i 1.000 m. Il massimo altitudinale della specie attualmente noto per la Lombardia è di 2.200 m (Malonno, BS). V. aspis entra in attività tra febbraio e i primi di marzo, sia nelle pianure dell’Italia settentrionale sia in zone collinari di Vipera aspis, adulto (foto G. Conca). media quota. Secondo un gradiente latitudinale lità. Le rare stime plausibili di densità, nord-sud e altitudinale, V. aspis ha freper l’Italia,indicano 14-15 esemplari per quenza riproduttiva quadriennale o ettaro di territorio utilizzabile in pianutriennale (BONNET & NAULLEAU 1996), ra costiera, per V. aspis italiana (LIPPI biennale (CAPULA & LUISELLI 1993) o an1991). Lo stato di frammentarietà degli nuale (ZUFFI et al. 1999). In zone di piahabitat, le pratiche colturali intensive, nura della Lombardia, il parto avviene l’eliminazione delle siepi e degli ecotodalla metà di agosto sino alla metà di ni,le forme dirette di persecuzione sono settembre, con una frequenza che semelementi che sicuramente hanno influibrerebbe essere generalmente biennato e contribuiscono a minare lo stato di le. In pianura ogni femmina partorisce sopravvivenza delle popolazioni naturain media 8,4 piccoli (A. Gentilli, dati li, soprattutto dei settori di pianura e di non pubblicati). bassa e media collina. Attualmente la Status e problemi di conservazione specie è da considerarsi decisamente raIn aree naturali o seminaturali, la vipera ra e localizzata in pianura, mentre è tutcomune è probabilmente uno dei sertora ben distribuita su Alpi e Prealpi. penti che si rinviene con maggiore faciMARCO A.L. ZUFFI AUGUSTO GENTILLI ALBERTO DELL’ACQUA
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Marasso Note tassonomiche - Vipera berus è una specie politipica, di cui però sono state riconosciute poche sottospecie, a dispetto della vastissima distribuzione; attualmente sono solo tre quelle ritenute valide: V. b. berus (Linnaeus, 1758) presente in gran parte dell’areale e a cui sono attribuite anche le popolazioni delle Alpi italiane, V. b. bosniensis Boettger, 1889 presente negli stati dell’ex-Jugoslavia, in Albania, in parte della Bulgaria e nell’Ungheria meridionale e V.b.sachalinensis Tzarewsky,1916 della Siberia sudorientale, della Mongolia settentrionale, delle isole di Sakhalin e di Shantar e della Corea del Nord (GRUBER 1993; NILSON et al. 1994; NILSON & ANDRÉN 1997). Distribuzione - Il marasso è diffuso in gran parte della Regione Paleartica e in
Vipera berus (Linnaeus, 1758)
alcune porzioni di quella Orientale, a partire dalla Gran Bretagna e dalla Francia nord-occidentale a ovest, fino all’Isola di Sakhalin (a nord del Giappone) e alla Corea del Nord ad est. In Europa è inoltre presente nell’Italia settentrionale, in parte dei Balcani, in gran parte dell’Europa centrale e orientale e in Scandinavia, fin quasi all’estrema porzione settentrionale della Finlandia (GRUBER 1993; NILSON & ANDRÉN 1997). In Italia è presente nelle Alpi orientali e centrali, fino alla provincia di Biella; alcune segnalazioni, recentemente confermate, riguardano la provincia di Torino (FERRI & SINDACO 1999). In Lombardia, il marasso è abbastanza comune nelle zone montane delle province di Brescia e Bergamo;è meno diffuso nelle province
Vipera berus, giovane maschio (foto E. Razzetti).
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Numero quadranti UTM
• post 1985 • pre 1985 non riconfermati totali
Vipera berus, adulti con livrea normale e melanica (foto V. Ferri).
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41 14,64% 5 1,79% 46 16,43%
di Sondrio,Lecco e Como (BENNATI et al. 1975; BENNATI 1988a; GIANERA et al. [1995]). Fino alla fine dell’Ottocento era sicuramente presente anche in alcune zone della pianura padana e si spingeva fino alla provincia di Pavia (BENDISCIOLI 1826; DE FILIPPI 1840; PRADA 1840; BALSAMO CRIVELLI 1844; PAGLIA 1879), ma queste popolazioni si sono estinte,forse per cause naturali; i marassi padani erano, inoltre, diversi da quelli alpini dal punto di vista morfometrico e lepidotico (SCALI & GENTILLI 1999; GENTILLI et al. in preparazione). Ecologia ed etologia - Il marasso è una specie tipicamente alpina,che predilige zone relativamente fresche di alta quota. In Lombardia lo si può trovare normalmente a partire da 1.200 m fino a 2.500 m, anche se vi sono alcune segnalazioni a quote inferiori per le province di Bergamo e Brescia (quota minima 550 m, Paspardo, BS). In Lombardia frequenta le zone aperte, specialmente i pascoli, purché ricchi di rifugi naturali quali rocce, ginepri e rododendri. Lo si può trovare presso le zone umide, come le torbiere o i torrenti di alta quota, anche se a volte può frequentare zone relativamente aride co-
me i macereti (BENNATI et al. 1975; BENNATI 1988a; ZUFFI 1992; BENNATI et al. 1996; GENTILLI & BARBIERI 2002). Non si trova mai in sintopia con la congenere V. aspis, molto probabilmente a causa delle differenti esigenze termiche delle due specie. I ritmi di attività annuali e giornalieri sono variabili a seconda delle zone e si riducono al crescere della quota (CAPULA & LUISELLI 1992). In Lombardia le segnalazioni sono numerose nel periodo maggio-settembre e meno frequenti nei mesi di aprile e ottobre.La riproduzione nelle popolazioni alpine
di alta quota avviene ogni due o tre anni (CAPULA & LUISELLI 1992). Status e problemi di conservazione Non vi sono particolari problemi di conservazione per V. berus, dal momento che le zone in cui vive sono scarsamente accessibili e con attività antropiche limitate. A motivo dell’ampia distribuzione europea e mondiale non vi sono norme di tutela per questa specie. Gli unici problemi a livello locale possono essere dovuti all’uccisione diretta da parte dell’uomo a causa del timore che le vipere incutono a molte persone.
STEFANO SCALI ROLANDO BENNATI ALBERTO DELL’ACQUA
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Erpetofauna alloctona presente in Lombardia
La Lombardia è una regione fortemente antropizzata e per questo risultano frequenti sia gli episodi di immissioni passive di specie alloctone sia le liberazioni volontarie di animali esotici tenuti in cattività. Con il termine alloctono si intende un taxon non appartenente alla fauna originaria di una determinata area geografica, ma che vi è giunto per intervento dell’uomo (ANDREOTTI et al. 2001). Più genericamente si utilizza l’espressione “specie aliene” per indicare sia quelle esotiche, appartenenti cioè ad altri continenti, sia le specie che pur facendo parte dell’area geografica non erano presenti prima dell’introduzione (SCOCCIANTI 2001). Di recente l’International Union for Conservation of Nature and Natural resources ha affrontato il problema delle invasioni biologiche redigendo, tramite un’apposita commissione di studio, le linee guida per la prevenzione, il controllo e la gestione delle specie aliene invasive degli ambienti naturali (IUCN 2000). In Italia gli effetti negativi delle introduzioni di fauna alloctona in natura sono tutt’altro che trascurabili (BOLOGNA 2002), anche se per l’erpetofauna il quadro complessivo non è compromesso come per l’ittiofauna (RAZZETTI et al. 2002). Per quanto riguarda la Lombardia la prima specie ad essere introdotta, con acclimatazione, è stata quasi certamente Rana catesbeiana; all’origine della diffusione vi furono liberazioni da allevamenti di tipo commerciale avvenute nel 1932 presso Bigarello, un comune del Mantovano (LANZA 1962). Alcune indagini mirate, svolte nel 2002 dall’Unione Europea, hanno analizzato la presenza della rana toro in 36 delle località indicate da ALBERTINI & LANZA (1988); i sopralluoghi hanno permesso di individuare una nuova stazione per la specie, ma non ne hanno riconfermato la presenza nelle località storiche (Veenvliet & Kus Veenvliet com. pers.); anche le segnalazioni presenti nella banca dati erpetologica lombarda confermano che la specie, pur essendo stata rinvenuta negli ultimi decenni in alcune nuove località lombarde, non sembra essere significativamente in espansione. Il trasporto passivo di alcuni individui fondatori è quasi certamente all’origine dell’acclimatazione di due specie di Geconidi in Lombardia; le prime segnalazioni hanno riguardato una popolazione di Tarentola mauritanica lungo la sponda bresciana del lago di Garda (BENNATI & SPORTELLI 1970); solo vari anni dopo (BENNATI 1988b) è stata individuata la prima popolazione acclimatata di Hemidactylus turcicus. Probabilmente effimera è invece la presenza di Cyrtopodion kotschyi (Steindachner, 1870) nel comune di Varese; nella banca dati vi sono infatti solo due segnalazioni risalenti ai mesi estivi del 1998. Molto diffusa sul territorio lombardo è anche Trachemys scripta; questa specie infatti è stata importata in Italia in quantità ingenti per essere venduta come animale da compagnia; non deve stupire quindi che la presenza in natura di individui abbandonati dopo un periodo più o meno lungo di cattività, in media 4 anni (FERRI & DI CERBO 1998), rappresenti un fenomeno di vaste proporzioni che potrebbe svolgere un ruolo non trascurabile nell’introduzione e nella diffusione di patologie e parassitosi tra l’erpetofauna autoctona (RAZZETTI & BONINI 2001). Il blocco delle importazioni di T. s. elegans, in atto dal 1997, ha però indubbiamente contribuito a ridurre il numero di individui rilasciati nelle zone umide lombarde; prima di tale data, infat-
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ti, si è stimato che il numero di testuggini acquatiche importate nella regione raggiungesse i 300.000 individui l’anno (FERRI & DI CERBO 1995). I dati raccolti tra il 1994 e il 1996 testimoniano la presenza, lungo i principali fiumi (Po,Ticino, Lambro, Brembo, Adda, Mincio) e laghi lombardi (Maggiore, Varese, Como, Idro, Garda), di diverse centinaia di individui di T. scripta (FERRI & DI CERBO 2000). Per inquadrare le dimensioni del fenomeno può essere utile inoltre ricordare che tra il 1994 e il 1997, nell’ambito del “Progetto Arcadia/Trachemys” Lombardia, sono state raccolte da privati circa 680 testuggini palustri dalle orecchie rosse (FERRI & DI CERBO 2000) e che nel 2001 e 2002 l’ENPA di Milano ha ritirato rispettivamente 200 e 350 individui di questa specie, oltre a varie altre testuggini terrestri ed acquatiche. La deposizione di uova in natura, a volte seguita dalla schiusa, è stata spesso osservata in Lombardia presso Legnano (FERRI & SOCCINI 2003) e in altre località del Milanese e del Pavese; tuttavia, permangono alcuni dubbi sulla reale capacità della specie di creare popolazioni vitali (AGOSTA & PAROLINI 2000) e il reclutamento, se effettivamente presente, sembrerebbe per ora trascurabile rispetto alla mortalità. In seguito ai provvedimenti restrittivi sulle importazioni di T. s. elegans, il commercio si è spostato su sottospecie differenti (T. s. scripta, T. s. troostii) e su altri generi (Graptemys, Pseudemys). Questo lascia intuire che il fenomeno delle immissioni di testuggini alloctone in natura continuerà comunque anche in futuro. Ritrovamenti di rettili esotici sono moderatamente frequenti nella regione (per esempio: Elaphe guttata, Lampropeltis spp., Chelydra serpentina, varie specie di iguane, testuggini terrestri, camaleonti, pitoni, ecc.); un elenco pubblicato recentemente (FERRI 1998a) riporta le specie rinvenute a Milano nel periodo 1990-1997. Questi ultimi taxa sembrano comunque avere una ridotta influenza sulla fauna indigena perché difficilmente sono in grado di adattarsi alle condizioni climatiche e ambientali locali, sebbene suscitino ogni volta un certo clamore nella stampa locale. ANNA RITA DI CERBO EDOARDO RAZZETTI
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Descrizione ed analisi delle erpetocenosi1
Le caratteristiche ambientali delle diverse zone definiscono la presenza di determinate specie con esigenze ecologiche almeno parzialmente analoghe; hanno origine così alcune erpetocenosi abbastanza ben differenziate. Un esempio è rappresentato dall’analisi delle comunità erpetologiche determinate dalle diverse fasce altitudinali e climatiche. Le disomogeneità ambientali presenti all’interno di molte unità di rilevamento rendono di difficile interpretazione le analisi descritte in seguito, soprattutto in aree relativamente piccole quali, ad esempio, gli Appennini. Per descrivere tali associazioni è stato calcolato un indice di similarità tra specie (Indice di Sørensen), sulla base di una matrice di presenza o assenza di ciascuna specie in ogni unità di rilevamento (HEYER et al. 1994). Sulla base di tale indice, è stata poi effettuata una cluster analysis che ha permesso di costruire i dendrogrammi che illustrano l’associazione tra le specie. Per migliorare l’efficacia dell’analisi, rendere più leggibili i risultati ed evitare errori indotti da differenze ambientali, sistematiche e zoogeografiche, i dati sono stati elaborati separatamente per i tre principali macroambienti lombardi: a) Alpi e Prealpi, b) pianura padana, c) Appennini. Infatti alcune specie montane presenti sia sulle Alpi sia sugli Appennini con sottospecie distinte (ad esempio Triturus alpestris e Salamandra salamandra) oppure taxa al limite del loro areale (ad esempio Natrix maura, Coronella girondica o Vipera berus) avrebbero reso i risultati difficilmente interpretabili qualora fossero stati accorpati in un unico insieme di dati. ALPI E PREALPI (119 unità di rilevamento) - Dall’esame del dendrogramma (Fig. 1, Tab. 1) emergono alcune evidenze legate alle esigenze ecologiche e alla distribuzione delle diverse specie. In particolare, le specie tipicamente alpine sono separate dai taxa normalmente presenti a quote non elevate. Risultano maggiormente associate Vipera berus e Zootoca vivipara e, in misura minore, Salamandra atra; Triturus a. alpestris forma un ramo a sé stante del dendrogramma, probabilmente a causa dell’estrema rarità nel territorio lombardo. Ben associate tra loro sono le specie a più ampia diffusione e maggiormente euriecie, come ad esempio Bufo bufo, Podarcis muralis, Hierophis viridiflavus e Natrix natrix. Una forte associazione è evidente anche per Hyla intermedia e Rana synklepton esculenta, due taxa termofili tipici dei grandi fondivalle. Una posizione relativamente separata è occupata da due anuri dall’ecologia peculiare, almeno in ambiente alpino, come Bombina variegata e Bufo viridis; la prima perché occupa una nicchia ecologica molto particolare e la seconda perché sulle Alpi è presente con popolazioni isolate e in habitat diversi da quelli abituali. PIANURA PADANA (150 unità di rilevamento) - Anche in questo caso (Fig. 2,Tab. 2) le specie prevalentemente montane (Salamandra s. salamandra, Rana temporaria e Zootoca vivipara) risultano isolate rispetto alle altre, perché presenti solo marginalmente nelle unità di rilevamento, qui considerate planiziali. Altre specie 1 Nei dendrogrammi e nelle tabelle le specie sono indicate convenzionalmente riferendosi al nome scientifico e riportando le prime tre lettere corrispondenti al genere e alla specie (p. es. Rana latastei= RANLAT).
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Fig. 1: dendrogramma delle associazioni tra specie su Alpi e Prealpi.
Fig. 2: dendrogramma delle associazioni tra specie in pianura padana.
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relativamente isolate sono Natrix maura e Podarcis sicula, che sono presenti con poche popolazioni al limite del proprio areale e, spesso, in habitat relitti o localizzati. La maggior parte delle altre specie appare ben raggruppata, con l’eccezione di quelle più rare, quali ad esempio Pelobates fuscus insubricus, Emys orbicularis, Elaphe longissima e Vipera aspis. È da notare l’associazione tra Bufo bufo e Rana latastei, specie tipiche delle aree boscate, e tra Hierophis viridiflavus e Hyla intermedia, spesso presenti in zone aperte o nei coltivi. APPENNINI (11 unità di rilevamento) - L’analisi di questo dendrogramma (Fig. 3, Tab. 3) è particolarmente complessa perché la fascia appenninica, oltre a comprendere un esiguo numero di unità di rilevamento, ha un’orografia estremamente articolata, con un forte gradiente di quota; per questo l’interpretazione del grafico rispecchia più gli aspetti distributivi che quelli ecologici. Le specie a distribuzione prevalentemente appenninica formano raggruppamenti separati, anche se non sempre associati fra loro. Un buon grado di associazione si osserva per le specie più euriecie. È inoltre da sottolineare l’associazione fra le specie tipiche di vallate aperte e soleggiate (Chalcides chalcides, Natrix tessellata e Coronella girondica) e quelle caratteristiche dei corsi d’acqua minori in aree montane (Triturus a. apuanus, Salamandra s. gigliolii, Rana italica e Natrix maura). AUGUSTO GENTILLI STEFANO SCALI
Fig. 3: dendrogramma delle associazioni tra specie sugli Appennini.
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Tab. 1: valori dell’Indice di Sørensen per le unità di rilevamento dell’area Alpi e Prealpi (in grassetto sono evidenziati i valori >0,6).
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Tab. 2: valori dell’Indice di Sørensen per le unità di rilevamento dell’area pianura padana (in grassetto sono evidenziati i valori >0,6).
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Tab. 3: valori dell’Indice di Sørensen per le unità di rilevamento dell’area Appennini (in grassetto sono evidenziati i valori >0,6).
Analisi della diversità erpetologica1
Uno degli strumenti più importanti per valutare la qualità dell’ambiente e le priorità di conservazione è la stima della diversità biologica. L’indice più semplice da utilizzare a questo scopo è il numero di specie presenti in una data unità di rilevamento; questo tipo di analisi è anche quello più facilmente utilizzabile in un atlante di distribuzione, in quanto lo sforzo di ricerca disomogeneo per i diversi quadranti non consente di utilizzare indici più complessi. È necessario sottolineare, però, che le differenze nel numero di specie tra le diverse unità di rilevamento non sono necessariamente legate a differenze di qualità dell’ambiente, ma possono essere causate dalle variazioni della tipologia ambientale (ad esempio: altitudine, conformazione del territorio, ecc.).Tutte le analisi seguenti sono state realizzate utilizzando solo le segnalazioni posteriori al 1985, così da avere una fotografia della situazione il più aggiornata possibile. Il numero complessivo di specie autoctone di anfibi e rettili per ogni maglia è compreso tra zero e venti (Fig. 1).
Fig. 1: frequenza del numero di specie presenti per unità di rilevamento.
Molte unità di rilevamento contengono un numero di specie compreso tra sette e quindici (Fig. 2). La presenza di ben dodici maglie prive di specie è verosimilmente da imputarsi a difetto di ricerca; è da sottolineare, comunque, che tali maglie si trovano tutte nelle porzioni marginali della regione e contengono modeste superfici di territorio lombardo. Dalla stessa figura si nota che la massima diversità è raggiunta nelle zone prealpine e appenniniche. La ragione di questa ricchez1 Nelle figure le specie sono indicate convenzionalmente riferendosi al nome scientifico e riportando le
prime tre lettere corrispondenti al genere e alla specie (p.es. Rana latastei= RANLAT).
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Numero di specie
1-4 5-8 9-12 13-15 16-20
Fig. 2: distribuzione geografica del numero di specie per unità di rilevamento.
za di specie è da riferire alla contemporanea presenza di ambienti ben diversificati, caratterizzati da faune con esigenze ecologiche anche molto diverse. Parimenti in pianura vi sono zone ad elevata diversità in corrispondenza dei principali parchi fluviali, in particolare del Parco lombardo della Valle del Ticino, a riprova dell’importanza delle aree protette per il mantenimento della biodiversità (Fig. 3).
Fig. 3: localizzazione geografica delle principali aree protette della Lombardia (aree tratteggiate).
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Numero di specie di anfibi
1-2 3-4 5-6 7-8 9-11
Fig.4: distribuzione geografica del numero di specie di anfibi per unità di rilevamento.
Queste osservazioni trovano conferma anche analizzando in dettaglio i diversi livelli tassonomici: anfibi o rettili; urodeli, anuri, sauri o serpenti (Fig. 4-9).
Numero di specie di rettili
1-3 4-5 6-7 8-9 10-12
Fig. 5: distribuzione geografica del numero di specie di rettili per unità di rilevamento.
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Numero di specie di urodeli
1 2 3 4 5-6
Fig. 6: distribuzione geografica del numero di specie di urodeli per unità di rilevamento.
Numero di specie di anuri
1-2 3 4-5 6 7-8
Fig. 7: distribuzione geografica del numero di specie di anuri per unità di rilevamento.
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Numero di specie di sauri
1 2 3 4 5
Fig. 8: distribuzione geografica del numero di specie di sauri per unità di rilevamento.
Numero di specie di serpenti
1-2 3 4 5 6-8
Fig. 9: distribuzione geografica del numero di specie di serpenti per unità di rilevamento.
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Al fine di ottenere informazioni riguardo la rarità dei diversi taxa, intesa come numero di maglie di presenza per le singole specie, è stato calcolato il numero di unità di rilevamento in cui esse sono presenti. Per quanto riguarda gli anfibi (Fig. 10) si nota una differenza molto marcata tra le specie ad ampia diffusione e quelle localizzate: in particolare si osserva che Rana synklepton esculenta è molto comune (66% delle maglie), mentre Salamandrina terdigitata, Speleomantes strinatii, Rana italica, Pelobates fuscus insubricus, Salamandra atra, Triturus alpestris e Bombina variegata sono presenti in meno del 6% delle 280 unità di rilevamento totali.
Fig. 10: percentuale di unità di rilevamento in cui è presente ciascuna specie di anfibi.
Fig. 11: percentuale di unità di rilevamento in cui è presente ciascuna specie di rettili.
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Tra i rettili (Fig. 11) le specie più diffuse sono Podarcis muralis, Natrix natrix, Lacerta bilineata e Hierophis viridiflavus (presenti in oltre il 65% delle maglie), mentre tra le specie più localizzate si annoverano Coronella girondica, Chalcides chalcides, N. maura, P. sicula ed Emys orbicularis presenti al massimo nel 10% delle maglie. Bisogna evidenziare che la rarità di alcune specie è principalmente dovuta a motivi zoogeografici, perché la Lombardia si trova al margine del loro areale (ad esempio: S. terdigitata, S. strinatii, R. italica, P. sicula, C. girondica, N. maura). In altri casi la rarità è dovuta ad un’effettiva progressiva scomparsa a causa di alterazioni ambientali da parte dell’uomo, come nel caso di P. f. insubricus ed E. orbicularis. Analizzando separatamente le fasce alpina (119 maglie), planiziale (150 maglie) e appenninica (11 maglie), si ottengono informazioni interessanti riguardo la rarità, intesa come numero di maglie di presenza per le singole specie, che possono caratterizzare meglio la composizione dell’erpetofauna in queste aree. Gli anfibi più comuni nella fascia alpina (Fig. 12) sono nell’ordine R. temporaria, S. salamandra, specie tipicamente montane e Bufo bufo, anfibio ad ampia valenza ecologica. È interessante notare come specie prevalentemente montane (T. alpestris, S. atra e B. variegata) risultino molto più localizzate di altri taxa più eurieci (Hyla intermedia, R. dalmatina, R. synklepton esculenta e T. carnifex). Per quanto riguarda i rettili (Fig. 13) si può notare che le specie più tipicamente alpine, Zootoca vivipara e Vipera berus, sono meno diffuse di altre caratterizzate da un’ampia valenza ecologica (ad esempio: P. muralis). Questa apparente anomalia si spiega con il fatto che in Lombardia la lucertola vivipara e il marasso sono prossimi al limite occidentale del loro areale italiano continuo. In pianura gli anfibi più comuni sono R. synklepton esculenta, H. intermedia e B. viridis (Fig. 14); è interessante sottolineare che R. latastei, una specie endemica
Fig. 12: percentuale di unità di rilevamento dell’area alpina in cui è presente ciascuna specie di anfibi.
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Fig. 13: percentuale di unità di rilevamento dell’area alpina in cui è presente ciascuna specie di rettili.
della pianura padana ed elencata nella Red list della IUCN, International Union for the Conservation of Nature (IUCN 1994), è comunque presente in Lombardia nel 57% delle maglie planiziali. Tra le specie più rare risultano due anfibi tipicamente montani, R. temporaria e S. salamandra, ma la loro presenza è limitata alle sole maglie di confine con la zona montana. Molto preoccupante risulta, al contrario, la rarità di P. f. insubricus che è presente solo nel 7% delle maglie di pianura. Il grafico relativo ai rettili mostra un divario molto netto tra le specie più comuni (P. mura-
Fig. 14: percentuale di unità di rilevamento della pianura in cui è presente ciascuna specie di anfibi.
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Fig. 15: percentuale di unità di rilevamento della pianura in cui è presente ciascuna specie di rettili.
lis, N. natrix, L. bilineata, H. viridiflavus) e le rimanenti (Fig. 15). Più localizzate risultano essere V. aspis, C. austriaca ed E. orbicularis, mentre la rarità di altre due specie, N. maura e P. sicula, è legata principalmente alla loro distribuzione generale. Z. vivipara era un tempo più diffusa in pianura padana, ma si è progressivamente rarefatta a seguito della distruzione degli habitat e dei cambiamenti climatici, per cui è attualmente presente con pochissime popolazioni relitte.
Fig. 16: percentuale di unità di rilevamento dell’area appenninica in cui è presente ciascuna specie di anfibi.
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Fig. 17: percentuale di unità di rilevamento dell’area appenninica in cui è presente ciascuna specie di rettili.
Nella fascia appenninica, rappresentata da solo 11 maglie, le specie di anfibi più comuni sono B. bufo (presente nel 100% delle maglie), T. carnifex, T. vulgaris e R. dalmatina, con oltre il 90% delle maglie (Fig. 16). Tra le specie più rare ricordiamo invece R. temporaria, S. strinatii e S. terdigitata, quest’ultima presente solo in una maglia.Tra i rettili ben quattro specie sono presenti nel totale delle unità di rilevamento, P. muralis, L. bilineata, H. viridiflavus e N. natrix; molto comune è anche Elaphe longissima, mentre la specie meno diffusa è P. sicula, presente in una singola maglia (Fig. 17).
STEFANO SCALI AUGUSTO GENTILLI
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Progetti di conservazione dell’erpetofauna in Lombardia
Molte specie appartenenti alla fauna minore hanno risentito pesantemente dei cambiamenti avvenuti nell’ultimo secolo nei processi produttivi sia agricoli sia industriali. Tali mutamenti hanno portato anche in Lombardia all’estinzione di parte delle popolazioni di anfibi e rettili e per questo, dopo anni di richieste e pressioni delle associazioni protezionistiche e del mondo scientifico, l’amministrazione pubblica ha cominciato ad attivarsi per porre rimedio ad una situazione ormai non più sostenibile. Dalla fine degli anni Ottanta, infatti, sono stati promossi e realizzati anche per la cosiddetta “fauna minore” interventi mirati alla conservazione, sia mediante operazioni di riqualificazione ambientale sia mediante il consolidamento o la ricostituzione di popolazioni in aree idonee. Anche i numerosi ed annuali interventi di salvataggio nell’ambito del “Progetto Rospi” hanno avuto un ruolo importante per la conservazione delle popolazioni di anfibi. Alcune di queste iniziative hanno avuto carattere puntiforme esaurendosi nell’arco di breve tempo, altre hanno avuto un impianto più organico, con la realizzazione di interventi ripetuti e coordinati. Di seguito sono descritti i principali progetti di conservazione degli anfibi e dei rettili finora realizzati o in realizzazione in Lombardia; per ogni progetto sono riportate le informazioni relative all’Ente territorialmente competente e/o finanziatore, al periodo di realizzazione e ai responsabili scientifici e tecnici. PROGETTO DI MONITORAGGIO PER LA CONSERVAZIONE DELLE POPOLAZIONI DI RANA LATASTEI DELLE RISERVE NATURALI DI LE “BINE” E DI “MONTICCHIE” Ente proponente e/o beneficiario:WWF Italia, Delegazione Lombardia. Ente finanziatore: Regione Lombardia e Fondazione Lombardia per l’Ambiente. Periodo: 1982-1987 (censimenti e studi ecologici), 1987-1990 (interventi di conservazione), 1987-2003 (monitoraggio a lungo termine). Responsabili del progetto: Andrea Agapito Ludovici (le “Bine”), Vincenzo Ferri (“Monticchie”). Nelle riserve naturali lombarde di le “Bine” (CR-MN) e “Monticchie” (LO) sono presenti due popolazioni di Rana latastei, specie indicata fino dal 1979 nella Red List della IUCN come una delle più minacciate in Europa. Per questo motivo la conservazione è stata indicata nei piani di gestione di entrambe le riserve tra gli obiettivi prioritari. Il monitoraggio delle popolazioni presenti, avviato dalla metà degli anni Ottanta sia a le “Bine” (AGAPITO LUDOVICI 1982, 1987; FERRI 1990b) sia a Monticchie (FERRI 1988), è risultato importante per verificare la tutela nelle due riserve. Questi studi sono ora inseriti tra le indagini previste dal progetto Centri di monitoraggio della biodiversità promosso dal WWF Italia Delegazione Lombardia e dalla Fondazione Lombardia per l’Ambiente. Obiettivo principale del progetto è la messa a punto di metodiche per il rilevamento e lo studio di componenti naturalistiche che consentano di valutare lo stato del patrimonio biologico in funzione di una sua adeguata tutela.
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INTERVENTI DI CONSERVAZIONE E RISULTATI - Nel mese di febbraio 1988 nella Riserva “Monticchie”è stato effettuato l’approfondimento dell’intera rete irrigua derivante dai fontanili, utilizzando un piccolo escavatore e lasciando i fanghi per qualche giorno presso le sponde. Sono state ripulite e ampliate le teste dei fontanili e sono stati realizzati alcuni chiusini per la regimazione delle acque. Altri piccoli interventi di conservazione hanno aumentato le possibilità riproduttive: la regimazione controllata, lo spostamento di ovature verso punti in cui l’acqua è più profonda, la difesa delle stesse da predatori potenziali con reti di materiale plastico, ecc. Sempre nel corso del 1988 sono iniziati i censimenti delle ovature e i rilievi sulla loro localizzazione e sulle caratteristiche ambientali circostanti.Tra il 1988 ed il 1998 sono stati utilizzati in questa riserva percorsi lungo transetti e metodiche di osservazione-cattura-rilevamento paragonabili all’attuazione di una “ricerca con conteggi a vista” secondo HEYER et al. (1994) - V.E.S.= Visual Encounter Surveys - ed è per questo possibile confrontare i dati allora raccolti, o almeno parte di essi, con i risultati dei nuovi monitoraggi, effettuati applicando metodiche V.E.S. in tre aree campione opportunamente individuate. Nello stesso periodo ha avuto inizio un programma di “campionamento quantitativo di larve” - Q.S.L.= Quantitative Sampling of Amphibian Larvae (HEYER et al. 1994) - nel tratto di canalette interno alla seconda area campione. Le osservazioni mostrano un progressivo miglioramento del tasso riproduttivo di Rana latastei dal 1998 e il raggiungimento dei livelli di diffusione e densità del passato a partire dal 1990 (CANOVA & SAINO 1984; FERRI et al. 1995a; FERRI & AGAPITO LUDOVICI 2002). Il WWF Lombardia per garantire la tutela della popolazione di Rana latastei di le “Bine” ha avviato una serie d’interventi specifici: - acquisizione di aree coltivate a pioppo da rinaturalizzare per ampliare gli habitat potenziali (sono stati affittati 9 ettari, sei dei quali già riqualificati con la realizzazione di uno stagno di circa un ettaro e il rimboschimento dei restanti cinque); - ripristino (1990-1991) di canalette, sito di riproduzione elettiva della specie; - spostamento di individui dai pioppeti prossimi al taglio in aree non a rischio; - sostituzione di circa 15 ettari di pioppeto con impianti di arboricoltura estensiva che richiedono minori trattamenti colturali; i turni sono più lunghi e gli eventuali tagli mai rasi, ma selettivi in modo da mantenere un ambiente adatto alla rana di Lataste; - realizzazione di piccoli stagni per la riproduzione; - avvio di monitoraggi a lungo termine per verificare nel tempo la consistenza della popolazione e l’efficacia degli interventi. Il monitoraggio in questa riserva è stato effettuato con le metodiche di “ricerca al canto” - A.S.T.= Audio Strip Transect - e del “campionamento per quadrati” - Q.S.= Quadrat Sampling - secondo le indicazioni di HEYER et al. (1994) (FERRI & AGAPITO LUDOVICI 2002). PROGETTO DI POTENZIAMENTO DELLA POPOLAZIONE DI TESTUGGINE PALUSTRE (EMYS ORBICULARIS) DEL FIUME TICINO LOMBARDO Ente proponente e/o beneficiario: Consorzio Parco lombardo della Valle del Ticino. Ente finanziatore: Regione Lombardia. Periodo: 1988-1989. Responsabile del progetto: Marco A.L. Zuffi. In seguito a censimenti svolti negli anni 1985-1987 (ZUFFI 1988; ZUFFI et al. 1987) e a valutazioni di fattibilità per un progetto di ripopolamento (GARIBOLDI & ZUFFI
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1994), il Parco lombardo della Valle del Ticino ha rilasciato nel 1989 circa 30 individui adulti di Emys orbicularis, provenienti da località prossime al delta del Po, in una lanca collegata all’alveo principale del fiume Ticino (nel comune di Robecco sul Naviglio, MI). Non si conoscono gli esiti dell’intervento e i dati relativi agli spostamenti degli individui in questione e, soprattutto, all’acclimatazione e a eventuali tentativi di riproduzione. PROGETTO “PELOBATES WWF ITALIA - GRUPPO LOMBARDIA” Ente proponente e/o beneficiario: WWF Italia - Centro Studi erpetologici “Emys”. Ente finanziatore: WWF Italia. Periodo: 1986-1989 (censimento, studi ecologici, interventi di conservazione). Responsabile del progetto per la Lombardia:Vincenzo Ferri. Il progetto aveva come finalità lo studio della biologia, la protezione delle popolazioni conosciute (grazie anche alla realizzazione di centri di allevamento nei quali ottenere ovature e girini per iniziative di potenziamento o di reintroduzione) e la ricerca di nuovi siti di Pelobates fuscus insubricus (ANDREONE & BAGNOLI 1989). Uno degli impianti per l’allevamento ed il recupero di girini minacciati è stato realizzato presso la Riserva naturale “Bosco WWF di Vanzago”, presso Milano. Si è trattato della realizzazione di un’area recintata di circa 50 metri quadrati parzialmente allagata, dove tra il 1987 ed il 1988 sono stati introdotti circa duecento girini provenienti dal Novarese. Tale struttura, dove per la prima volta è stato tentato l’allevamento in condizioni di semilibertà di P. f. insubricus, ha avuto in seguito (almeno fino al 1990) una destinazione didattica e di ricerca. Nel 1986 hanno avuto inizio in Lombardia ricerche di campo sistematiche con l’individuazione di nuove stazioni della specie nelle province di Pavia, Cremona Mantova (FERRI & SCHIAVO 1988; GHEZZI & GROPPALI 1988; ANDREONE et al. 1993; FERRI 2000b; FERRI & BOFFINO 2002) e Varese (ANDREONE et al. 1993; GENTILLI et al. 1996). “PROGETTO ROSPI - TOADS PROJECT” Ente proponente e/o beneficiario: Centro Studi Arcadia. Periodo: 1989-1990 (censimento delle popolazioni di anfibi minacciati dal traffico stradale; dal 1990 interventi di studio, di conservazione attiva e di monitoraggio a lungo termine). Responsabile del progetto:Vincenzo Ferri. Vincenzo Ferri ha promosso questo progetto dopo anni di studio sulla situazione delle popolazioni degli anfibi del nord Italia e sulle modalità degli interventi di salvaguardia in atto nella vicina Svizzera; negli stessi anni ha inoltre attivato contatti con esperti e appassionati come Alberto Pozzi, Alessandro Fossati, Kurt Grossenbacher, Giorgio Achermann, Argeo Agustoni e con i funzionari del Settore Ecologia della Regione Lombardia Franco Grassi e Paola Galesini. In base alla Legge Regionale n. 33 del 1977, Ferri ha ottenuto nel 1990 il patrocinio regionale per lo sviluppo di azioni di censimento e di salvaguardia degli anfibi lombardi. Questo gli ha permesso successivamente di ottenere la collaborazione di comunità montane,
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province, parchi, comuni ma soprattutto delle Guardie Ecologiche Volontarie (GEV) operanti in questi enti.Tra il 1988 ed il 1990, diversi servizi GEV hanno contribuito al primo censimento delle rotte di migrazione riproduttiva a rischio degli anfibi della regione.Alla fine del 1989 con i dati di questo censimento Ferri ha attivato il progetto per lo studio e la conservazione di popolazioni di anfibi che ha preso il nome di “Progetto Rospi”, coordinandolo scientificamente fino al 1996 nell’ambito del Centro Studi erpetologici “Emys” della Società italiana di Scienze naturali e dal 1997 nell’ambito del Centro Studi Arcadia (www.centrostudiarcadia.it /
[email protected]). LE TAPPE PRINCIPALI DEL “PROGETTO ROSPI”: - nella primavera del 1990 iniziano i salvataggi delle riproduzioni milanesi di Bufo viridis; partecipano le GEV del Comune di Milano, del Parco Nord Milano, della Provincia di Milano e i volontari della Lega Abolizione Caccia Lombardia; - nella primavera del 1991 terminano gli studi di fattibilità per l’attivazione di alcuni dei principali salvataggi lombardi: Lago d’Endine, Zu di Riva di Solto, Mesenzana, Sorico, Lago di Sartirana, Lago d’Idro; - nella primavera del 1992 parte la prima organica campagna di salvataggio che riguarda due località bergamasche: la sponda sinistra del Lago d’Endine, con l’attività delle GEV della Comunità montana Val Cavallina insieme ai volontari del WWF della sezione di Bergamo, diretti da Giovanni Giovine, e la partecipazione di GEV di altre Comunità montane, e la località Zu di Riva di Solto, in sponda destra del Lago d’Iseo, gestita dalle GEV della Comunità montana Alto Sebino; vengono salvati 8.622 anfibi; - nel mese di novembre 1992 viene organizzato il 1° Convegno nazionale “Salvaguardia Anfibi”presso il Museo civico di Storia naturale di Milano; vi partecipano più di 300 tra specialisti ed appassionati; gli atti sono pubblicati nei Quaderni 19/1992 e 20/1993 della Civica stazione idrobiologica di Milano; - nella primavera del 1994 si superano le dieci località monitorate: gli anfibi salvati sono 28.802; - nella primavera del 1997 si superano le venti località monitorate: gli anfibi salvati sono 50.020; - nel mese di maggio del 1997 viene organizzato il 2° Convegno nazionale “Salvaguardia Anfibi” presso il Centro Fiera di Morbegno (SO); vi partecipano più di 350 tra specialisti ed appassionati; gli atti sono pubblicati sulla Rivista di Idrobiologia 38/1999; - dalla fine del 1999 il “Progetto Rospi” è consultabile nel sito web www.centrostudiarcadia.it; - nella primavera del 2000 si superano le trenta località monitorate: gli anfibi salvati sono 102.000; - nel mese di giugno 2000 viene organizzato il 3° Convegno nazionale “Salvaguardia Anfibi” presso il Museo cantonale di Storia naturale di Lugano (Cantone Ticino, CH); vi partecipano più di 200 tra specialisti ed appassionati; gli atti sono pubblicati a cura della Cogecstre edizioni di Penne; - nel mese di aprile 2001 Vincenzo Ferri viene nominato chairman dell’Italian working group del DAPTF; il “Progetto Rospi - Toads Project” è ufficialmente affiliato a questa struttura internazionale (www.open.ac.uk/daptf); - alla fine del 2001 esce il primo numero del notiziario Bufonews; - nella primavera del 2002 si superano le quaranta località monitorate: gli anfibi salvati sono 142.346;
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- nel mese di maggio 2003 a Brescia, presso il Museo civico di Scienze naturali, Christiana Soccini organizza il Convegno “Il lago d’Idro: aspetti ecologici e conservazionistici”. I RISULTATI DEL PROGETTO ROSPI - L’interesse verso le iniziative di salvataggio attivo di piccola fauna ha permesso al “Progetto Rospi” di raggiungere in quasi 15 anni importanti risultati per quanto riguarda il numero di località interessate annualmente dagli interventi, il numero di partecipanti, la divulgazione delle motivazioni di questa mobilitazione e, soprattutto, il numero degli anfibi salvati. Dopo aver applicato, a seconda dei casi e della disponibilità anche economica degli Enti, le più idonee forme di salvaguardia parziale o generale della piccola fauna minacciata per attraversamento di strade (barrieraggi temporanei, semipermanenti, permanenti e tunnel), dal 1998 si è cercato di applicare metodi uniformi di censimento e monitoraggio delle popolazioni oggetto dei salvataggi. La raccolta di dati morfometrici, fenologici e quantitativi degli animali in migrazione è per ora avvenuta solo grazie alla collaborazione di alcuni dei responsabili dei salvataggi, sulla base dell’esperienza acquisita in questi anni e della disponibilità di tempo.
Esempio di barriera (foto C. Soccini).
Barriera e tunnel di attraversamento (foto V. Ferri).
I NUMERI DEL PROGETTO: - dal 1990 al 2002 sono stati salvati 700.500 anfibi appartenenti a 11 specie: B. bufo (che rappresenta oltre il 60%), B. viridis, Rana dalmatina, R. temporaria, R. latastei (ogni anno sono più di 3.500 i riproduttori di questa specie salvati dal traffico stradale), R. synklepton esculenta, Hyla intermedia, Bombina variegata, Triturus carnifex, T. vulgaris meridionalis e Salamandra s. salamandra;
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- le campagne di salvataggio oggi riguardano 45 siti distribuiti in 14 province e 5 regioni (nel 1992 le località monitorate erano 2); - dal 1990 hanno partecipato ai turni di barrieraggio, censimento e salvataggio serale più di 2.800 volontari: appartenenti ai servizi GEV e alle associazioni animaliste ed ambientaliste, appassionati, cittadini e studenti; nel 2002 in particolare hanno partecipato più di 800 volontari; - dal 1990 Ferri ha organizzato ed effettuato 34 corsi di formazione al censimentomonitoraggio-salvataggio degli anfibi, con la partecipazione di più di 1.200 persone tra GEV, operatori ed insegnanti; - sono tre i congressi a valenza europea già organizzati, con la partecipazione di un migliaio tra specialisti, appassionati e collaboratori del “Progetto Rospi”; di questi convegni sono stati pubblicati gli atti; - tra il 1987 ed il 2002, sulla base delle indicazioni e della progettazione di Ferri, sono stati effettuati, principalmente in Lombardia, Abruzzo ed Emilia Romagna, più di 120 interventi di miglioramento ambientale con la sistemazione e la manutenzione di zone umide preesistenti o la costituzione di nuove raccolte d’acqua, per una superficie complessiva di oltre 200.000 metri quadrati; - sono state posizionate barriere fisse o semifisse e realizzati tunnel sottostradali in otto località; sono oltre 13 quelli costruiti presso il Lago d’Endine (con finanziamenti regionali e la progettazione ed esecuzione della Provincia di Bergamo e della Comunità montana Val Cavallina); - sono stati traslocati (per evitare l’essiccamento, l’inquinamento o altre minacce), ad una distanza mai superiore alle naturali possibilità di dispersione della popolazione di provenienza, ovature, girini e neometamorfosati di anfibi, per un numero complessivo potenziale di individui superiore al milione; - sono state elaborate e discusse sei tesi di laurea presso il Dipartimento di Biologia animale dell’Università di Milano; - è stata allestita una banca-dati (“Progetto Rospi - Toads Project”) con i risultati dei salvataggi, dei censimenti, dei monitoraggi annuali, delle località interessate da trasmigrazioni a rischio, degli interventi e delle iniziative realizzate, dei rilevamenti biometrici, delle analisi bromatologiche, delle analisi parassitologiche, ecc. - sono stati effettuati dai diversi gruppi di volontari e dai diversi enti patrocinanti centinaia di interventi didattici presso scuole di ogni ordine e grado; - è stato realizzato e diffuso materiale divulgativo e scientifico (depliant, testi divulgativi, audiovisivi e cd). PROGETTO DI CONSERVAZIONE DI ANFIBI MINACCIATI NEI PARCHI LOMBARDI (PIANO TRIENNALE PER L’AMBIENTE 1994-1996) Enti proponenti e/o beneficiari: Parco lombardo della Valle del Ticino, Parco agricolo Sud Milano, Parco Adda Sud, Parco del Serio, Parco dell’Oglio, Parco del Mincio, Parco Pineta di Appiano Gentile e Tradate, Parco del Monte Barro, Parco delle Orobie valtellinesi, Parco dei Colli di Bergamo, Parco dell’Adamello e Parco dell’Alto Garda bresciano. Ente finanziatore: Regione Lombardia, con il contributo del Ministero dell’Ambiente. Periodo: 1998-2002 (1a fase); 2003-2004 (monitoraggio). Responsabili dei progetti: Francesco Barbieri, Franco Bernini, Augusto Gentilli, Stefano Scali.
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Nel 1998 la Regione Lombardia e il Ministero dell’Ambiente hanno stanziato dei fondi per un progetto coordinato mirato alla conservazione degli anfibi. Per non disperdere i fondi in interventi non collegati, è stato deciso di coordinare i lavori mediante metodiche e finalità comuni. Scopo principale del progetto è la conservazione delle specie mediante interventi di habitat management e traslocazioni, ove possibile e necessario. Il merito e la novità di questo progetto risiedono nella scelta di realizzare interventi organici e diffusi in tutta la regione a favore delle specie di anfibi più minacciate come, ad esempio, Rana latastei, Pelobates fuscus insubricus e Bombina variegata. Il progetto ha avuto come finalità l’incremento o la creazione di popolazioni stabili di diverse specie di anfibi all’interno di alcuni parchi regionali della Lombardia. Questi sono stati suddivisi in due gruppi, il primo costituito da aree protette della bassa pianura (Parco lombardo della Valle del Ticino, Parco agricolo Sud Milano, Parco Adda Sud, Parco del Serio, Parco dell’Oglio e Parco del Mincio) e il secondo da parchi dell’alta pianura o di montagna (Parco Pineta di Appiano Gentile e Tradate, Parco del Monte Barro, Parco delle Orobie valtellinesi, Parco dei Colli di Bergamo, Parco dell’Adamello e Parco dell’Alto Garda bresciano). I lavori possono essere raggruppati in due categorie principali: interventi di miglioramento ambientale, per il ripristino o la creazione di siti idonei alla riproduzione e alla vita terrestre delle specie individuate, e interventi di ripopolamento o reintroduzione, per l’incremento o la creazione delle popolazioni. INTERVENTI DI HABITAT MANAGEMENT - I lavori sono stati mirati principalmente alla creazione o al ripristino dei siti riproduttivi, la cui scarsità, in genere dovuta a modificazioni ambientali apportate dall’uomo, si è spesso rivelata il principale fattore limitante. Ove necessario, sono inoltre stati realizzati interventi di miglioramento dell’habitat circostante, ad esempio mediante la messa a dimora di specie vegetali autoctone. Le aree di intervento, per ognuno dei parchi coinvolti, sono state selezionate mediante molteplici sopralluoghi, che hanno permesso di identificare le zone potenzialmente adatte alle specie oggetto di intervento e quelle ove queste erano già presenti (Tab. 1 e 2). I censimenti delle popolazioni individuate sono stati realizzati mediante avvistamenti diretti, catture, conteggio delle ovature e dei maschi al canto, secondo quanto proposto da HEYER et al. (1994). I criteri di scelta si sono basati sull’idoneità del sito in riferimento all’eco-etologia delle specie da proteggere, sulla possibilità e facilità d’intervento, sui costi e sull’eventuale mantenimento nel tempo delle ottimali condizioni ambientali. In considerazione delle necessità ecologiche delle diverse specie sono state previste diverse tipologie di pozza, con caratteristiche differenti a seconda della specie bersaglio. Nel caso di pozze create in aree dove la permanenza dell’acqua non fosse garantita dalla presenza della falda, si è provveduto all’impermeabilizzazione del fondo. Le pozze per R. latastei sono state realizzate in aree boscate o in prossimità di queste, per favorire la colonizzazione e le migrazioni postriproduttive. I siti riproduttivi di P. fuscus insubricus sono stati realizzati in aree con suoli soffici o sabbiosi, per consentire l’infossamento degli adulti fuori dal periodo riproduttivo; la presenza di boschi, pur rivestendo una certa importanza per alcune popolazioni, non ricopre per questa specie un ruolo fondamentale. È invece necessità comune per le due specie l’assenza di pesci, che è stata favorita isolando le nuove pozze dai corpi d’acqua principali mediante griglie e chiusini. Di primaria importanza è stata la realizzazione di sistemi di pozze a distanze modeste tra loro, per garantire l’instaurarsi di metapo-
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PARCHI DI PIANURA Specie individuata
Parco Parco Pineta di Appiano Gentile e Tradate
Salamandra salamandra Triturus carnifex Rana dalmatina Pelobates fuscus Pelobates fuscus Pelobates fuscus Rana latastei Rana latastei Rana latastei Rana latastei
Parco Ticino Parco agricolo Sud Milano Parco Adda Sud Parco Serio Parco Oglio Parco Mincio
Misure di conservazione HM HM, RI HM, RI HM, RI HM, PR HM, RI HM, PR HM, PR
Tab. 1: specie oggetto di intervento e misure di conservazione adottate per ciascun parco; HM= habitat management, RI= reintroduzione, PR= ripopolamento.
Parco
PARCHI DI MONTAGNA Specie individuata
Parco Monte Barro Parco Orobie valtellinesi Parco Colli di Bergamo Parco Adamello Parco Alto Garda bresciano
Salamandra salamandra Rana temporaria Bombina variegata Rana temporaria Salamandra salamandra Hyla intermedia Rana temporaria
Misure di conservazione HM HM HM HM HM
Tab. 2: specie oggetto di intervento e misure di conservazione adottate per ciascun parco; HM= habitat management, RI= reintroduzione, PR= ripopolamento.
polazioni, cioè di insiemi di popolazioni collegate tra loro, ma facenti capo a siti riproduttivi distinti. Questo livello di organizzazione consente la migrazione di individui da un sito all’altro, soprattutto in caso di situazioni sfavorevoli, e aiuta a mantenere una maggiore diversità genetica. Studi recenti hanno dimostrato l’importanza delle metapopolazioni per la conservazione a lungo termine delle popolazioni di anfibi (BEEBEE 1996; GRIFFITHS 1995). Nel caso in cui le aree circostanti non avessero caratteristiche vegetazionali ottimali per le specie, sono state effettuate azioni di messa a dimora di essenze autoctone finalizzate alla creazione o alla riqualificazione di idonee aree boscate.Tali interventi hanno avuto lo scopo anche di stimolare gli anfibi a permanere nelle aree prescelte, evitandone la dispersione in zone limitrofe poco adatte. INTERVENTI DI RIPOPOLAMENTO O REINTRODUZIONE - Questo tipo di interventi ha riguardato solo la rana di Lataste e il pelobate fosco. Nel caso in cui nelle aree prescelte non fossero più presenti popolazioni delle specie in questione o che tali popolazioni fossero costituite da un ridotto numero di individui, sono state rea-
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lizzate delle azioni di ripopolamento o reintroduzione. Le traslocazioni sono state effettuate a partire dal secondo anno, per permettere la naturalizzazione dei nuovi siti realizzati. Ripopolamento - Questa tipologia di intervento ha coinvolto solo R. latastei, che in alcuni casi sopravvive con popolazioni costituite da un esiguo numero di individui. Per incrementare le popolazioni esistenti sono stati rilasciati girini prossimi alla metamorfosi. La scelta di ripopolare con larve è determinata dalla filopatria delle specie considerate, cioè dalla tendenza degli adulti a ritornare a riprodursi negli stagni ove è avvenuta la metamorfosi. Il mantenimento in cattività dei girini fino ad uno stadio avanzato di sviluppo, inoltre, permette la sopravvivenza di un’elevata percentuale di essi, in quanto viene ridotta la mortalità dovuta a predazione o a condizioni ambientali sfavorevoli. Il ripopolamento è avvenuto a seguito delle operazioni di habitat management e, quindi, della rimozione dei fattori responsabili della riduzione numerica delle popolazioni. Reintroduzione - La reintroduzione è stata effettuata per entrambe le specie, previa la verifica della presenza storica e la rimozione dei fattori di rischio. Le modalità con cui sono state effettuate le traslocazioni sono analoghe a quelle già esposte per i ripopolamenti. MODALITÀ DI REPERIMENTO ED ALLEVAMENTO DEGLI ANFIBI - Al fine di ottenere le larve da rilasciare nei siti individuati, sono state prelevate in natura alcune ovature da siti già noti. Le ovature sono state portate presso il centro di allevamento appositamente approntato dal Dipartimento di Biologia animale dell’Università degli studi di Pavia presso l’Oasi LIPU “Bosco G. Negri” a Pavia, dove sono state allevate in condizioni controllate. Le larve sono state stabulate in apposite vasche in plastica protette da reti a maglia sottile per evitare l’ingresso di predatori. Circa metà
Parco Parco Pineta di Appiano Gentile e Tradate
PARCHI DI PIANURA Incremento Triturus vulgaris Triturus carnifex Rana dalmatina Rana synkl. esculenta
Parco Ticino
Parco agricolo Sud Milano Parco Adda Sud Parco Serio Parco Oglio Parco Mincio
Rana latastei Rana latastei
Colonizzazione Salamandra salamandra Triturus carnifex Rana dalmatina Triturus vulgaris Bufo bufo Hyla intermedia Rana latastei Rana dalmatina Rana synkl. esculenta Hyla intermedia Rana synkl. esculenta Hyla intermedia Rana synkl. esculenta Rana synkl. esculenta Rana synkl. esculenta Rana synkl. esculenta
Tab. 3: incremento delle popolazioni di anfibi già presenti e colonizzazione da parte di nuove specie nei siti di intervento dei parchi di pianura.
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PARCHI DI MONTAGNA Parco Parco Monte Barro Parco Orobie valtellinesi Parco Colli di Bergamo Parco Adamello Parco Alto Garda bresciano
Incremento
Colonizzazione
Salamandra salamandra Rana temporaria Salamandra salamandra Bombina variegata Rana temporaria Salamandra salamandra Rana temporaria
Tab. 4: incremento delle popolazioni di anfibi già presenti e colonizzazione da parte di nuove specie nei siti di intervento dei parchi di montagna.
delle larve ottenute è stata liberata nei siti di provenienza, per non depauperare le popolazioni di origine, mentre la restante metà è stata impiegata per le traslocazioni. Vista l’elevatissima mortalità naturale degli stadi giovanili degli anfibi il metodo ha reso possibile sia un incremento delle popolazioni di provenienza sia la disponibilità di individui necessari per le traslocazioni. RISULTATI - Complessivamente sono stati allevati circa 12.500 girini di P. fuscus insubricus e 40.000 di R. latastei; inoltre, sono stati effettuati 56 interventi di habitat management, 6 traslocazioni di P. fuscus e 8 di R. latastei. I girini rilasciati sono giunti a metamorfosi regolarmente e in alcuni casi si è assistito alla colonizzazione spontanea di alcune pozze da parte di Triturus vulgaris, T. carnifex, Hyla intermedia, R. dalmatina e R. synklepton esculenta. Nel corso degli anni 2001 e 2002 sono stati effettuati alcuni monitoraggi dei primi risultati per valutare l’evoluzione delle popolazioni ed apportare eventuali migliorie agli interventi realizzati. Nella primavera del 2001 sono stati osservati alcuni giovani di pelobate fosco nel sito di rilascio all’interno del Parco del Ticino, constatandone la sopravvivenza durante l’inverno. Complessivamente si è assistito ad un incremento delle popolazioni riproduttive delle diverse specie di anfibi già presenti nelle aree sottoposte a miglioramento ambientale (Tab. 3 e 4; GENTILLI et al. 2003). Nel 2003 sono stati realizzati, grazie ad un nuovo finanziamento della Regione Lombardia, ulteriori e più completi monitoraggi dei risultati; questa attività continuerà anche nel corso del 2004. REINTRODUZIONE DI RANA LATASTEI NEL PARCO AGRICOLO SUD MILANO Ente proponente e/o beneficiario: Parco agricolo Sud Milano (funzionario tecnico di riferimento nel Parco: Fabrizio Scelsi). Ente finanziatore: Regione Lombardia e Provincia di Milano. Periodo: dal 2000. Responsabili del progetto: Francesco Barbieri, Franco Bernini, Augusto Gentilli, Stefano Scali. Il Parco agricolo Sud Milano ha deciso di realizzare degli interventi organici a favore di Rana latastei, specie seriamente minacciata in molte aree della pianura pada-
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na; questa specie, infatti, ha risentito pesantemente dei cambiamenti avvenuti nell’ultimo secolo nei processi produttivi sia agricoli sia industriali. Tali mutamenti hanno portato all’estinzione di gran parte delle popolazioni di questa specie, di cui non erano note stazioni nel territorio del Parco all’inizio del progetto. Il programma si è articolato come segue: - valutazione dello status della specie all’interno del Parco agricolo Sud Milano; - individuazione dei siti già idonei al rilascio di girini di R. latastei all’interno del Parco; - individuazione dei siti potenzialmente idonei alla presenza di R. latastei e in cui è necessario realizzare lavori di miglioramento ambientale; - realizzazione degli interventi di miglioramento ambientale a favore delle popolazioni di R. latastei; - allevamento dei girini di R. latastei al fine di ottenere gli individui da utilizzare per le traslocazioni; - interventi di ripopolamento o reintroduzione di R. latastei; - monitoraggio dei risultati ottenuti. Per la descrizione delle modalità di intervento utilizzate nel corso del progetto si rimanda alla scheda relativa al Piano triennale 1994-1996. Le ricerche effettuate hanno confermato l’estinzione della specie nel territorio del Parco. Nel corso delle indagini preliminari sono stati indagati 35 siti, di cui 14 sono risultati potenzialmente adatti alla reintroduzione di R. latastei, eventualmente previa realizzazione di interventi di ripristino ambientale. Nei primi due anni di lavoro sono stati rilasciati complessivamente circa 6.000 girini nei tre siti finora oggetto di intervento. LIFE NATURA 1999 IT/006235 “CONSERVAZIONE E RISANAMENTO AMBIENTALE DEL LAGO DI ALSERIO: INTERVENTI A FAVORE DI RANA LATASTEI” Ente proponente e/o beneficiario: Parco regionale della Valle del Lambro (funzionario tecnico di riferimento nel Parco: Nicoletta Cannone). Ente finanziatore: Regione Lombardia e Unione Europea. Periodo: 2001-2002. Responsabili del progetto:Augusto Gentilli e Stefano Scali. Il Parco regionale della Valle del Lambro, nell’ambito del Progetto LIFE Natura “Interventi di conservazione integrata e di risanamento ambientale del Lago di Alserio”, ha deciso di realizzare degli interventi a favore di Rana latastei. I mutamenti occorsi in questa parte della Lombardia hanno portato all’estinzione di gran parte delle popolazioni di questa specie, di cui sono note solo poche stazioni nel territorio del Parco; alcune di esse rivestono particolare importanza scientifica poiché sono state oggetto dei primi studi sull’ecologia della specie in Italia (POZZI 1980). Nel corso del biennio 2001-2002 il Parco regionale della Valle del Lambro ha eseguito alcuni interventi di habitat management per potenziare le popolazioni di R. latastei che vivono nei pressi del Lago di Alserio. Il progetto si proponeva di valutare l’entità delle popolazioni e di ripristinare o creare siti idonei alla riproduzione della specie, dal momento che in alcune porzioni dell’area i siti riproduttivi sembravano essere insufficienti. Il censimento è avvenuto mediante conteggio delle ovature presenti nei corpi d’acqua delle aree indagate (HEYER et al. 1994). Le rive del lago sono state ispezionate solo nei tratti ove le caratteristiche ambientali erano idonee. Più adatti sono risul-
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tati i canali e le pozze, permanenti o temporanei, all’interno dei boschi ripariali e delle radure. La specie in questione è risultata piuttosto localizzata e scarsa all’interno dell’area di studio. Le piccole dimensioni delle popolazioni presenti dimostrano la necessità di interventi urgenti di riqualificazione ambientale a favore della rana di Lataste e, in generale, della batracofauna. La diminuzione osservata negli ultimi venti anni può essere imputata in gran parte alla scomparsa delle zone umide utilizzate per la riproduzione. Di conseguenza, è stato proposto di approfondire alcune zone di ristagno situate all’interno dell’ontaneto al fine di permettere una maggiore permanenza dell’acqua e di ripulire alcuni canali di drenaggio presenti lungo filari di alberi all’interno delle radure nei pressi del lago. Gli effetti dei lavori di ripristino appena terminati saranno valutabili solo nei prossimi anni, mediante appositi studi di monitoraggio. LIFE NATURA 1998 IT/005037 “VALLE CURONE E VALLE DI SANTA CROCE, PROTEZIONE DEGLI HABITAT PRIORITARI”: INTERVENTI A FAVORE DELLA BATRACOFAUNA Ente proponente e/o beneficiario: Consorzio di gestione Parco naturale di Montevecchia e Valle del Curone (funzionario tecnico di riferimento nel Parco: Michele Cereda). Ente finanziatore: Regione Lombardia e Unione Europea. Periodo: 1998-2001. Responsabile del progetto:Vincenzo Ferri. Sono trascorsi più di dieci anni dai primi interventi di salvaguardia della riproduzione di anfibi effettuati da operatori e guardie ecologiche del Parco di Montevecchia e della Valle del Curone (CITTERIO et al. 1998). Il generale convincimento che la scomparsa di questi vertebrati avrebbe impoverito la ricchezza naturalistica di una delle aree protette più interessanti della Lombardia ha prodotto in pochi anni una cospicua serie di iniziative di ricerca, di conservazione e di educazione naturalistica, patrocinate dal Parco e dalla Regione Lombardia. Già nel 1993 venivano costituiti i primi piccoli stagni per anfibi, mentre nel 1994, dopo un approfondito corso teorico-pratico, le GEV concludevano un capillare censimento dell’erpetofauna, verificando la presenza di ben 9 specie di anfibi (quasi tutte quelle segnalate per le province di Lecco e di Milano). Sulla base delle indicazioni di questa ricerca diretta da FERRI (1995a) e delle conclusioni del Piano faunistico del Parco (FORNASARI et al. 1996), si sono predisposti i programmi di gestione degli anfibi e preparate le azioni più urgenti per il miglioramento della situazione delle specie più minacciate. Nel 1998 queste azioni sono state inserite con successo nel piano del Progetto LIFE Natura IT/005037. Dopo uno studio preventivo (BARATELLI 2000) sono stati individuati i siti dove intervenire in modo significativo per il potenziamento degli habitat riproduttivi delle specie prioritarie (Rana latastei e Triturus carnifex). Quattro nuovi stagni, collegati a ruscellamenti e a zone umide preesistenti, sono stati realizzati nelle località di Cà Soldato e Fornace di Sopra, nella Valle del Curone. Gli stagni, opportunamente sagomati e impermeabilizzati, sono stati abbinati a strutture accessibili ai visitatori in modo tale da non interferire con le necessità biologiche della piccola fauna. Già a pochi mesi dalla conclusione dei lavori, sono stati evidenziati effetti positivi sulle popolazioni di anfibi. I risultati dei monitoraggi successivi (FERRI 2001b) hanno infatti confermato l’adeguatezza dei nuovi bacini alle esigenze di
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alcune delle specie più importanti della batracofauna del Parco: R. dalmatina, R. latastei, T. carnifex e T. vulgaris meridionalis. Imponente la colonizzazione dei nuovi stagni di Cà Soldato da parte delle due specie di rane rosse: sono stati conteggiati più di 1.000 riproduttori di R. dalmatina e più di 100 di R. latastei. La colonizzazione del secondo sito (Fornace di Sopra) è stata più lenta, ma anche qui sono state ritrovate ovature di R. latastei, segno tangibile dell’efficacia dei lavori per il potenziamento dei siti riproduttivi di questa specie. Il monitoraggio ha confermato anche il generale miglioramento della situazione di sette specie di anfibi segnalate nel Parco. Per la rana di Lataste e per il tritone punteggiato, che risultavano tra le specie più minacciate, è addirittura provato un incremento numerico progressivo che permette ormai di stimare le rispettive popolazioni in almeno tre-quattro volte gli effettivi conosciuti fino al 1995. Solo per le due specie di rospi la situazione è stazionaria: Bufo viridis è limitato per la riproduzione a piccole pozze temporanee nei pressi di Lomagna (LC) e in un bacino a Montevecchia (LC), mentre B. bufo sembra non riprodursi più nel Parco. Appassionati, operatori del Parco, ricercatori e GEV sono già attivati per garantire anche a queste due specie un più roseo futuro. LIFE NATURA IT/007139 “CHIROTTERI, HABITAT CALCAREI E SORGENTI PETRIFICANTI NEL PARCO CAMPO DEI FIORI”: INTERVENTI A FAVORE DELLA BATRACOFAUNA Ente proponente e/o beneficiario: Parco regionale del Campo dei Fiori (funzionario tecnico di riferimento nel Parco: Giancarlo Bernasconi). Ente finanziatore: Regione Lombardia e Unione Europea. Periodo: 2001-2002. Responsabile del progetto: Stefano Scali. Il Parco regionale del Campo dei Fiori, nell’ambito del Progetto LIFE “Chirotteri, habitat calcarei e sorgenti petrificanti nel Parco Campo dei Fiori”, ha previsto la realizzazione di interventi per la conservazione della batracofauna. A tale scopo ha richiesto l’individuazione dei siti riproduttivi delle diverse specie di anfibi e delle emergenze per la conservazione, soprattutto in relazione all’impatto del traffico veicolare sulle popolazioni durante le migrazioni riproduttive (GELMINI & ANDRIGHETTO 2002). Al fine di aumentare le probabilità di sopravvivenza delle popolazioni di anfibi del Parco è stata prevista la realizzazione di interventi mirati all’eliminazione dei fattori di rischio o alla realizzazione di sistemi di mitigazione che ne riducano l’incidenza. Sono previste tre distinte tipologie di intervento: - interventi di mantenimento e ripristino delle zone umide; - interventi di contenimento della mortalità durante le migrazioni riproduttive; - interventi di miglioramento ambientale delle zone non riproduttive. La prima metodologia prevede la riqualificazione dei siti riproduttivi, garantendo il mantenimento dell’acqua per tutto il periodo di deposizione e sviluppo larvale secondo le usuali tecniche di habitat management. Il secondo gruppo di interventi comprende la realizzazione di strutture permanenti o temporanee (barriere e tunnel) per il controllo dell’attraversamento delle strade da parte degli anfibi durante le migrazioni riproduttive (SCOCCIANTI 2001). L’ultima tipologia prevede la realizzazione di interventi di riqualificazione ambientale degli habitat postriproduttivi, garantendo la presenza di siti di svernamento, rifugio e alimentazione.
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LIFE NATURA IT/003068 “RECUPERO AMBIENTALE DEI SITI DI INTERESSE COMUNITARIO INCLUSI NEL PARCO REGIONALE DELLE GROANE”: INTERVENTI DI RIQUALIFICAZIONE NATURALISTICA A FINI ERPETOLOGICI DEI SIC “CA’ DEL RE”, “LAGHETTO MANUÈ” E “EX-CAVA DI ARGILLA DI BIRAGO” Ente proponente e/o beneficiario: Parco regionale delle Groane (funzionario tecnico di riferimento nel Parco: Fabio Lopez Nunes). Ente finanziatore: Regione Lombardia e Unione Europea. Periodo: 1998-2001. Responsabili del progetto: Stefano Scali e Vincenzo Ferri. Il Parco regionale delle Groane, nell’ambito del Progetto LIFE “Recupero ambientale dei Siti di Interesse Comunitario (BIOITALY) inclusi nel Parco”, ha previsto la realizzazione di interventi di riqualificazione ambientale di tre siti di importanza comunitaria: il laghetto Manuè, la brughiera della Ca’ del Re e la zona umida “ex-cava di argilla di Birago”. Tali lavori avevano come scopo il ripristino delle zone umide presenti, il miglioramento ambientale in senso lato, mediante interventi sulla vegetazione e sulla struttura degli ambienti, e il mantenimento delle zone di brughiera. Queste ultime, che hanno subito un notevole regresso negli ultimi anni a causa dell’abbandono delle pratiche di pascolo e del progressivo rimboschimento, rivestono una notevole importanza per il mantenimento dell’erpetofauna (SCALI 1993, 1995; SCALI & GENTILLI 2003b). I lavori realizzati hanno portato all’approfondimento di parte degli stagni soggetti ad interramento naturale, con un notevole aumento della capacità portante dell’ambiente. Inoltre, il diradamento di parte delle zone soggette a rimboschimento naturale, con l’eliminazione di molte piante alloctone (ad esempio: Robinia pseudoacacia, Prunus serotina e Quercus rubra), ha consentito la creazione di un maggior numero di aree aperte e soleggiate, favorevoli alla presenza di molte specie di rettili. Complessivamente gli interventi hanno contribuito ad aumentare la diversità ambientale, garantendo maggiori possibilità di sopravvivenza alle sei specie di anfibi (Triturus carnifex, T. vulgaris, Hyla intermedia, Rana dalmatina, R. latastei e R. synklepton esculenta) e alle quattro specie di rettili (Podarcis muralis, Lacerta bilineata, Hierophis viridiflavus e Natrix natrix). REINTRODUZIONE DI EMYS ORBICULARIS NEL PARCO AGRICOLO SUD MILANO Ente proponente e/o beneficiario: Parco agricolo Sud Milano (funzionario tecnico di riferimento nel Parco: Fabrizio Scelsi). Ente finanziatore: Regione Lombardia, Provincia di Milano, Ente gestore del Parco agricolo Sud Milano. Periodo: dal 2001. Responsabili del progetto: Renato Massa, Luciana Bottoni, Emilio PadoaSchioppa, Gentile Francesco Ficetola,Vincenzo Ferri, Christiana Soccini. Sulla base di un progetto regionale programmato già nel 1993 (FERRI et al. 1993) e patrocinato nel 1999 dalla Direzione generale Qualità dell’Ambiente della Regione Lombardia (FERRI 2000a, 2000c, 2001b), il Parco agricolo Sud Milano ha predisposto
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un piano per la reintroduzione di Emys orbicularis nel proprio territorio. La specie, fortemente minacciata ed in declino in tutta Europa, è estinta nel Parco almeno dagli anni Settanta; il progetto, che prevede interventi più generali per migliorare le zone umide in funzione del ristabilimento di popolazioni della testuggine palustre, è articolato come segue: - studio dell’ecologia della specie nel suo areale padano; le esigenze ecologiche di E. orbicularis in pianura padana non erano finora state oggetto di studi su vasta scala geografica: un’analisi dei parametri ecologici di alcune delle stazioni in cui ancora vivono popolazioni riproduttive di E. orbicularis è stata pertanto necessaria per delineare quali caratteristiche di paesaggio ne determinino la presenza; - individuazione di uno o più siti idonei al rilascio di individui all’interno del Parco agricolo Sud-Milano, attraverso un’analisi estesa dei corpi umidi; - individuazione e stima della consistenza dei gruppi di testuggini alloctone abbandonate nelle zone umide del Parco e monitoraggio del loro stato di salute; - interventi di habitat management: una prima area seminaturale verrà resa idonea alla sopravvivenza di una popolazione riproduttiva di E. orbicularis. Gli interventi prioritari sono: allestimento di un sistema di zone umide connesse, utilizzabile da animali di diverse età e durante i differenti periodi dell’anno e in previsione della creazione di una metapopolazione; salvaguardia di un’ampia area tampone boscata intorno alle zone umide (BURKE & GIBBONS 1995); rimozione di eventuali testuggini esotiche presenti nell’area (in particolare Trachemys scripta); creazione di punti per la termoregolazione all’interno delle zone umide e di siti idonei all’ovodeposizione; - rilascio di individui di E. orbicularis, inizialmente in condizioni controllate, per valutarne l’acclimatazione e favorirne la riproduzione. Al fine di verificare l’effettiva riuscita e l’avvenuta acclimatazione degli individui rilasciati il progetto suggerirà le linee guida per effettuare in futuro un monitoraggio costante della popolazione.
VINCENZO FERRI STEFANO SCALI AUGUSTO GENTILLI
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Linee guida per la conservazione e la gestione di specie minacciate in Lombardia: gli esempi di Pelobates fuscus insubricus ed Emys orbicularis La rarefazione di alcune specie di anfibi e rettili ha recentemente evidenziato la necessità di attuare interventi mirati alla loro gestione e conservazione. La richiesta sempre crescente di azioni di tutela da parte degli enti preposti rende auspicabile la stesura di protocolli di intervento al fine di ottimizzare le risorse e di garantire i massimi risultati. Si riportano a titolo di esempio le linee guida per la gestione di un anfibio (Pelobates fuscus insubricus) e di un rettile (Emys orbicularis), particolarmente minacciati nella nostra regione. STATUS DI PELOBATES FUSCUS INSUBRICUS - Il pelobate fosco, endemico della pianura padana, è uno dei vertebrati più minacciati in Italia. È attualmente presente in soli 10 quadranti UTM della Lombardia (3,6% del totale); in passato era sicuramente presente in almeno altre 10 unità di rilevamento. Questo taxon è considerato prioritario ai sensi del D.P.R. n. 357 dell’8 settembre 1997 di recepimento della Direttiva Habitat dell’Unione Europea (92/43/CEE) e, come tale, è stato incluso nell’Allegato B. Inoltre, il D.G.R. n. 7/4345 del 20 aprile 2001 (Allegato 1) gli assegna il massimo punteggio di Priorità Complessiva (P=14). Infine, le larve e le uova sono protette dalla L.R. n. 33 del 27 luglio 1977, al pari di quelle di tutte le altre specie di anfibi. Sono stati quindi realizzati recentemente alcuni progetti di conservazione, finanziati dalla Regione Lombardia, per la riqualificazione ambientale e la reintroduzione del pelobate fosco in tre parchi regionali: il Parco lombardo della Valle del Ticino, il Parco agricolo Sud Milano e il Parco Adda Sud (GENTILLI et al. 2003). STATUS DI EMYS ORBICULARIS - Lo status di E. orbicularis in Lombardia è abbastanza noto e conferma la sua attuale rarità: attualmente la specie è segnalata in soli 30 quadranti UTM (10% del totale), con popolazioni distribuite in circa 40 località. Devono essere considerate, inoltre, altre 6 unità di rilevamento in cui la specie era segnalata prima del 1985. È da sottolineare che per l’estrema longevità di questa specie è possibile che alcune segnalazioni siano dovute alla presenza di vecchi individui erranti o isolati e non a popolazioni vitali. In base al quadro delineato, le popolazioni dell’Italia nord-occidentale sono ritenute minacciate (ZUFFI 2000) e, quindi, meritevoli di progetti mirati alla conservazione.Tale status è confermato anche dall’inclusione della specie nell’Allegato B del D.P.R. n. 357/97 e dal massimo punteggio di Priorità Complessiva (P=14), secondo quanto riportato nell’Allegato 1 del D.G.R. n. 7/4345 del 20 aprile 2001. Anche per questa specie la Regione Lombardia ha promosso e finanziato interventi di conservazione, attivati dagli stessi parchi regionali di cui sopra. 1. Studio dello status della specie: al momento della ideazione di un progetto di conservazione deve essere riconsiderato lo status della specie a livello nazionale, regionale e locale, al fine di aggiungere le eventuali informazioni recenti, mediante analisi della bibliografia, dei reperti museali e di censimenti sul campo. 2.Valutazione dei costi e reperimento delle risorse: fin dalle prime fasi del progetto, deve essere realizzata una stima attendibile dei costi di progettazione e realizzazio-
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ne dell’intero intervento e devono essere individuate le possibili fonti di finanziamento sia pubbliche sia private. 3. Studio della biologia: qualsiasi intervento necessita di un’accurata conoscenza della biologia della specie, da ottenere mediante analisi della letteratura scientifica e tramite studi mirati sul campo.Tra gli aspetti più importanti da indagare nell’ambito di progetti di conservazione si possono ricordare: - biologia riproduttiva: ciclo riproduttivo, dimensioni della covata o numero di uova deposte e successo riproduttivo; - spostamenti: valutazione degli home-range ed entità degli spostamenti trofici e riproduttivi; - studi di sopravvivenza; - alimentazione: composizione della dieta e caratterizzazione dei siti di foraggiamento; - habitat: scelta dell’habitat nei diversi periodi dell’anno; - studi di popolazione: struttura e dinamica delle popolazioni. 4. Individuazione delle priorità: devono essere preliminarmente individuate le popolazioni prioritarie per la conservazione della specie e, conseguentemente, devono essere scelte quelle più idonee ad interventi di tutela (ad esempio quelle più a rischio o quelle di maggiore importanza per il mantenimento di metapopolazioni). Devono essere inoltre identificate le aree più vocate ad eventuali interventi di reintroduzione. I siti di presenza o di reintroduzione individuati, se privati, dovranno essere acquisiti dalle amministrazioni territorialmente competenti, possibilmente e compatibilmente con le risorse economiche disponibili. 5. Scelta del tipo di intervento: in seguito alla realizzazione di quanto previsto dai punti precedenti, devono essere identificati i tipi di intervento più idonei alle diverse situazioni (miglioramento ambientale, ripopolamento o reintroduzione). 6.Valutazione di fattibilità: ogni intervento deve essere preceduto da uno studio di fattibilità che evidenzi le finalità, i costi, i problemi e che proponga le relative soluzioni. In particolare, dovranno essere indagati i possibili fattori di rischio per le diverse popolazioni, inclusi la riduzione e l’alterazione degli habitat idonei, la presenza di specie alloctone competitrici (ad esempio Rana catesbeiana o Trachemys scripta) e il disturbo antropico. È anche necessario che le aree prescelte offrano un adeguato grado di tutela e garanzie di stabilità nel tempo. Infine, deve essere effettuata una caratterizzazione genetica delle popolazioni e deve essere verificata la disponibilità di fondatori compatibili per le traslocazioni. 7. Progettazione degli interventi: deve prevedere l’integrazione in scala locale delle informazioni relative a tutti i punti sopra elencati. Inoltre, devono essere previste le seguenti azioni: - definizione della tempistica dei lavori per la realizzazione del progetto; la durata, comunque, non deve essere inferiore ai tre-cinque anni, a cui dovrà seguire un ulteriore periodo pluriennale di monitoraggio in caso di traslocazioni; - caratterizzazione degli habitat disponibili e individuazione di quelli idonei alla specie; - individuazione ed eliminazione dei fattori di rischio;
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- realizzazione di azioni di miglioramento ambientale per l’aumento della capacità portante e per l’eliminazione di alcuni fattori di rischio (creazione di zone umide artificiali, ripristino di quelle esistenti, ecc.); - in caso di traslocazioni, reperimento dei fondatori: questi possono provenire sia da popolazioni naturali sia da allevamenti specializzati; in ogni caso, deve essere verificata la compatibilità genetica ed evitato il depauperamento delle popolazioni donatrici; - allevamento dei fondatori: - P. f. insubricus: le uova devono essere raccolte in natura e allevate in condizioni seminaturali controllate; - E. orbicularis: le eventuali traslocazioni devono essere realizzate utilizzando individui nati in cattività, in allevamenti appositamente predisposti in aree limitrofe idonee e sottoposte a sorveglianza; gli individui fondatori devono essere sottoposti a quarantena e a controlli veterinari per evitare la diffusione di patologie o parassitosi; - gli eventuali rilasci devono essere effettuati per più anni in modo da costituire popolazioni il più possibile strutturate e composte da un adeguato numero di individui; tali rilasci devono essere realizzati in modo da minimizzare le perdite dovute a morte o a dispersione; - i risultati degli interventi devono essere accuratamente monitorati negli anni successivi, così da verificarne gli esiti; - le aree interessate da azioni di tutela devono essere sottoposte a un’idonea sorveglianza da parte degli enti preposti; - il progetto deve essere affiancato da adeguate attività di divulgazione, finalizzate alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica. 8. Esecuzione degli interventi: i lavori devono essere eseguiti dagli enti coinvolti secondo la tempistica prevista ed effettuati in collaborazione con i responsabili scientifici del progetto, al fine di risolvere gli eventuali problemi sorti in corso d’opera e ottimizzare i risultati. AUGUSTO GENTILLI STEFANO SCALI VINCENZO FERRI
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Le Aree di Rilevanza Erpetologica in Lombardia
Il Progetto “ARE”, Area di Rilevanza Erpetologica, è stato attivato nel 1995 dalla Commissione Conservazione (CC) della Societas Herpetologica Italica (SHI) per rispondere a due esigenze: - dare un seguito alle richieste di soggetti locali (guardie ecologiche, associazioni protezionistiche, assessori e sindaci) di riconoscimento delle loro iniziative di salvaguardia di siti specifici, più o meno estesi, di particolare interesse erpetologico; - munire la SHI di uno strumento di valutazione, di riconoscimento ufficiale delle valenze erpetologiche e di salvaguardia di siti, piccoli e grandi, disconosciuti e minacciati o - se protetti - sprovvisti di una mirata garanzia di conservazione per le popolazioni di anfibi e rettili in essi presenti. Nel corso di questi anni, diversi siti lombardi sono stati proposti per questo riconoscimento e per la maggior parte hanno ottenuto la necessaria ufficializzazione da parte del Consiglio direttivo della Societas Herpetologica Italica. Si tratta di località, a volte di limitata superficie, nelle quali sono presenti specie rare e minacciate di anfibi o rettili. Con questo riconoscimento, si è cercato di avere a disposizione un piccolo ma significativo strumento per tentare di bloccare stravolgimenti ambientali irreversibili o la costruzione di manufatti, probabilmente incompatibili con la sopravvivenza delle specie segnalate. In diversi casi si tratta di siti già compresi in aree protette, ma nei quali gli organi competenti mostrano limitata attenzione nei confronti delle emergenze erpetologiche. Ricordiamo il sito Paludi e boschi di Somma Lombardo, nella parte lombarda del Parco del Ticino, che ospita un’importante popolazione di Pelobates fuscus insubricus. Altre zone della Lombardia sono state dichiarate ARE nel tentativo di influire attraverso questo riconoscimento, per ora purtroppo piuttosto simbolico, su decisioni in atto riguardanti garanzie di protezione (per esempio: le pratiche per il riconoscimento di Sito di importanza comunitaria, di Riserva naturale regionale, di Parco locale di interesse sovracomunale, ecc.). La documentazione per individuare e segnalare una potenziale Area di Rilevanza Erpetologica, i criteri per il suo riconoscimento e l’elenco completo delle ARE italiane sono contenuti nel sito web della Societas Herpetologica Italica: www.unipv.it/webshi/ VINCENZO FERRI ELENCO DELLE “ARE” DELLA LOMBARDIA1 ITA008LOM001 VARESE, SOMMA LOMBARDO e ARSAGO SEPRIO, Paludi e boschi di Somma Lombardo Superficie: circa 200 ha Altitudine: 280-330 m 1
Le specie sono indicate convenzionalmente riferendosi al nome scientifico e riportando le prime tre lettere corrispondenti al genere e alla specie (p. es. Rana latastei= RANLAT).
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Anfibi presenti:TRIVUL,TRICAR, PELFUS, BUFBUF, HYLINT, RANDAL e RANESC. Rettili presenti: PODMUR, LACBIL, ELALON e NATNAT. Tipo di salvaguardia esistente: Parco naturale regionale / Sito SIC. Referenti per la SHI: Augusto Gentilli, Stefano Scali, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: importante popolazione di Pelobates fuscus insubricus in una situazione ambientale con limitati fattori di minaccia. Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 2/97 CC del 18.2.1997; targa già consegnata al Sindaco del Comune di Somma Lombardo e al Presidente del Parco. Il territorio in questione è stato tabellato dall’Ente gestore. Bibliografia: ANDREONE et al. 1993; GENTILLI et al. 1996; GENTILLI & SCALI 2000, 2001a, 2001b; GENTILLI et al. 2001; SCALI & GENTILLI 2003a. ITA009LOM002 CREMONA, TORRICELLA DEL PIZZO e MOTTA BALUFFI, Golena del Po di Torricella Superficie: circa 150 ha Altitudine: 30-35 m Anfibi presenti: TRIVUL, TRICAR, PELFUS, BUFBUF, BUFVIR, HYLINT, RANLAT, RANDAL e RANESC. Rettili presenti: LACBIL, PODMUR, PODSIC, HIEVIR, CORAUS, NATNAT, NATTES e EMYORB. Tipo di salvaguardia esistente: Riserva naturale / Sito SIN. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: importante popolazione di Pelobates fuscus insubricus e sintopia con una ricca cenosi erpetologica (segnalate 17 specie). Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 4/01 CC del 15.3.2001; targa già consegnata all’Assessorato all’Ecologia della Provincia di Cremona. Bibliografia: FERRI & SCHIAVO 1988, 1994; SCHIAVO & FERRI 1996; SCHIAVO 1998. ITA017LOM003 BERGAMO, SAN FELICE GAIANO, MONASTEROLO AL CASTELLO, Sponda sinistra del Lago d’Endine Superficie: circa 100 ha Altitudine: 300-600 m Anfibi presenti: SALSAL,TRICAR,TRIVUL, BUFBUF, RANDAL, RANLAT e RANESC. Rettili presenti: LACBIL, PODMUR,ANGFRA, HIEVIR e NATNAT. Tipo di salvaguardia esistente: Area di Rilevanza Ambientale / proposta per Parco locale di interesse sovracomunale “Lago d’Endine” della Regione Lombardia. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: maggiore popolazione lombarda (e forse italiana) conosciuta di Bufo bufo (25.000 individui censiti nel 2003) e ricca associazione batracologica. Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 13/01 CC del 21.3.2001; targa già consegnata all’Assessorato all’Ecologia della Comunità montana Val Cavallina. Bibliografia: GIOVINE 1994, [1995], 1995, 1998; Progetto… 1998. ITA018LOM004 BRESCIA, IDRO, Sponda sinistra del Lago d’Idro Superficie: circa 100 ha Altitudine: 365-1.100 m Anfibi presenti: SALSAL,TRICAR, BUFBUF, HYLINT, RANTEM, RANDAL e RANESC.
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Rettili presenti: LACBIL, PODMUR,ANGFRA, HIEVIR, NATNAT, NATTES, CORAUS, ELALON e VIPASP. Tipo di salvaguardia esistente: Area di Rilevanza Ambientale Regione Lombardia. Referente per la SHI: Christiana Soccini, Centro Studi Arcadia. Motivazione: grossa popolazione di Bufo bufo (la seconda conosciuta in Lombardia, con 12.000 individui censiti nel 2003) e ricca associazione erpetologica. Notevole interesse naturalistico. Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 14/01 CC del 21.3.2001; targa non ancora consegnata. Bibliografia: SOCCINI 1998, 2002a, 2002b; SOCCINI & FERRI 2000. ITA028LOM005 BERGAMO, TALEGGIO, Pascoli e pozze d’abbeverata di Pizzino di Sottochiesa Superficie: circa 50 ha Altitudine: 700-900 m Anfibi presenti: BOMVAR, HYLINT, BUFBUF e RANTEM. Rettili presenti: LACBIL, PODMUR, HIEVIR, NATNAT e VIPASP. Tipo di salvaguardia esistente: nessuna. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: habitat e siti riproduttivi della popolazione lombarda più numerosa di Bombina v. variegata. Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 7/03 CC del 3.6.2003; targa non ancora consegnata. ITA036LOM006 MILANO, SESTO SAN GIOVANNI, Parco Nord Milano Superficie: circa 10 ha Altitudine: 120 m Anfibi presenti: HYLINT, BUFVIR e RANESC. Rettili presenti: LACBIL, PODMUR, HIEVIR, NATNAT e CORAUS. Tipo di salvaguardia esistente: Parco di cintura metropolitana Regione Lombardia. Proposta su richiesta delle Guardie Ecologiche Volontarie del Parco Nord Milano. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: habitat e siti riproduttivi della popolazione lombarda più numerosa di Bufo viridis; presenza di importante popolazione di Coronella austriaca. Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 2/02 CC del 20.4.2002; targa già consegnata al Presidente del Parco. Bibliografia: URSO et al. [1995]; FERRI 1995c; NOJA & FERRI 1998; Progetto… 1998; BEDOGNI et al. 2002. ITA037LOM007 MILANO, SOMAGLIA, Riserva di Monticchie Superficie: circa 225 ha, di cui 25 godono di massima tutela Altitudine: 60 m Anfibi presenti:TRICAR,TRIVUL, HYLINT, BUFVIR, RANLAT e RANESC. Rettili presenti: EMYORB, LACBIL, PODMUR, HIEVIR, NATNAT e NATTES. Tipo di salvaguardia esistente: Riserva naturale Regione Lombardia. Proposta su richiesta del Comune di Somaglia e del WWF Lombardia. Referente per la SHI: Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: habitat e siti riproduttivi di una grossa popolazione di Rana latastei;
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presenza di un’importante popolazione di Lacerta bilineata. Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 5/03 CC del 3.6.2003; targa non ancora consegnata. Bibliografia: FERRI 1988; MANSI 1990, 1992; FERRI et al. 1995a; FERRI & AGAPITO LUDOVICI 2002. ITA040LOM008 MILANO, VILLA D’ADDA, Palude golenale di Villa d’Adda Superficie: circa 5 ha Altitudine: 200 m Anfibi presenti:TRICAR, HYLINT, BUFBUF, RANLAT, RANDAL e RANESC. Rettili presenti: LACBIL, PODMUR, HIEVIR, NATNAT e NATTES. Tipo di salvaguardia esistente: Parco naturale Adda nord. Referente per la SHI: Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: habitat e siti riproduttivi di una grossa popolazione di Rana latastei; presenza di un’importante popolazione di Bufo bufo e R. dalmatina. Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 4/03 CC del 30.5.2003; targa non ancora consegnata. Bibliografia: FERRI & ANDRIGHETTO 2002. ITA041LOM009 LECCO, MONTEVECCHIA, Boschi, stagni e canalette di Cà Soldato Superficie: circa 10 ha Altitudine: 200-400 m Anfibi presenti: SALSAL,TRICAR, HYLINT, RANLAT, RANDAL e RANTEM. Rettili presenti: LACBIL, PODMUR, HIEVIR, ELALON, NATNAT e NATTES. Tipo di salvaguardia esistente: Parco naturale regionale di Montevecchia e Valle del Curone. Referente per la SHI: Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: habitat e siti riproduttivi di una grossa popolazione di Salamandra s. salamandra in sintopia con Triturus carnifex, Rana latastei e R. dalmatina; possibile sintopia con R. temporaria. Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 6/03 CC del 3.6.2003; targa non ancora consegnata. Bibliografia: FERRI 2001a. ITA042LOM010 LECCO, OLIVETO LARIO E MANDELLO LARIO, Sponda del Lario presso Onno e Melgone Superficie: circa 20 ha Altitudine: 300-400 m Anfibi presenti: SALSAL e BUFBUF. Rettili presenti: LACBIL, PODMUR, HIEVIR e NATTES. Tipo di salvaguardia esistente: nessuna. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: habitat e siti riproduttivi di una grossa popolazione relitta di Bufo bufo (la maggiore per l’intero Lario). Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 7/03 CC del 3.6.2003; targa non ancora consegnata. Bibliografia: FANTONI 1998; Progetto… 1998.
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ITA043LOM011 COMO, SORICO, sponda del Fiume Mera presso Sorico Superficie: circa 2 ha Altitudine: 300 m Anfibi presenti: SALSAL, HYLINT, RANTEM, RANESC e BUFBUF. Rettili presenti: LACBIL, PODMUR, HIEVIR, NATNAT e NATTES. Tipo di salvaguardia esistente: nessuna. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: habitat e siti riproduttivi di una grossa popolazione relitta di Bufo bufo (l’unica all’estremo nord del Lario). Sito di presenza e riproduzione di una delle popolazioni più settentrionali di Hyla intermedia. Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 8/03 CC del 3.6.2003; targa non ancora consegnata. Bibliografia: GIANERA et al. [1995], 1998; Progetto… 1998. ITA044LOM012 CREMONA, SAN DANIELE PO e PIEVE D’OLMI, Bodri in Golena di Po Superficie: 20 ha Altitudine: 3-12 m Anfibi presenti: TRICAR, TRIVUL, PELFUS, HYLINT, BUFBUF, BUFVIR, RANLAT, RANDAL e RANESC. Rettili presenti: EMYORB, LACBIL, PODMUR, HIEVIR, NATNAT e NATTES. Tipo di salvaguardia esistente: monumento naturale Regione Lombardia. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: habitat e siti riproduttivi di alcune delle maggiori popolazioni relitte di Emys orbicularis; presenza di Pelobates fuscus insubricus. Note: riconoscimento già avvenuto con lettera 9/03 CC del 3.6.2003; targa non ancora consegnata. Bibliografia: SCHIAVO & FERRI 1996. ITA046LOM013 PAVIA, BRALLO, Corbesassi Superficie: circa 2 ha Altitudine: 900-1.100 m Anfibi presenti: SPESTR, SALTER e BUFBUF. Rettili presenti: LACBIL, PODMUR, HIEVIR e VIPASP. Tipo di salvaguardia esistente: nessuna. Referenti per la SHI:Vincenzo Ferri & Alberto Dell’Acqua, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: uno dei principali siti lombardi di Speleomantes strinatii, con popolazione numerosa e diffusa anche in ambienti epigei. ITA047LOM014 PAVIA, BRALLO, Fosso della Carpegna Superficie: circa 5 ha Altitudine: 600 m Anfibi presenti: SALSAL, SALTER, BUFBUF e RANITA. Rettili presenti: LACBIL, PODMUR, HIEVIR, NATNAT e VIPASP. Tipo di salvaguardia esistente: nessuna. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: uno dei principali siti lombardi di Salamandrina terdigitata e di Rana italica, tra le località al limite settentrionale dell’areale di queste specie. Bibliografia: BARBIERI 1995, 2001.
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ITA048LOM015 BRESCIA, MONNO, Lago e Passo del Mortirolo Superficie: circa 20 ha Altitudine: 1.300-1.900 m Anfibi presenti: SALSAL, BUFBUF e RANTEM. Rettili presenti:ANGFRA, ZOOVIV, HIEVIR, NATNAT e VIPBER. Tipo di salvaguardia esistente: nessuna. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: presenza di una numerosa popolazione di Vipera berus con individui prevalentemente melanici; presenza abbondante di Zootoca vivipara. Riproduzione di una grossa popolazione di Bufo bufo ad una quota tra le più elevate per la Lombardia (circa 1.700 m). ITA049LOM016 SONDRIO, TIRANO, Torbiera di Pian di Gembro Superficie: circa 10 ha Altitudine: 1.100-1.600 m Anfibi presenti: SALSAL,TRICAR, BUFBUF, RANTEM e RANESC. Rettili presenti:ANGFRA, PODMUR, NATNAT e VIPBER. Tipo di salvaguardia esistente: Riserva naturale Regione Lombardia. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: presenza di una numerosa popolazione di Triturus carnifex e di Rana synkl. esculenta; limite settentrionale per queste specie in Lombardia. ITA050LOM017 CREMONA, ACQUANEGRA, Sponde del Canale di Cremona presso Località Cà del Biscio Superficie: 3 ha Altitudine: 25 m Anfibi presenti: HYLINT, BUFVIR, RANLAT e RANESC. Rettili presenti: EMYORB, LACBIL, PODMUR, PODSIC, HIEVIR, NATNAT e NATTES. Tipo di salvaguardia esistente: proprietà Consorzio del Canale di Cremona, limite del Parco naturale Adda sud. Referente per la SHI:Vincenzo Ferri, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: presenza di una popolazione vitale di Emys orbicularis; grossa popolazione di Podarcis sicula campestris al limite settentrionale del suo areale. Bibliografia: FERRI et al. 1995b; SCALI et al. 2001b. ITA051LOM018 LECCO, MAGGIO DI VALSASSINA, Laghetti di Culmine San Pietro Superficie: circa 2 ha Altitudine: 1.100-1.270 m Anfibi presenti: BOMVAR, BUFBUF e RANTEM. Rettili presenti:ANGFRA, LACBIL, PODMUR, HIEVIR, NATNAT e VIPASP. Tipo di salvaguardia esistente: nessuna / proprietà privata. Referenti per la SHI:Vincenzo Ferri & Raoul Manenti, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: presenza della popolazione italiana più occidentale conosciuta di Bombina variegata. ITA052LOM019 PAVIA, PONTE NIZZA, Monte Calcinera Superficie: circa 15 ha Altitudine: 300-700 m
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Anfibi presenti: BUFBUF e RANDAL. Rettili presenti: ANGFRA, CHACHA, LACBIL, PODMUR, HIEVIR, CORGIR, ELALON, NATNAT, NATMAU e VIPASP. Tipo di salvaguardia esistente: nessuna / proprietà privata. Referenti per la SHI:Vincenzo Ferri & Giancarlo Baggio, Sezione SHI Lombardia. Motivazione: uno dei principali siti lombardi di Coronella girondica e di Chalcides chalcides, con popolazioni numerose e diffuse. Limite settentrionale dell’areale per le stesse specie. Importante comunità ofidiologica. Bibliografia: TESSARO & FERRI 2001.
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Normative per la salvaguardia dell’erpetofauna
Nel campo della protezione degli anfibi la Regione Lombardia vanta l’interessante primato di aver promulgato una delle prime normative europee in materia, la Legge Regionale n. 33 del 27.7.1977 “Provvedimenti in materia di tutela ambientale ed ecologica”. Programmato per regolamentare la cattura ed il commercio degli anfibi del genere Rana (che conta nella regione ben sette specie, tra cui R. latastei e R. italica), il provvedimento ha ricevuto nella stesura finale alcune importanti integrazioni; in particolare, sono stati aggiunti i divieti inderogabili alla raccolta o alla distruzione di uova e girini di tutte le specie di anfibi e alla cattura, al trasporto e al commercio delle due specie di rospo, Bufo bufo e B. viridis. Sono di seguito riportati integralmente gli articoli riguardanti l’erpetofauna. L.R. 27 luglio 1977, n. 33 Titolo IV - (Tutela della fauna minore) Art. 14 - (Anfibi e molluschi) Durante l’intero arco dell’anno la raccolta o distruzione di uova e la cattura od uccisione di girini di tutte le specie di anfibi sono vietate. 2. Dall’1 febbraio al 30 giugno è vietata la cattura di tutte le specie di anfibi del genere Rana. 4. Nel restante periodo dell’anno la cattura di rane adulte e di lumache è consentita per una quantità giornaliera non superiore a due chilogrammi per persona. 5. La cattura di rane e di lumache non è ammessa durante la notte da un’ora dopo il tramonto ad un’ora prima della levata del sole. 6. La cattura, il trasporto ed il commercio di rospi del genere Bufo sono vietati. Recentemente sono state apportate alcune modifiche alla L.R. 33/1977 con la promulgazione della L.R. 6 marzo 2002, n. 4, art. 3 (Disposizioni in materia di territorio, ambiente e infrastrutture); il provvedimento riguarda la tutela degli habitat e delle specie animali e vegetali di interesse comunitario. La L.R. 33/1977 vede la luce appena prima della famosa Risoluzione n. 22/78 “Anfibi e rettili minacciati in Europa” del Consiglio d’Europa che porterà, nel 1979, alla Convenzione di Berna (Consiglio d’Europa, 19.9.1979), ratificata dall’Italia in data 11 febbraio 1982 ed entrata in vigore l’1 giugno 1982 in seguito all’emanazione della legge n. 503 del 5 agosto 1981. La Convenzione di Berna impegna gli Stati aderenti ad interventi di tutela degli habitat e delle specie selvatiche, in particolare di quelle endemiche, in pericolo di estinzione o vulnerabili. Comprende elenchi specifici (Allegati) di flora e fauna selvatiche da ritenersi particolarmente protette. Per la fauna (Allegato II) gli Stati firmatari devono rigorosamente vietare qualsiasi forma di cattura, detenzione e uccisione intenzionali, nonché qualsiasi attività umana che comporti molestia alle specie elencate e il deterioramento o la distruzione dei siti di riproduzione e riposo. Sono vietati la detenzione ed il commercio degli animali protetti, vivi, morti o imbalsamati nonché delle loro parti o prodotti. Nell’Allegato III sono inserite quelle specie di fauna per le quali gli Stati firmatari devono attivare regolamenti diretti a garantirne la sopravvivenza, con particolare riferimento alle forme di sfruttamento (cac-
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cia, commercio, detenzione), introducendo divieti più o meno prolungati nei casi in cui sia necessario ripristinarne la giusta densità di popolazione. Le specie di anfibi e rettili inserite negli Allegati e presenti in Lombardia sono riportate nella tabella 1. Allegato II: specie di fauna rigorosamente protette Anfibi, Caudata Anfibi, Anura Salamandra atra Bombina variegata Salamandrina terdigitata Pelobates fuscus Triturus carnifex Bufo viridis Hyla arborea (1) Rana dalmatina Rana italica Rana latastei Rettili, Testudinata Rettili, Sauria Emys orbicularis Lacerta viridis (2)
Rettili, Ophidia Elaphe longissima Coronella austriaca Coluber (= Hierophis) viridiflavus Natrix tessellata
Podarcis muralis Podarcis sicula note (1) nel 1979 non era ancora stata distinta H. intermedia. (2) nel 1979 non era ancora stata distinta L. bilineata.
Allegato III: specie di fauna protette Anfibi: tutte le specie non comprese nell’Allegato II Rettili: tutte le specie non comprese nell’Allegato II Tab. 1: anfibi e rettili presenti in Lombardia inseriti negli Allegati della Convenzione di Berna (1979 e successivi aggiornamenti).
Oggi ci si riferisce alla L.R. 33/1977 anche per la tutela della biodiversità lombarda in attuazione della Direttiva Habitat 92/43/CEE del 21.5.1992 relativa alla “conservazione degli habitat naturali e della fauna e flora selvatiche” e del D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357 (G.U. 248 del 23.10.1997, S.O. n. 219/L). Nell’ambito della Direttiva Habitat sono stati designati per una rete “Natura 2000” Zone di Protezione Speciale (ZPS) e Siti di Importanza Comunitaria (SIC). In tali aree i Paesi dell’Unione Europea devono evitare ogni deterioramento ambientale ed assicurare le opportune condizioni per il mantenimento delle specie e degli habitat per la cui conservazione sono state create. Anche la Direttiva Habitat comprende alcuni elenchi con le specie di prioritario interesse protezionistico (Tab. 2 e 3): - Allegato II (B): elenco delle specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione; alcune specie fra quelle elencate sono identificate come “Specie prioritarie” e indicate con un asterisco;
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- Allegato IV (D): elenco delle specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono protezione rigorosa. Con il Regolamento di attuazione della Direttiva 92/43/CEE buona parte delle specie di anfibi e rettili italiani risulta finalmente protetta; su tutto il territorio nazioAnfibi Salamandrina terdigitata Triturus carnifex Speleomantes ambrosii (= strinatii) Bombina variegata Pelobates fuscus insubricus * Rana latastei
Rettili Emys orbicularis
Tab. 2: anfibi e rettili d’interesse comunitario presenti in Lombardia la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione, inclusi nell’Allegato B del D.P.R. n. 357 dell’8 settembre 1997 e successivi aggiornamenti (Decreto 20.1.99, G.U. 9.2.99, n. 32).
Anfibi Salamandra atra Salamandrina terdigitata Triturus carnifex Speleomantes ambrosii (= strinatii) Bombina variegata Pelobates fuscus Bufo viridis Hyla arborea (= intermedia) Rana dalmatina Rana italica Rana latastei Rana lessonae
Rettili Emys orbicularis Lacerta viridis (= bilineata) Podarcis muralis Podarcis sicula Coluber (= Hierophis) viridiflavus Coronella austriaca Elaphe longissima Natrix tessellata
Tab. 3: anfibi e rettili d’interesse comunitario presenti in Lombardia che richiedono una protezione rigorosa, inclusi nell’Allegato D del D.P.R. n. 357 dell’8 settembre 1997 e successivi aggiornamenti (Decreto 20.1.99, G.U. 9.2.99, n. 32).
nale sono vietati la cattura e l’uccisione, il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione, il disturbo in ogni fase del ciclo riproduttivo o durante lo svernamento e la migrazione, la distruzione o la raccolta delle uova e dei nidi, la distruzione o il danneggiamento dei siti di riproduzione o delle aree di sosta. La Direttiva Habitat permetterà anche la protezione di una discreta percentuale degli ambienti naturali e seminaturali lombardi, in aggiunta al Sistema delle aree protette previsto dalla Legge Regionale n. 86 del 1983, che oggi comprende 26 parchi regionali, distinti per tipologia (fluviali, montani, di cintura metropolitana, agricoli e forestali), 22 parchi di interesse sovracomunale, 58 riserve naturali e 25 monumenti naturali, per una superficie complessiva di oltre 450.000 ettari di territorio. La Regione Lombardia, inoltre, ha formulato precise linee guida riguardanti gli interventi di gestione, conservazione e reintroduzione della fauna selvatica nelle aree regionali protette. Al riguardo, la Deliberazione della Giunta Regionale n.
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7/4345 del 20 aprile 2001 definisce degli indici di priorità complessiva, compresi fra 1 e 14, per tutte le specie di vertebrati in relazione al loro status e alla gravità delle diverse minacce.
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VINCENZO FERRI
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Summary
This Atlas reports several aspects of the herpetological fauna in Lombardy (N Italy), summarizing the results of the Amphibian and Reptile Atlas Project set up by the Lombardy section of the Societas Herpetologica Italica.The Atlas presents data from over 12.300 reports submitted by more than 200 collaborators from 1986 to 2002. Each report noted species, date, locality, municipality, province, elevation, UTM square (10x10 km grid), habitat and notes.The Lombardy region, which has a surface area of over 23.800 km2 , takes in the central section of the Italian portion of the Alps (Lepontine and Retiche), the prealpine belt (the Orobie Alps and the Prealps of Varese, Como, Bergamo and Brescia), the central part of the Po Plain; and the Oltrepò Pavese in the SW, an extensive hilly area belonging to the Apennine chain. HISTORICAL NOTES - Information on herpetological species had already started appearing in the literature in the XVI Century, but the systematic study of reptiles and amphibians came into its own in the work of Lazzaro Spallanzani, Giovanni Antonio Scopoli and Domenico Vandelli.The most prolific period for herpetological studies in Lombardy was the Eighteen hundreds, thanks to Bartolomeo Panizza and Filippo De Filippi at the University of Pavia and to Mauro Rusconi; and subsequently to Giorgio Jan and Emilio Cornalia at the Natural History Museum of Milan. Numerous local studies on herpetological fauna, of varying breadth and reliability, also appeared in the XIX Century.Although studies of this kind started in the 1820s, most of them took place between 1879 and 1890.There were no specific investigations on herpetological fauna in the Lombardy region in the first half of the XX Century, although some Lombard authors were pre-eminent in the field. Interest in the study of reptiles and amphibians resurfaced here in the 1980s, leading to the foundation of the Lombardy section of the Societas Herpetologica Italica and the production of the present Atlas. CLIMATE - Lombardy has a moderate continental climate with rather long, hot summers, fairly cold winters and with most precipitation occurring in spring and autumn, although it is quite evenly distributed throughout the year. There is little wind; and fog occurs in autumn and winter. summer storms are also frequent. Average temperatures are between 12 and 14°C throughout most areas lying below 300 m a.s.l., with more favourable winter temperatures being found in the lake area and in the Insubrian region, which are closer to the foothills of the Prealps. Precipitation has a sublittoral pattern, with peaks in autumn and spring; and minimum values in summer and winter. In Alpine regions the spring precipitation peak tends to occur later and extend into summer, giving it a more typically continental precipitation pattern. VEGETATION - In terms of its phyto-geographical character, Lombardy is substantially mid-european with variability due to the localized sub-mediterranean climate in the Insubrian region around the lakes in the prealpine margin. The vegetation
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found in the Alps, which form a vast mountain chain with high peaks, is that typical of high elevations. The spontaneous vegetation of the plains is fragmented and mainly restricted to areas unsuitable for agriculture, such as river valleys. Forests in the plain area were probably dominated by oak in association with the querco-carpineta typical of mid-Europe; and swamps, now reduced, were extensive.The vegetation of the Oltrepò Pavese area is characterized by Downy oak xerophilous formations whose composition depends on elevation, and by orno-ostryeta occurring in Laburno-Ostryon associations. Alpine vegetation varies according to the position of the mountain within the Alpine chain: the outlying Alps are characterized by mesofile forests with an oceanic influence, dominated by beech; whereas the continental climate of the inner Alps favours conifers over broadleafs. The broadleaf forests, with no beech trees, consist of English oak or, more often, sweet chestnut. The landscape is prevalently characterized by conifer forests: these consist of Scots pine at the bottom of the slopes; Norway spruce woods in the mountain and subalpine zones; while larch and Arolla pine forests occur at the highest elevations.The Arolla pine is a glacial relic in the Alps, present in the most continental areas. Vegetation above the tree-line consists mainly of grazing areas and alpine meadows. PALEOHERPETOLOGY - The oldest traces of amphibians and reptiles in what is now Lombardy go back to the end of the Palaeozoic when Permian taxa (290-250 million years ago) left tracks in mud that that transformed into stones.The extraordinary wealth and diversity of Mesozoic remains found in the Alpine area in Lombardy is such that this area has been the source of most of the information we have on marine vertebrates from the mid- Triassic (about 240-230 million years ago). Over the last two centuries, palaeontologists have discovered abundant remains of both marine and terrestrial reptiles in the Mesozoic fossil deposits. In contrast, fossils of contemporary amphibian and reptile species and their direct ancestors are scarce in Lombardy. This is probably because there are few Cainozoic deposits in Lombardy, especially from the Neogene and the Quaternary (approximately the last 23 million years). For a long time during this period, the area presently corresponding to the Po Plain was occupied by a sea of varying depth, which only in the midlate Pleistocene gave way to environments suitable for terrestrial vertebrates.There are only 12 deposits in Lombardy containing fossils of contemporary reptiles and amphibians; and the entire Neogene-Quaternary record consists of 15 taxon/locality data, less than 2% of the records in Italy for this period. Nearly all the data testify the presence of Emys orbicularis. SPECIES PRESENTATION - The entries on the 38 reptile and amphibian species in Lombardy show: scientific name, common name, taxonomy, distribution, ecology and ethology, status and conservation problems. Each entry also contains a distribution map and a histogram of altitudinal distribution. EXOTIC SPECIES - Lombardy has been greatly modified by human influence, and there have been many instances of passive introduction of allochthonous species and the deliberate release from captivity of alien species.The first species introduced, by way of acclimatization, was almost certainly Rana catesbeiana.The passive transport of a few individuals is probably at the source of the acclimatization of two
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species of geckos: Tarentola mauritanica and Hemidactylus turcicus. Another widespread alien species is Trachemys scripta. BIODIVERSITY AND SPECIES ABUNDANCE - The greatest species diversity is found in the Prealpine and Apennine areas. Here, a wide variety of available habitats are home to fauna with diverging environmental requirements.Abundant species diversity also occurs in the main fluvial conservation areas, especially in Lombardy’s Parco Ticino, proof of the importance of protected areas in the conservation of biodiversity. In order to gain information on the rarity of taxa, i.e. on the number of squares occupied by each species, the number of survey units where they were found to be present was calculated. This revealed a marked difference between widespread and localized species of amphibians, e.g. Rana synklepton esculenta is very common, while Salamandrina terdigitata, Speleomantes strinatii, R. italica, Pelobates fuscus insubricus, Salamandra atra, Triturus alpestris and Bombina variegata occur in less than 6% of the total 280 survey units.The commonest species of reptiles are Podarcis muralis, Natrix natrix, Lacerta bilineata and Hierophis viridiflavus, and the most localized Coronella girondica, Chalcides chalcides, N. maura, P. sicula and Emys orbicularis, present in at most 10% of the squares. CONSERVATION - Several conservation projects have been undertaken since the end of the 1980s, including projects aimed at protecting the so-called “small” fauna. These have taken the form both of environmental requalification schemes and of the consolidation or reconstruction of populations in suitable areas. Most of these projects have been aimed at amphibians (e.g. Pelobates fuscus, Rana latastei and Bufo bufo), although some reptiles (e.g. Emys orbicularis) have also benefited. Guidelines for the management of the populations of two species have been included as an example: P. f. insubricus and E. orbicularis, which are very threatened in Lombardy. LAWS - The Lombardy Region has the interesting record of being the first area in Europe to pass legislation designed to regulate the capture and trading of amphibians of the Rana genus (of edible frog, in particular): Regional Law n. 33 of 27.7.1977, entitled “Provisions for Environmental and Ecological Protection”. Important integrations to the provision banned the collection and destruction of eggs and tadpoles of all species of amphibians, and the transport and trading of toads of the Bufo genus.
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Indice delle specie Anguis fragilis Biacco Bombina variegata Bufo bufo Bufo viridis Chalcides chalcides Colubro di Riccioli Colubro liscio Coronella austriaca Coronella girondica Elaphe longissima Emys orbicularis Geco comune Geco verrucoso Geotritone di Strinati Hemidactylus turcicus Hierophis viridiflavus Hyla intermedia Lacerta bilineata Lucertola campestre Lucertola muraiola Lucertola vivipara Luscengola comune Marasso Natrice dal collare Natrice tassellata Natrice viperina Natrix maura Natrix natrix Natrix tessellata Orbettino Pelobate fosco Pelobates fuscus Podarcis muralis Podarcis sicula Raganella italiana Ramarro occidentale Rana appenninica Rana catesbeiana Rana dalmatina Rana dalmatina Rana di Lataste
p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p.
127 152 81 87 90 142 147 145 145 147 149 117 124 123 79 123 152 93 130 136 133 139 142 167 158 161 155 155 158 161 127 84 84 133 136 93 130 105 96 102 102 108
Rana di Lessona Rana esculenta Rana italica Rana kl. esculenta Rana latastei Rana lessonae Rana temporaria Rana temporaria Rana toro Rospo comune Rospo smeraldino Saettone comune Salamandra alpina Salamandra atra Salamandra pezzata Salamandra salamandra Salamandrina dagli occhiali Salamandrina terdigitata Speleomantes strinatii Tarentola mauritanica Testuggine palustre dalle orecchie rosse Testuggine palustre europea Trachemys scripta Tritone alpestre Tritone crestato italiano Tritone punteggiato Triturus alpestris Triturus carnifex Triturus vulgaris Ululone dal ventre giallo Vipera aspis Vipera berus Vipera comune Zootoca vivipara
p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p.
99 99 105 99 108 99 111 111 96 87 90 149 61 61 64 64 67 67 79 124
p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p.
120 117 120 70 73 76 70 73 76 81 164 167 164 139
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Indirizzi utili
Societas Herpetologica Italica - Sezione Lombardia “F. Barbieri” Dipartimento di Biologia Animale, Piazza Botta 9, I-27100 Pavia www.unipv.it/webshi/lomb Centro Studi Arcadia Loc. Cavagnino di Sotto 1, I-25015 Desenzano del Garda (BS) www.centrostudiarcadia.it L’Atlante erpetologico sarà continuamente aggiornato e chi volesse collaborare alla raccolta dei dati può trasmettere le segnalazioni (data, località, specie osservata, note) alla sede della Societas Herpetologica Italica - Sezione Lombardia “F. Barbieri”oppure all’indirizzo di posta elettronica
[email protected]
Nel sito della Societas Herpetologica Italica (SHI) sono disponibili notizie sull’erpetologia in Italia www.unipv.it/webshi/ Nel sito della Societas Europaea Herpetologica (SEH) sono disponibili le carte dell’Atlante erpetologico europeo liberamente scaricabili in PDF www.gli.cas.cz/SEH/ Nel sito Amphibian Species of the World sono disponibili informazioni sulla sistematica degli anfibi di tutto il mondo research.amnh.org/herpetology/amphibia/ Nel sito THE EMBL REPTILE DATABASE sono disponibili informazioni sulla sistematica dei rettili di tutto il mondo www.reptile-database.org
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Indice
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Atlante erpetologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Breve storia dell’erpetologia lombarda (F. Barbagli & C.Violani) . . . Aspetti climatici (N. Pilon) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Aspetti vegetazionali (M. Barcella) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paleoerpetofaune lombarde (M. Delfino) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I rettili nella preistoria lombarda (A. Pozzi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Erpetofauna della Lombardia (E. Razzetti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Descrizione delle specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Anfibi Salamandra alpina (Salamandra atra) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Salamandra pezzata (Salamandra salamandra) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata) . . . . . . . . . . . . . . . Tritone alpestre (Triturus alpestris) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tritone crestato italiano (Triturus carnifex) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tritone punteggiato (Triturus vulgaris) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Geotritone di Strinati (Speleomantes strinatii) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ululone dal ventre giallo (Bombina variegata) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pelobate fosco (Pelobates fuscus) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rospo comune (Bufo bufo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rospo smeraldino (Bufo viridis) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Raganella italiana (Hyla intermedia) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rana toro (Rana catesbeiana) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rana di Lessona (Rana lessonae) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rana esculenta (Rana kl. esculenta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rana dalmatina (Rana dalmatina) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rana appenninica (Rana italica) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rana di Lataste (Rana latastei) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rana temporaria (Rana temporaria) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rettili Testuggine palustre europea (Emys orbicularis) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Testuggine palustre dalle orecchie rosse (Trachemys scripta) . . . . . . . . . . Geco verrucoso (Hemidactylus turcicus) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Geco comune (Tarentola mauritanica) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Orbettino (Anguis fragilis) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ramarro occidentale (Lacerta bilineata) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lucertola muraiola (Podarcis muralis) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lucertola campestre (Podarcis sicula) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lucertola vivipara (Zootoca vivipara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Luscengola comune (Chalcides chalcides) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Colubro liscio (Coronella austriaca) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Colubro di Riccioli (Coronella girondica) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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5 7 13 34 37 43 49 53 57
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61 64 67 70 73 76 79 81 84 87 90 93 96 99 99 102 105 108 111
p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p. p.
117 120 123 124 127 130 133 136 139 142 145 147
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Saettone comune (Elaphe longissima) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Biacco (Hierophis viridiflavus) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Natrice viperina (Natrix maura) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Natrice dal collare (Natrix natrix) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Natrice tassellata (Natrix tessellata) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vipera comune (Vipera aspis) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Marasso (Vipera berus) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Erpetofauna alloctona presente in Lombardia (A.R. Di Cerbo & E. Razzetti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Descrizione ed analisi delle erpetocenosi (A. Gentilli & S. Scali) . . . Analisi della diversità erpetologica (S. Scali & A. Gentilli) . . . . . . . . . . . Progetti di conservazione dell’erpetofauna in Lombardia (V. Ferri, S. Scali & A. Gentilli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Linee guida per la conservazione e la gestione di specie minacciate in Lombardia: gli esempi di Pelobates fuscus insubricus ed Emys orbicularis (A. Gentilli, S. Scali & V. Ferri) . . . . . . Le Aree di Rilevanza Erpetologica in Lombardia (V. Ferri) . . . . . . . . . Normative per la salvaguardia dell’erpetofauna (V. Ferri) . . . . . . . . . Summary . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indice delle specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indirizzi utili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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149 152 155 158 161 164 167
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171 173 179
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204 207 214 218 221 251 252
PROVINCIA DI CREMONA
scienze e storia dell’ambiente padano MONOGRAFIE N. 5 - 2004 PRESIDENTE Gian Carlo Corada, presidente della Provincia di Cremona DIRETTORE RESPONSABILE Valerio Ferrari REDAZIONE Alessandra Facchini e Alessandra Zametta con la collaborazione di Giovanna Aquilino COMITATO SCIENTIFICO Giacomo Anfossi, Giovanni Bassi, Paolo Biagi, Giovanni D’Auria, Cinzia Galli, Riccardo Groppali, Enrico Ottolini, Rita Mabel Schiavo, Marina Volonté, Eugenio Zanotti DIREZIONE REDAZIONE: 26100 Cremona - Corso V. Emanuele II, 17 Tel. 0372 406446 - Fax 0372 406461 E-mail:
[email protected] FOTOCOMPOSIZIONE E FOTOLITO: Fotolitografia Orchidea Cremona - Via Dalmazia, 2/a - Tel. 0372 37856 STAMPA: Monotipia Cremonese Cremona - Via Costone di Mezzo, 19 - Tel. 0372 33771 Finito di stampare il 3 maggio 2004 Periodico della Provincia di Cremona, registrato presso il Tribunale di Cremona al n. 313 in data 31/7/1996
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